Lo scorso 19 dicembre Fabiola aveva anticipato la spettacolare mostra allestita fino all’11 giugno 2023 alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, realizzata in occasione del quinto centenario della morte di Piero di Cristoforo Vannucci. E’ indubbio valga il viaggio, non fosse atro per il prestito dello Sposalizio della Vergine tornato a Perugia per la prima volta dopo le spoliazioni napoleoniche ordinate da quei galantuomini del Direttorio esecutivo e del Cittadino generale.

Se alla vigilia della prima campagna napoleonica italiana il gusto collezionistico francese era ancora orientato verso un certo classicismo, le opere del Perugino ne uscirono indenni in quanto non considerato un maestro del rinascimento maturo (riconoscendogli solo il merito di aver avviato all’arte Raffaello) purtroppo però, nel 1797, Jacques-Pierre Tinet fu inviato dal “Nano Malefico” a Perugia per disporre nuovi furti.

Tinet scoprì il prestigio di cui godeva Perugino, tanto da definirlo nei suoi documenti: “Il miglior fiore, che quivi era rimasto” e, in questa nuova “illuminata” spoliazione, ben ventidue opere del Divin pittore furono requisite, depauperando la consistenza del patrimonio, ma, nonostante ciò, la collezione della Galleria Nazionale dell’Umbria, per qualità e quantità – come dal nuovo ordinamento della Galleria Nazionale recentemente inaugurato – resta uno scrigno fondamentale dell’artista e senza dimenticare tutte le opere fruibili in città e nel territorio regionale.

L’occasione di questa mostra, progettata e curata dal direttore Marco Pierini e dalla conservatrice Veruska Picchiarelli (coinvolgendo un nutrito parterre di studiosi allo scopo di dar vita non a un mero catalogo, ma a un affresco di più vaste dimensioni capace di raccontare da prospettive diverse, eppur convergenti, il protagonista di quest’impresa e il contesto storico e artistico nel quale operò), restituisce la visione di quello che fu tale patrimonio, non solo riportando temporaneamente a casa alcune delle opere più celebri derubate, ma altre tavole che, ulteriori vicissitudini storiche, hanno portato lontano.

Come ha ben spiegato Marco Pierini «… per oltre un quarto di secolo ha dominato e “contaminato”, si direbbe oggi, la scena artistica italiana, diffondendo la sua maniera dalla Campania al Piemonte con un fulcro stabilmente ancorato tra la Firenze del Magnifico Lorenzo, la Perugia dei Baglioni, la Roma dei grandi papi, da Sisto IV ad Alessandro VI.

La capacità di Perugino di interpretare ed esaltare i valori civili e religiosi “del suo tempo” – denso di trasformazioni che non mancarono di riflettersi, fatalmente, anche nelle arti – è una delle principali chiavi di un successo e di una fama che raggiunsero i più prestigiosi committenti dell’epoca e i numerosi “colleghi” e seguaci attivi in tutta Italia, gli uni affannati a contendersene i lavori, gli altri intenti a imitarne le armoniose, pacifiche composizioni.

Eppure quell’attitudine a rendere canonica la perfezione ideale, così a lungo apprezzata, fu anche la ragione del suo declino, giunto precipitosamente con l’emergere di una nuova generazione capace di conferire forma nuova ai tempi che stavano di nuovo mutando».

Ancora oggi Perugino rappresenta per la comunità cittadina una sorta di metafora talmente identificativa da essere diventata nel tempo simbolo di Perugia stessa, e non a caso, a lui venne intitolata la prima Pinacoteca Comunale oggi Galleria Nazionale dell’Umbria. Peculiarità della mostra è mettere in connessione l’interprete attento, artista apprezzato conteso in tutta Italia, e il legame indissolubile del proprio nome al territorio cui appartenne.

E’ ben evidenziato come sia stato il punto fermo nella geografia artistica del suo lavoro contribuendo a rendere, quanto dalla Toscana arrivava nelle Marche passando per l’Umbria, proprio “in quel tempo”. Il valore e l’importanza delle opere esposte, in un itinerario composito tra sperimentazioni tecniche di sorprendente modernità e affreschi, tavole dorate, tele, sculture lignee, oggetti devozionali, pale d’altare riflettono sul piano artistico il ruolo particolare che l’Umbria ha avuto nella storia religiosa dell’Italia e dell’Europa.

Il tutto supportato da un’accurata attività di restauro e di studio condotta in questi anni, tra cui la scoperta dell’ultimo minuto, un ulteriore autoritratto – di come l’artista si vedeva a quarantacinque anni – andato ad aggiungersi ai due certi. L’opera è quella conservata alle Gallerie degli Uffizi fino a oggi attribuita a Raffaello.