Approfittando del prolungamento al 14 maggio, prosegue a Palazzo Mazzetti di Asti il successo di una mostra dedicata alla Belle Époque, ai salotti, alle nobildonne e alla moda di un mondo travolgente, che trovò, nel genio di Giovanni Boldini, l’artista che, più di ogni altro, fu capace di immortalare le atmosfere rarefatte di un’epoca.
Con il perdurare della guerra ai confini senza intravedere la pace in tempi brevi, la crisi economica globale e quella reale che attanaglia, più o meno copiosamente, il nostro Paese – basti solo un dato: per l’incapacità del Servizio sanitario nazionale, oltre quattro milioni di italiani sono costretti a rinunciare a curarsi non essendo in grado di farlo privatamente – ancora una volta l’arte, e la bellezza serenatrice, possono assumere la funzione di brevissima fuga da qualche preoccupazione.
Perché allora non farsi stordire da letteratura e moda, musica e lusso nei bistrot dove si confuse, al ritmo sensuale del can can, quella straordinaria rinascita sociale e civile, tuffandosi in una mostra che pone l’accento su un artista capace di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”. Le faceva posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porre domande sconvenienti, scrutando quelle anime fino a comprenderle così profondamente da coglierne lo spirito.
Boldini lo stregone, Boldini il fauno, Boldini il pittore! Questo e molto altro era quell’omino insolente dall’accento italiano che passeggiando per Parigi, da sotto la bombetta, guardava chiunque dall’alto in basso, ricambiando un saluto con una smorfia di distaccato disappunto.
Figlio del modesto pittore-restauratore Antonio, sapeva bene cosa fosse il disagio, avendo provato l’umiliazione della miseria, di quel corpicino striminzito compreso in un solo metro e cinquantaquattro di altezza. Lui che da giovane non era stato considerato un buon partito per il suo unico grande amore, Giulia Passega, andata in sposa a un giovanotto di buona famiglia, impiegato alla prefettura.
Ecco chi era, davvero, Boldini: un ragazzo della provincia padana venuto dal basso, finito nei salotti dell’alta società, nel cuore pulsante della civiltà e di un’epoca che lo avrebbe consacrato quale uno dei suoi più iconici protagonisti in quanto, farsi ritrarre da Boldini, significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente dotata ogni gran dama degna del proprio blasone.
Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni, rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità. Egli sapeva cogliere l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata poteva rivelare lo stato d’animo oppure quando la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra.
Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue creature e il suo stile costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste manifestate dagli alti ceti sociali.
Curato da Tiziano Panconi, il percorso espositivo è suddiviso in sei sezioni tematiche e sviluppato seguendo una narrazione cronologica e tematica al tempo stesso. Attraverso una notevole selezione di dipinti, permette di ripercorrere la vicenda artistica dell’artista ferrarese e di altri celebri pittori italiani affermatisi a Parigi.
Presenti ottanta opere tra cui Signora bionda in abito da sera (1889 ca.), La signora in rosa (1916), Busto di giovane sdraiata (1912 ca.), La camicetta di voile (1906 ca.) e tanti altri capolavori provenienti da collezioni pubbliche e private. Catalogo edito da Skira.