Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli prosegue, fino al 27 agosto, la mostra curata da Clemente Marconi, promossa dal MANN – diretto da Paolo Giulierini – con il sostegno della Regione Campania e con l’organizzazione di Electa (che ha pubblicato anche il catalogo) inserita nel programma internazionale “Picasso Celebrazioni 1973 – 2023: 50 mostre ed eventi per celebrare Picasso”. L’allestimento mette in dialogo quarantatré lavori di Pablo Picasso con le sculture Farnese e i dipinti provenienti da Pompei, per illustrare la profonda influenza del museo di arte classica sull’opera di uno dei più importanti artisti moderni.
Infatti, nel 1917, Pablo Picasso soggiornò a Napoli due volte nel corso del suo viaggio in Italia a seguito dei Ballets Russes: tra il 9 e 13 marzo (insieme a Sergei Djagilev, Jean Cocteau, e Léonide Massine) e per più giorni nel mese di aprile sempre con Djagilev, Massine e Igor Stravinskij, Ernest Ansermet.

Quei due soggiorni esercitarono una grande suggestione sul maestro catalano, specialmente per ciò che riguarda l’incontro con l’antico, tramite visite a Pompei e al Museo Nazionale, che allora esponeva la Collezione Farnese, e le opere da Ercolano e Pompei. Influenza indiscutibile e riconosciuta da tempo che rappresenta ormai un punto fermo. Proprio all’impatto delle opere d’arte viste a Roma, Napoli e Firenze si attribuisce un decisivo rafforzamento della tendenza di Picasso verso il naturalismo del cosiddetto “secondo periodo classico” (1917-1925). Tali visite ebbero un particolare impatto sulla produzione artistica come dimostra anche l’opera grafica degli anni Trenta a partire dalle stampe appartenenti alla cosiddetta Suite Vollard (1930-1937).

In letteratura ha prevalso a lungo l’interesse per la meglio documentata visita a Pompei tuttavia, quella al Museo Nazionale, gli indizi inducono a ritenere che possa avere avuto un ruolo fondamentale nel passaggio dal cubismo a un nuovo classicismo, proprio per l’influenza della pittura pompeiana, del gigantismo e della monumentalità tridimensionale delle sculture Farnese, a partire dall’Ercole, limpido alter ego dell’artista. Determinarne le fonti di ispirazione non è certo facile soprattutto perché, una delle caratteristiche dell’opera classicizzante dell’artista, sia la tendenza a evitare citazioni a favore, piuttosto, di allusioni generiche e non mancando di associare, nella stessa opera, riferimenti non coerenti tra loro.

Per tutto questo, la mostra, si è limitata a suggerire accostamenti tra possibili fonti di ispirazione, tra le opere del Museo Nazionale, e quelle del genio malagueño, sulla base del confronto visivo. La ricerca di tali modelli non è mai un processo sterile: essa è, al tempo stesso, un contributo fondamentale alla ricostruzione del processo creativo e parte di quell’inevitabile dialogo che le sue opere hanno da sempre sollecitato nell’osservatore.

Il percorso di visita si divide quindi in due parti: la prima è quella relativa ai soggiorni partenoperi di Picasso, delineando come si presentava il museo al tempo (allora non ancora solo “archeologico”) mentre la seconda focalizza sui dialoghi tra le opere del museo e i lavori dell’artista spagnolo. Tra queste si segnala la presenza di trentasette delle cento che compongono la Suite Vollard, un prestito del British Museum di Londra. Tali incisioni, realizzate tra il 1930 e il 1937, si configurano come un fulcro interpretativo. A queste si aggiungono i prestiti del Musée national Picasso-Paris e di Gagosian New York.

Dettagli

Schede di approfondimento

(Testi di Clemente Marconi – courtesy Electa)

  • L’Ercole Farnese e la Suite Vollard
    Secondo lo storico dell’arte britannico John Richardson, il principale biografo di Picasso, la serie di cento stampe che compongono la cosiddetta Suite Vollard, realizzate tra il 1930 e il 1937, offrirebbe una delle testimonianze principali della particolare importanza dell’Ercole Farnese per Picasso. Il riferimento va in particolare alla serie di incisioni che vanno sotto il titolo di Studio dello scultore (1933-1934), in cui Picasso identifica sé stesso con il protagonista, che più di una volta ha una testa e tratti del volto che richiamano da vicino l’Ercole, incluso talvolta l’atteggiamento pensoso. A queste incisioni va aggiunta un’opera del luglio 1933, Lo scultore e la sua statua (Berlino, Staatliche Museen zu Berlin, Museo Berggruen), nella quale lo scultore, seduto e con un braccio poggiato su una testa colossale, contempla una statua femminile. Non c’è dubbio che lo sguardo e la resa dell’anatomia dello scultore richiamino l’Ercole Farnese anche più delle incisioni della Suite Vollard, confermando ulteriormente l’autoidentificazione di Picasso con la statua.
    Inoltre, sempre secondo Richardson, nella stessa serie della Suite Vollard l’Ercole Farnese andrebbe
    riconosciuto nella testa di dimensioni generalmente colossali presente in diverse incisioni, nella funzione
    sia di opera già realizzata che di modello. Si è proposta, in alternativa, l’identificazione di alcune di queste
    teste con lo Zeus Olimpio di Fidia, ma l’impressione è che ci si trovi sempre di fronte a versioni più o meno
    schematiche dello stesso tipo di testa, chiaramente ispirato, date le dimensioni e la fisionomia, dal nostro
    Ercole in riposo.
    In conclusione, seguendo tutte queste proposte di Richardson, se ne dovrebbe concludere che la serie dello Studio dello scultore della Suite Vollard, per sé la principale esplorazione della scultura classica da parte di Picasso, rappresenterebbe il principale omaggio dell’artista all’Ercole Farnese.
  • Picasso e l’Ercole Farnese
    Sempre secondo John Richardson, il grande maestro catalano avrebbe provato un’ossessione per l’Ercole Farnese: sia in termini formali, per le sue dimensioni colossali e le variazioni di proporzioni tra le parti del corpo, che diventeranno una caratteristica delle figure del “secondo periodo classico”, sia a livello di contenuto, per l’immagine di Ercole con il volto pensoso e la testa abbassata sotto il peso delle fatiche intraprese, che avrebbe portato Picasso a identificare sé stesso in questa immagine dell’eroe. Tale fascino della statua non sorprende, considerato come fin dalla sua scoperta nel 1546 l’opera fosse una delle statue più celebri dell’antichità classica, ispirando artisti come Michelangelo, Annibale Carracci e Rubens. Anche se a partire dall’epoca neoclassica la fortuna dell’opera si attenuò, Picasso appartiene a una nutrita schiera di artisti affascinati dalla statua. Al riguardo, quello dell’Ercole è un caso esemplare della generale tendenza, da parte di Picasso, a ignorare l’opinione negativa espressa dagli studiosi di arte antica dell’epoca. Per l’Ercole basti citare il giudizio sulla statua di Charles Picard, una delle principali autorità sulla scultura greca del Novecento, che nel 1926, in un suo primo manuale sul tema commentava in maniera sprezzante l’opera, definendola “assai pretenziosa” e presentando Glicone ateniese, autore della statua, come uno scultore che avrebbe preso a esempio Lisippo, “aggiungendo allo stile del maestro di Sicione la peggiore enfasi asiatica”.
  • Picasso e le sculture Farnese
    Oltre all’Ercole e al Toro Farnese, la letteratura su Picasso ha posto l’enfasi su altre sculture della stessa
    collezione che sarebbero servite da modello per le figure maschili giovanili e femminili del “secondo periodo classico”. Si tratta anzitutto del ritratto di Antinoo e della testa colossale di Artemide tipo Ariccia, nota come Era Farnese. In realtà l’immagine di Antinoo è riconoscibile in maniera lampante solo in una delle incisioni della Suite Vollard, e assai meno in altre opere con figure giovanili del “secondo periodo classico”. Quanto all’Era Farnese, l’opera è stata considerata un modello per le teste femminili classicizzanti realizzate a Fontainebleau nell’estate 1921 e generalmente associate a Tre donne alla fontana dello stesso anno (New York, The Museum of Modern Art). Indubbiamente il taglio dato a queste teste, che include l’indicazione della parte superiore del torso, ricorda da vicino un busto antico; ma diversi particolari del volto e dei capelli si discostano dall’Era Farnese ed è difficile escludere dipinti come l’Arcadia dell’Ercole e Telefo (esposto qui al MANN) come ulteriore fonte di ispirazione, come pure altre sculture classiche, talvolta menzionate in letteratura. Il modello dell’Era Farnese sarebbe però riconoscibile in alcune teste femminili nella Suite Vollard. Altre opere della collezione Farnese che possono aver fornito ispirazione a Picasso sono il gruppo di Pan e Dafni, per il soggetto e le prime fasi del Flauto di Pan; la Flora, per la resa del panneggio di diverse figure femminili del “secondo periodo classico”; l’Amazzone a cavallo (esposta al MANN), per le figure di donne a cavallo o di cavalli rampanti in una serie di incisioni della Suite Vollard; il busto di Sileno, per diverse teste della Suite Vollard; e infine le statue di Afrodite, come il tipo Dresda Capitolino, la cosiddetta Callipige (esposta al MANN), o l’Afrodite accovacciata, variamente associabili alle statue di Afrodite e figure di modelle nella Suite Vollard.
  • Picasso e il Toro Farnese
    Gli studiosi di Picasso sono unanimi nel considerare l’incontro di Picasso con le sculture Farnese come una delle principali rivelazioni artistiche del suo viaggio in Italia nel 1917. Il riferimento più frequente è in particolare alle sculture colossali dalle Terme di Caracalla, a partire dall’Ercole e dal Toro, che avrebbero avuto un impatto sull’opera classicizzante di Picasso ben maggiore rispetto alle collezioni di scultura greca e romana del Louvre. In particolare, la letteratura su Picasso ha insistito sul duplice effetto che il gigantismo e la monumentalità tridimensionale delle sculture Farnese avrebbero avuto sull’opera di Picasso: da un lato, conferire un aspetto scultoreo alle opere pittoriche e alle stesse opere scultoree dell’artista, segnate prima dell’incontro con il Museo Nazionale dalla bidimensionalità dell’approccio cubista; dall’altro, rendere l’artista particolarmente sensibile alla scala, nel senso non tanto di dimensioni ma soprattutto di proporzioni. Una delle testimonianze più significative della sensibilità di Picasso per il senso delle proporzioni e le variazioni di scala è data non a caso dalle stampe della Suite Vollard della serie dello Studio dello scultore, qui in mostra, comprese le incisioni che mostrano lo scultore intento a osservare statue di formato inferiore al naturale e la presenza ossessiva di teste di dimensioni superiori al naturale e colossali.
    Quanto al Toro Farnese, mancano nell’opera di Picasso riferimenti espliciti al gruppo. È però possibile
    confrontare la composizione piramidale della scena con una serie di opere del “secondo periodo classico”, a partire dalla Corrida del 1922 (Parigi, Musée national Picasso-Paris) e dal Ratto del 1920 (New York, The Museum of Modern Art). A queste opere si può aggiungere il gruppo scultoreo della tav. 57 della Suite
    Vollard. In effetti, considerato il particolare interesse di Picasso per i tori e la corrida, è difficile pensare che
    il colossale gruppo farnesiano non abbia esercitato una sua impressione sull’artista.
  • Picasso e il Minotauro
    Nella mitologia classica, la storia del Minotauro consiste in due parti: la prima riguarda la concezione del mostro, mentre la seconda comincia con il tributo che Minosse esige dagli Ateniesi e si chiude con l’uccisione del mostro da parte di Teseo, che grazie all’aiuto di Arianna riesce a trovare la via di uscita dal Labirinto.
    Data la particolare rilevanza per Atene di questa seconda parte del mito abbiamo diverse rappresentazioni di questo soggetto su vasi attici a figure nere e figure rosse. Queste immagini si concentrano in genere sull’uccisione del Minotauro, con Teseo che afferra la testa del mostro terrorizzato nell’atto di fuggire o lo
    trafigge con una spada.
    L’interesse di Picasso per il Minotauro si concentra su questa seconda parte del mito, a partire dalla copertina del primo numero della rivista Surrealista Minotaure del maggio 1933, per la quale Picasso raffigura il mostro scaraventato a terra da Teseo, ma pronto a combattere fino all’estremo. A questa immagine, che enfatizza la ferocia del Minotauro, vanno affiancate le incisioni coeve per la Suite Vollard, qui in mostra, che evidenziano il lato umano del mostro, ferito e prossimo a essere ucciso da Teseo.
    La figura di Teseo e gli spettatori che protendono le mani in direzione del Minotauro sono un evidente
    richiamo al dipinto di Teseo liberatore da Pompei, di cui Picasso aveva una foto Alinari. Tuttavia, l’intero mito è riformulato da Picasso nei termini di una corrida, soggetto particolarmente caro all’artista. Altre immagini del Minotauro nella Suite Vollard sono ancora più distanti dalla tradizione classica, come il Minotauro che brinda e il Minotauro cieco. Queste incisioni fanno da premessa alla Minotauromachia, l’opera di Picasso caratterizzata dal più alto livello di consapevolezza del proprio rapporto creativo con la tradizione classica.
  • Pasifae
    Nella mitologia greca e romana la prima parte della storia del Minotauro riguarda la concezione del mostro,
    risultato dell’unione di Pasifae, moglie di Minosse, re di Creta, con un toro. Questa parte è raccontata da un certo numero di fonti letterarie antiche e, malgrado alcune variazioni, la storia è abbastanza coerente, a partire dall’ira di un dio verso Minosse o Pasifae. Come punizione divina, Pasifae concepisce una passione per un toro, e per soddisfare il suo piacere sessuale la regina ricorre all’arte di Dedalo. Da questa unione di Pasifae col toro nasce il Minotauro, una creatura che combina il corpo di un toro e quello di un uomo, e che Minosse imprigiona nel Labirinto. Malgrado questa storia fosse messa in scena fin da Euripide, essa è raramente rappresentata nell’arte greca e diviene più popolare nell’arte romana.
    È probabile che Picasso conoscesse la storia del Minotauro nella sua interezza ed è interessante prendere in esame le parti del mito che, a differenza dei Surrealisti, non ha affrontato, a cominciare dalla figura altamente erotica di Pasifae, personaggio che Picasso può ben aver incontrato in immagine a Pompei e nella visita del Museo Nazionale, e dalla sua storia d’amore con il toro, illustrata in numerose opere di André Masson realizzate tra 1932 e 1945. Questa è una ulteriore testimonianza dell’approccio selettivo di Picasso alla tradizione classica, e della sua relativa libertà dal movimento Surrealista, interessato dagli aspetti più cupi del mito greco. A Picasso, al contrario, interessava il Minotauro per il suo lato umano, anzi troppo umano.

Didascalie immagini

  1. uno scatto all’ingresso della mostra con al centro “Flora” la colossale statua in marmo bianco di ben 344 centimetri di altezza appartenuta alla Collezione  Farnese
    inv. 6409 Napoli, Museo Archeologico Nazionale
    credito fotografico MANN © Cosentino
  2. veduta di una sala espositiva con al cento “Ercole in riposo“un altra colossale statua in marmo bianco pentelico (altezza 317 centimetri) appartenuta alla Collezione  Farnese
    inv. 6001 Napoli, Museo Archeologico Nazionale
    credito fotografico MANN © Cosentino
  3. veduta della sala dove tronggia il “Toro” gruppo statuario del supplizio di Dirce in marmo giallastro a grana fine – parti antiche – dimensioni 370×295/300 cm. appartenuto alla Collezione  Farnese
    inv. 6002 Napoli, Museo Archeologico Nazionale
    credito fotografico MANN © Cosentino
  4. ulteriore veduta di una sala con a sinistra “Pan e Dafni“coppia di figure in marmo bianco che rappresenta il dio Pan, dai tratti caprini, seduto al fianco del pastore Dafni (altezza 158 centimetri) appartenuta alla Collezione  Farnese
    inv. 6329 Napoli, Museo Archeologico Nazionale
    credito fotografico MANN © Cosentino

In copertina
la parte alta di Afrodite accovacciata, statua in marmo bianco a grana media, probabilmente pario (corpo); marmo bianco a grana fine (testa), altezza 122 centimetri
inv. 6297 Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. Foto © Luigi Spina

Dove e quando

Evento:

Indirizzo: MANN Museo Archeologico Nazionale - Piazza Museo, 19 - Napoli
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Fino al: 27 Agosto, 2023