“Inaugurando l’Hermes confessiamo senza vergogna di non obbedire a nessuno impulso di sacrificio e d’altruismo. Non facciamo professione di ciarlatani, e non diamo a credere di salvare il genere umano per spacciare la nostra merce. Vogliamo solamente una casa nostra, nella quale ci sia lecito parlar liberamente e dirne, se vogliamo, di tutti i colori; poiché, scrivendo nelle altrui riviste, dobbiamo un po’ condiscendere alle usanze dei padroni, e se ci riesce di non dire altro di quello che pensiamo, non sempre è lecito dir tutto quello che pensiamo.”
Così leggiamo nella prefazione del primo numero della rivista letteraria Hermes, uscita nel 1904 e fondata da Enrico Corradini e Giuseppe Antonio Borgese. Parole che dipingono perfettamente l’atmosfera del primo Novecento che si respirava a Firenze e in tutto il Paese, piena di fermenti letterari ed artistici che daranno vita ad una stagione coinvolgente. Questo periodo che inizia nel 1903 e si svolge per circa quattro decenni del Novecento, è il protagonista della mostra Riviste. La cultura in Italia nel primo ‘900, dal 15 giugno al 17 settembre visitabile in una serie di nuove sale al piano terra della Galleria degli Uffizi. L’esposizione descrive e racconta in modo esaustivo questo periodo irrequieto e fecondo, fervido di visioni e provocazioni. I movimenti d’avanguardia sorti in quel momento storico hanno prodotto in modo geniale idee la cui forza ha resistito all’usura del tempo e continua a generare frutti ancora oggi. Attraverso le pagine dei suoi stessi protagonisti, dipinti e disegni degli artisti, offre al visitatore un panorama completo delle più influenti pubblicazioni culturali apparse nella penisola durante il primo quarto del Novecento.

La mostra è organizzata dagli Uffizi insieme alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, con la curatela di Giovanna Lambroni, Simona Mammana e Chiara Toti. I pezzi che compongono l’itinerario della mostra, oltre duecentocinquanta, sono vari, preziosi e provengono da tutta l’Italia: le edizioni originali delle riviste, i libri, i manifesti, i fogli con le caricature di vari personaggi, i disegni preparatori delle copertine, oltre ad una minuziosa selezione di dipinti, disegni e sculture del tempo che permettono di sentire il clima delle avanguardie.
Si comincia con la rivista Leonardo, pubblicata dal 1903 al 1907, che ci fa conoscere Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini e le loro invettive ribelli. Il titolo della rivista voleva celebrare Leonardo da Vinci quale simbolo dell’unità dello spirito umano, scientifico, letterario e filosofico insieme. Tutti i collaboratori adottarono uno pseudonimo. Papini si firmò “Gian Falco”, Prezzolini “Giuliano il Sofista”.
Li incontriamo nuovamente nel 1908 con La Voce, rivista destinata a rivestire un ruolo centrale nel dibattito culturale e politico italiano. Grazie all’apporto di un gran numero di collaboratori di diversa estrazione, si afferma come fondamentale organo di circolazione delle idee, in un contesto di garantito pluralismo e di respiro internazionale.
Nello stesso anno 1903 esce a Napoli il primo fascicolo de La Critica (1903-1944) di Benedetto Croce, con l’intento di svolgere un’attività critica garantita dall’autorevole presenza di Croce e Giovanni Gentile. Sempre a Firenze nasce Il Regno (1903-1906), fondato da Enrico Corradini, primo importante organo di stampa del nazionalismo italiano. Per ultima si aggiunge Hermes (1904-1906), rivista letteraria di ispirazione dannunziana.

È l’avvio di un susseguirsi di fogli e riviste di alto profilo, dove i giovani intellettuali possono trovare modo di esprimersi ed influenzare una Italia che si stava formando fra i suoi alti e bassi momenti politici. Proprio con i suoi articoli la rivista La Voce, dove sfilano le firme di Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile e della maggior parte degli intellettuali del tempo, delinea la nuova Italia e svolge anche una fondamentale opera di diffusione dell’arte francese, dall’impressionismo al cubismo. Nel primo numero Prezzolini promette ai lettori sincerità: “Crediamo che l’Italia abbia più bisogno di carattere, di sincerità, di apertezza, di serietà, che di intelligenza e di spirito. Non è il cervello che manca ma si pecca perché lo si adopra per fini frivoli, volgari e bassi: per l’amore della notorietà e non della gloria, per il tormento del guadagno o del lusso e non dell’esistenza, per la frode voluttuosa e non per nutrire la mente.”

Nel 1913 Giovanni Papini e Ardengo Soffici, con la collaborazione di Aldo Palazzeschi e Italo Tavolato, fondano Lacerba (1913-1915). Del Leonardo vengono recuperati gli accenti eroici e i toni sprezzanti, cui si aggiunge il gusto toscano per lo sberleffo sarcastico. Protagonista della stagione fiorentina del futurismo e delle sue memorabili serate, il gruppo di Lacerba organizza tra il 1913 e il 1914 le esposizioni futuriste che portano a Firenze le opere di Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini. La rivista propone contributi critici sul cubismo, gli scritti carichi di umorismo di Palazzeschi, ma anche i versi di Giuseppe Ungaretti e Dino Campana, oltre a manifesti programmatici e alle famose tavole parolibere. Dopo una schierata campagna interventista, cesserà le pubblicazioni in coincidenza con l’entrata in guerra dell’Italia.

La mostra ci conduce dentro il futurismo con altre due riviste, Poesia e L’Italia Futurista. Poesia (1905-1909) è fondata a Milano nel 1905 da Filippo Tommaso Marinetti, Sem Benelli e Vitaliano Ponti, usciva il 20 di ogni mese, con pagine di carta tirata a mano, un formato rettangolare ad album, e un’elegante copertina policroma. Il disegno di copertina, realizzato da Alberto Martini, uno degli artisti più sensibili agli aspetti “notturni” dell’esistenza, raffigurava la vittoria allegorica della poesia sull’idra marina, e sarà regolarmente riprodotto da un fascicolo all’altro con l’unico cambiamento del colore.
Un anno dopo la fondazione, Marinetti ne divenne il direttore unico e vero animatore e finanziatore della rivista. Nel n. 3/4/5 di aprile/maggio/giugno 1906 si legge infatti: «Sem Benelli e Vitaliano Ponti non fanno più parte della direzione di “Poesia”, pur rimanendo fra i nostri migliori collaboratori e amici».
Promuove le opere di Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio accanto a quelle di Gustave Kahn, John Keats e William Butler Yeats. Sulle pagine di Poesia si potevano leggere infatti poeti inglesi e irlandesi, poeti spagnoli, portoghesi, latino-americani, ma anche ungheresi, croati, greci, turchi, russi. Non mancarono traduzioni dei canti popolari delle più svariate parti del mondo, dalle canzoni delle tribù nordamericane a quelle dei gruppi originari della Siberia.
Nel1909 viene pubblicato nelle sue pagine il Manifesto del Futurismo, divenendo di fatto l’organo principale del movimento.

A Firenze nasce invece L’Italia Futurista (1916-1918), fondata e diretta da Emilio Settimelli e Bruno Corra. Ampio spazio è dedicato agli scritti di Marinetti che, insieme a Balla, partecipa con il gruppo fiorentino anche alla realizzazione del film Vita Futurista. “L’Italia futurista sarà il primo giornale dinamico italiano” – così venne annunciato da Emilio Settimelli, che si distingue dalle comuni riviste dell’epoca tra l’altro a causa del suo aspetto grafico, caratterizzato anche da numerosi e bellissimi parole in libertà. Nelle sue pagine fu dato sorprendentemente ampio spazio alle donne e ai giovani futuristi.
La stagione seguente alla drammatica esperienza della Grande Guerra vede un rinnovato bisogno di certezza, di “ritorno all’ordine”. La mostra analizza puntualmente la nascita di Valori Plastici, rivista caratterizzata da un forte legame con la pittura metafisica, che promuoverà le teorie estetiche di Carlo Carrà, Giorgio de Chirico e Alberto Savinio insieme all’arte di Giorgio Morandi e Ardengo Soffici, con il loro interesse per la pittura primitiva e rinascimentale italiana. Se il movimento artistico ebbe un ruolo antimodernista, in un richiamo all’ordine e alla tradizione, la rivista, densa di informazioni per quanto avveniva fuori dall’Italia, svolse una importante funzione di informazione nella cultura figurativa del nostro Paese. Appendice della rivista, dal 1921, fu la collana V., uscita con intervalli fino al 1948 e dedicata a monografie di artisti contemporanei e a studi sulla storia dell’arte italiana con particolare riferimento al Trecento e al Quattrocento, a cui collaborarono, tra gli altri, grandi storici dell’arte come Venturi e Longhi. In mostra si può ammirare una stupenda serie di disegni di De Chirico, lirici dipinti di Carrà e Morandi, che da soli valgono la visita. Non manca lo sguardo su La Ronda, che nasce a Roma nel 1919 e pubblicherà fino al 1923. Come Valori Plastici anche La Ronda richiama l’idea di un “rientro in riga” tra le fila del mondo letterario: in polemica con le avanguardie letterarie, auspica il ritorno a un classicismo basato sui padri letterari dell’Ottocento italiano, Manzoni e Leopardi. Pur con pochi anni di pubblicazione, ebbe grande influenza sulla nuova letteratura e sull’ermetismo.

Si passa alla Torino dell’immediato dopoguerra, dove emerge la figura di Piero Gobetti, incredibile intellettuale che, a soli diciassette anni, fonda Energie Nove (1918-1920). L’attenzione per le questioni politiche e sociali lo avvicina a Antonio Gramsci, fondatore con Angelo Tasca, Umberto Terracini e Palmiro Togliatti de L’Ordine Nuovo (1919-1922), organo del neonato movimento dei consigli di fabbrica. Con Rivoluzione Liberale (1922-1925) Gobetti riprende il percorso politico intrapreso da Energie Nove, indagando le cause storiche delle innumerevoli contraddizioni italiane. A seguito del delitto Matteotti, le limitazioni alla libertà di stampa rendono impossibile a Gobetti continuare la pubblicazione dei suoi scritti politici: da qui nasce appunto l’ultima delle sue riviste, Il Baretti, il cui carattere puramente letterario consente di portare avanti l’opposizione al fascismo sul piano culturale.
Le sezioni conclusive della mostra analizzano l’ascesa del fascismo attraverso altre riviste che affermano una tendenza culturale opposta all’esterofilia e al cosmopolitismo: è lo Strapaese. Si sostiene l’idea di una cultura autarchica, di un’arte di ispirazione paesana, che possa orientare l’azione politica e restituire al fascismo imborghesito la sua vera natura. Roccaforti di questa tendenza sono le riviste Il Selvaggio (1924-1943) e L’Italiano (1926-1942), che nascono lontane dalla capitale: la prima, voluta e diretta da Angiolo Bencini, un vinaio di Colle Val d’Elsa, sotto la guida di Mino Maccari. Il primo numero esce il 13 luglio 1924 (un mese dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti) e presenta sopra la testata la dicitura «Marciare, non marcire. Né speranza né paura», sotto «Battagliero fascista». Il direttore generale responsabile è lo stesso Bencini; Mino Maccari ha le funzioni di redattore.
L’Italiano vede la luce nel cuore di Bologna, dove è fondata e diretta da Leo Longanesi, il quale negli anni Trenta si ritroverà a guidarle entrambe. Tutti e due abbandonano presto la loro originaria impostazione politica per lasciare spazio a temi prettamente artistici e letterari, pur ribadendo il diritto di poter ridere di chiunque, potenti inclusi. In vari momenti, infatti, la censura si abbatterà su di loro.

Negli stessi anni in cui le testate di Strapaese si schierano in favore di una chiusura autarchica, nascono, sul versante antitetico, due riviste che esortano all’apertura verso le nuove correnti di stampo europeo. Sono 900 (1926-1929) e Solaria (1926-1934). 900 nasce dalla volontà dei suoi fondatori, Massimo Bontempelli e Curzio Malaparte, di dar vita a una realtà editoriale internazionale, tanto che decideranno di pubblicare in lingua francese. Solaria, fondata a Firenze da Alberto Carocci, condivide la missione europeista, ma al suo interno si dividono da una parte i “rondisti”, che aspirano a un’arte lontana dal coinvolgimento politico e dall’altra i “solariani”, che vedono nella cultura uno strumento di analisi e denuncia. Lo spirito critico, indipendente e cosmopolita di entrambe le riviste mal si adatta alla crescente intransigenza del regime: 900, a seguito dell’imposizione dell’uso dell’italiano, chiude i battenti dopo pochi anni; Solaria, nonostante innumerevoli ingerenze e censure, sopravvivrà fino alla metà degli anni Trenta.
La storia che la mostra racconta e quella dello spirito di inizio Novecento in Italia, attraverso le riviste e l’arte dell’epoca. Una storia che ha conformato il nostro Paese e che ancora oggi possiamo riconoscere nei segni lasciati dalla cultura generata in quel momento storico. Un vero peccato che sia all’interno di un museo come gli Uffizi, perché obbliga ad un biglietto costoso e ad una prenotazione se non si vuol fare una lunga fila, per chi magari desidera dedicare il suo tempo a conoscere un pezzo importante della storia più recente del nostro Paese, senza voler andare a vedere le opere della Galleria ai piani superiori. Un’occasione persa. Ma è così difficile pensare e creare un biglietto dedicato solo alle mostre?