Al Centro Saint-Bénin di Aosta, dopo Robert Doisneau e Tina Modotti, prosegue fino al 24 Settembre la mostra dedicata a un altro grandissimo protagonista della storia mondiale della fotografia, colui che è assurto a mito: Robert Capa.
Promossa dall’Assessorato Beni e attività culturali, Sistema educativo e Politiche per le relazioni intergenerazionali della Regione autonoma Valle d’Aosta, l’esposizione è stata curata da Gabriel Bauret, in collaborazione con Daria Jorioz che spiega: “La mostra consente di ripercorrere tutte le fasi della straordinaria carriera di Robert Capa, riservando un’attenzione particolare ad alcune delle sue immagini più iconiche, che hanno incarnato la storia della fotografia del Novecento. L’esposizione si propone di evidenziare le molteplici sfaccettature dell’opera di un autore passionale e in definitiva sfuggente, instancabile e forse mai pienamente soddisfatto, che non esitava a rischiare la vita per i suoi reportage”.

Robert Capa nasce nel 1913 a Budapest; in gioventù si trasferisce a Berlino, dove inizia la sua grande carriera di fotoreporter che lo porterà a viaggiare in tutto il mondo. Nel 1947 fonda con Henri Cartier-Bresson e David Seymour la celebre agenzia Magnum Photos. Muore in Indocina nel 1954, ferito da una mina antiuomo mentre documenta la guerra al fronte. Sono esposte oltre trecento opere, selezionate dagli archivi dell’agenzia Magnum Photos, per coprirne in modo esaustivo la produzione dagli esordi nel 1931 fino alla morte ed è suddivisa in nove sezioni tematiche: Fotografie degli esordi, 1932 – 1935; La speranza di una società più giusta, 1936; Spagna: l’impegno civile, 1936 – 1939; La Cina sotto il fuoco del Giappone, 1938; A fianco dei soldati americani, 1943 – 1945; Verso una pace ritrovata, 1944 – 1954; Viaggi a est, 1947 – 1948; Israele terra promessa, 1948 – 1950; Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua, 1954.
Il Curatore, nel catalogo edito da Silvana Editoriale scrive: “Il suo posto nella storia della fotografia potrebbe essere paragonato a quello di Robert Doisneau, ma il paragone si ferma qui: tanto Capa è un eterno migrante, dallo spirito avventuroso, quanto Doisneau è un sedentario che nutre la sua fotografia con i soggetti che sa scovare a Parigi e nelle sue periferie”.

Il visitatore può così ammirare le immagini di guerra che hanno forgiato la leggenda di Capa, ma non solo. Nei reportage, come in tutta la sua opera, esistono quelli che Raymond Depardon chiama “tempi deboli”, contrapposti ai tempi forti che caratterizzano le azioni.
Immagini che lasciano trapelare la complicità e l’empatia del fotografo rispetto ai soggetti ritratti, soldati ma anche civili, sui terreni di scontro, in cui ha maggiormente operato e si è distinto.
Di lui così scrisse Henri Cartier-Bresson: “Per me, Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva generosamente per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua gloria”.

A rendere la rassegna ancora più intrigante è la possibilità che essa offre di ammirare l’utilizzo finale delle immagini di Capa, ovvero le pubblicazioni dei suoi reportage sulla stampa francese e americana dell’epoca e gli estratti di suoi testi sulla fotografia, che tra gli altri toccano argomenti come la sfocatura, la distanza, il mestiere, l’impegno politico, la guerra.
Inoltre, saranno disponibili gli estratti di un film di Patrick Jeudy su Robert Capa, in cui John G. Morris commenta con emozione documenti che mostrano Capa in azione sul campo e infine la registrazione sonora di un’intervista di Capa a Radio Canada.