«Da oltre vent’anni seguo con attenzione il lavoro di Pierre Huyghe, singolare esploratore animato dal costante desiderio di superare i confini, quelli tra uomo e animale o tra uomo e macchina, per spingerli più avanti o annullarli, minando le nostre certezze in un perpetuo gioco di finzioni e mascheramenti. Per la Biennale Arte del 2024, ho voluto offrirgli la possibilità di celebrare il suo ritorno a Venezia dandogli carta bianca a Punta della Dogana, uno spazio ben più esteso e complesso del padiglione francese dei Giardini che aveva così magistralmente animato nel 2001».
Così apre il suo intervento nel catalogo trilingue (italiano, inglese, francese edito da Marsilio), François Pinault, Presidente di Palazzo Grassi-Punta della Dogana e “Liminal”, la mostra concepita dall’artista (aperta due giorni fa), dimostra come, tanta fiducia, sia stata ben riposta per aver trasformato Punta della Dogana in uno spazio dinamico, sensibile e in costante evoluzione.
Nuove importanti creazioni affiancate a opere degli ultimi dieci anni connotano come, da tempo, Pierre Huyghe si interroghi sul rapporto tra l’umano e il non umano concependo, dal proprio lavoro, finzioni speculative da cui emergono altre possibili forme di mondo. Tali finzioni sono per lui «mezzi per accedere al possibile o all’impossibile, a ciò che potrebbe o non potrebbe essere» e l’esposizione diviene un rituale imprevedibile, in cui si generano e coesistono, nuove possibilità senza gerarchia o determinismo.
A Venezia, avendo avuto la possibilità di spingere tale indagine, è scaturito un percorso che è un viaggio durante il quale ha via via scartato le tante tracce possibili per dirigersi, con sempre maggiore rigore, verso le scelte definitive. Per il visitatore l’incalzante sequenza immersiva culminata nel cubo di Tadao Ando. Il Direttore e amministratore delegato di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, Bruno Racine sottolinea come «Il fulcro di queste opere, concepite come sistemi in perpetua evoluzione, è una riflessione di inaudita audacia sulla nostra condizione, così come si è evoluta nei millenni e come ancora potrebbe evolversi. In tal senso Idiom, queste entità al tempo stesso umane e non umane, ci coinvolgono nell’emergere di un nuovo linguaggio, proprio come i robot che mettono in scena un rito funebre sconosciuto intorno a uno scheletro anonimo trovato nel deserto di Acatama in Cile».
Sempre in catalogo, il filosofo Tristan Garcia, riguardo alle opere di Pierre Huyghe, tra l’altro scrive «Esse aggirano ogni frontiera prestabilita tra il regno della natura e quello dell’arte, e ci consegnano esseri chimerici, in perenne trasformazione e apprendimento, che paiono non essere mai stati del tutto voluti e non avere una fine chiaramente determinata. Nel farsi, queste opere si disfano in quanto “opere”. Esse offuscano il confine tra un artefatto, prodotto dalla volontà d’artista, e una molteplicità di effetti decentrati, sia umani che animali, vegetali, meccanici, algoritmici, all’interno di una vasta rete di relazioni».
Un percorso da ripetere, magari azzerando ogni pensiero, e tornare alla prima sala, questa volta pronti a mettere in discussione convincimenti e percezioni della realtà fino a diventare estranei a noi stessi.