Giunto quest’anno al nono anno di attività espositiva, focalizzata su tematiche o personalità dell’arte italiana del XIX e XX secolo, il Centro Matteucci per l’Arte Moderna di Viareggio dedica l’estate 2018 alla figura di Oscar Ghiglia. Ghiglia Classico e Moderno, è l’appuntamento estivo a cui gli appassionati d’arte in Versilia non possono proprio rinunciare.
Sotto la curatela di Elisabetta Matteucci, la mostra, visitabile fino al 4 novembre, ricostruisce le vicende artistiche e collezionistiche del pittore livornese, definito “il più italiano ed insieme il più europeo degli artisti d’inizio Novecento“, che ha saputo aggiornare la lezione di Fattori, far propria quella di Van Gogh e Cézanne, e proporre una nuova visione dell’arte, che concilia tradizione e modernità.
L’esposizione è una selezionatissima monografica composta da circa cinquanta dipinti, tra i quali, a fianco di quelli più conosciuti, sono esposti circa venti capolavori inediti di Oscar Ghiglia (Livorno 1876 – Firenze 1945), provenienti da importanti collezioni private.
A rendere la mostra un evento di ancor maggior spessore è il completamento del percorso con due opere di Amedeo Modigliani (Livorno 1884 – Parigi 1820), che permettono di cogliere, si tratta di una delle prime occasioni, il legame tra i due artisti, sulla base delle comuni radici livornesi. Punto di partenza per la loro attività è infatti la pittura di un altro celebre livornese, Giovanni Fattori, declinata secondo modalità ed estetiche differenti. Inoltre nonostante il silenzio venutosi a creare intorno a Ghiglia dopo la sua morte, ‘Modì’ nutriva una grande stima nei confronti dell’amico.
Indole meditativa e sensibile, Ghiglia non amava la mondanità, e anche una volta raggiunto il successo non volle esporsi spesso alla competizione di mostre e concorsi. Alla scarsa promozione di se stesso si aggiungeva il carattere introverso dell’artista. Sono forse questi elementi ad aver determinato il ritardo del pubblico a comprenderne la portata e il valore artistico. “Molti si onorarono di ammirarlo; non tutti eran capaci di comprenderlo”, scrive Giovanni Papini alla moglie dell’artista in una commemorazione dell’amico.
E’ a partire dagli anni Settanta, con gli studi di Raffaele Monti e Renato Barilli che viene rivalutata la figura di Oscar Ghiglia, il suo talento e la sua unicità nel panorama artistico dei primi decenni del Novecento. La sua pittura priva di contaminazioni dirette, probabilmente dovuta alla sua formazione da autodidatta, rappresentava un caso del tutto isolato per l’epoca.
Nonostante gli stretti contatti con gli intellettuali più brillanti del suo tempo, tra cui spiccano, tra gli altri, Giovanni Amendola, Ugo Ojetti, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini, Ghiglia non era molto aperto alle relazioni amicali e spesso entrava in contrasto anche con gli amici più vicini, tra i quali gli stessi Papini e Modigliani.
Di Papini, Oscar condivideva le idee della rivista “Il Leonardo”, fondata dal letterato nel 1903 insieme Prezzolini, a cui collaborarono anche Spadini e Borgese, mentre non appoggiò la svolta futurista di “Lacerba”, fondata nel 1913.
Anche con Modigliani si creò un distacco, sebbene le ragioni non siano chiare. Tra i due si era instaurato un sodalizio testimoniato da cinque significative lettere inviate da ‘Dedo’ a Ghiglia nel 1901, durante il soggiorno a Venezia e Capri. Un Modigliani che, dal tono delle lettere, riconosce nell’artista più maturo il proprio alter ego.
Come abbiamo accennato, l’approdo finale dell’arte di Ghiglia passa attraverso l’interiorizzazione dei principali elementi dell’arte italiana – classica e moderna – e insieme delle novità d’Oltralpe. Compiuto questo percorso, egli rielabora i diversi apporti in modo del tutto personale. Ma vediamo in cosa consiste davvero la sua originalità.
Innanzitutto è bene sottolineare, come già anticipato, che Ghiglia fu un talento autodidatta, sprovvisto di una regolare e completa formazione.
E’ inoltre fondamentale, per comprenderlo, ricostruire il clima in cui l’artista si è formato ed ha operato, soffermandoci sui dibattiti artistici dell’epoca. All’inizio del XX secolo, con le Avanguardie che si affemravano sempre più in Europa, un quesito assillava costantemente gli artisti italiani: come riuscire ad essere moderni pur ispirandosi agli antichi?
Dopo aver mosso i primi passi a Livorno e aver fatto propria la lezione sintetista di Fattori, Ghiglia si trasferisce nel capoluogo toscano, luogo fortemente ricettivo in questa fase storica. All’inizio del Novecento, Firenze è un’importante fucina per numerosi movimenti in campo letterario, artistico e culturale. Nella Città del Giglio è in corso un rinnovamento dell’arte, della cultura e della mentalità italiane. Questo perché in questo momento a Firenze, dopo il breve periodo di capitale d’Italia (1865-1871), in controtendenza, si forma una visione nuova e coraggiosa della modernità, intesa come qualcosa che costituisce il presente e pone le basi del futuro attraverso il dialogo con il passato. Viene così a crearsi un nuovo linguaggio, che attualizza il lessico della tradizione con un idioma moderno.
Ghiglia, dunque, si forma nella Firenze “modernista”, delle mostre rivoluzionarie della Promotrice e di Palazzo Corsini. Talento autodidatta, egli è fortemente ricettivo alle nuove istanze cosmopolite, e fonde classico e moderno in una personalissima invenzione che, pur avendo come riferimenti Cézanne e Fattori, arriva ad esiti ben diversi da impressionisti e post-impressionisti, nonché dai Macchiaioli toscani.
Le sue ricerche lo conducono ad una pittura fuori dal tempo, un equilibrio inedito dove passato e presente si fondono in un messaggio dall’inedita freschezza, rendendo la sua pittura ancora oggi attuale, moderna, proprio in virtù dell’essere classica. Lo stesso Giovanni Papini se n’era accorto al tempo, quando lo definiì uno dei giovani “artisti italiani dai quali si possa sperare qualcosa di così antico da sembrare nuovissimo”.
In una città come abbiamo visto interessata da grandi fermenti eterogenei, artistici, letterari e culturali qual è la Firenze di inizio Novecento, l’ammirazione per Van Gogh fu diffusa nel 1907 sulle colline di Fiesole da Maurice Denis, il quale introdusse anche la spiritualità e il misticismo del gruppo dei Nabis, che nel capoluogo toscano sarà tradotta in una delicata devozione popolare.*
Cézanne invece, percepito da subito come capofila di una vera e propria rivoluzione pittorica, costituisce il riferimento obbligato per tutta quella generazione di artisti toscani di inizio Novecento, che, con una tradizione che aveva il fondamento in Giotto e attraverso Piero della Francesca, il Rinascimento, i Primitivi e i Macchiaioli, era giunta fino al Novecento, rifletteranno sui valori plastici, sulla costruzione plastica di figure e oggetti.
Elementi fondamentali del lavoro di Ghiglia sono dunque l’adesione al vero, derivata da Fattori, l’evocazione interiore, riflesso delle visioni spirituali Nabis, cui si aggiunge la costruzione dei volumi derivata da Cézanne, un mix originale che si fonde con l’apporto della sensibilità dell’artista.
Riflessi nello stile di Ghiglia di questi diversi influssi sono le figure immobili, costruite con una pennellata pura, immerse in una dimensione atemporale e sovrannaturale. Sulla scia di Cézanne, l’artista arriva alla struttura originaria delle forme e delle figure, fatta di volumi e di forme, “alla stregua di solidi umanizzati dai volti imperturbabili”, suggerisce Elisabetta Mattucci.
La riflessione sull’artista francese viene mediato in chiave primitiva, e si pone a confronto con i modelli di Piero della Francesca, da cui Ghiglia mutua l’mperturbabilità dei volti, il senso di calma, di delicatezza ma al tempo stesso di forza, come si può constatare anche nei modelli antichi, dalla Mesopotamia e dall’Egitto fino ad arrivare alla classicità greca, e che ispirarono la scultura romanica.
Spesso nella storia dell’arte i ritratti più significativi sono di tipo esistenzialista, figure libere da ogni posa, da ogni incertezza, senza alcun particolare attributo, personaggi che esistono. Come quelli di Oscar Ghiglia.
La sua è dunque una dimensione trascendente che irradia un senso di assoluto ma che ha in sé una malinconia latente. Così percepisce Ghiglia il senso della pittura: “Io penso alla pittura come a un sogno lontano e mi pare di averne goduto il bene in un’altra vita, tutto quello che avviene mi pare non mi riguardi, la mia volontà è come in letargo assieme alle mie idee, agisco, mi muovo come guidato o spinto da qualcosa che io non conosco e non riesco a comprendere ma che mi fa molto soffrire. Le persone che avvicino sono insopportabili e fan parte di quel gregge insopportabile che forma l’umanità”.
Se l’arte è da sempre vista come un modo per sconfiggere il tempo e vivere anche dopo la morte terrena, ossessione di ogni artista è quella di creare un’arte destinata a durare nel tempo. Un’arte che sia eterna. Nel clima delle grandi rivoluzioni nell’arte Europea del primo Novecento, dove imperversa l’avanguardia cubista, Ghiglia sceglie con coraggio una strada autonoma, dove l’obiettivo finale è dare forma alle proprie sensazioni.
Per quanto riguarda il collezionismo di opere di Ghiglia, nonostante il carattere chiuso e poco incline alla mondanità, l’artista instaura un buon rapporto con molti dei suoi collezionisti, in gran parte ebrei, che raccoglievano il meglio della sua produzione, e polacchi.
Ma anche con letterati e uomini di cultura, e in fasi ancora precedenti alla sua affermazione. A tal proposito, decisivo sarà per l’ascesa dell’artista l’incontro con Ugo Ojetti e sua moglie Fernanda, avvenuto domenica 6 gennaio 1907, testimoniato una lettera di Fernanda, la quale parla di “uno studio grande come la toeletta mia, povero, freddo e lercio”.
Numerose sono le commissioni ricevute dalla famiglia Ojetti insieme ad altre opere di Ghiglia da loro raccolte, di cui in mostra vediamo esposti celebri esempi come Ugo Ojetti nello studio, Fernanda al pianoforte e molte altre.
Un’altra figura di riferimento per la carriera di Oscar Ghiglia è quella di Mario Galli, mercante e collezionista, figura che sarà anche alla base anche della rivalutazione e valorizzazione della pittura macchiaiola e postmacchiaiola.
Galli attivò un collezionismo ‘d’avanguardia’ e in meno di dieci anni, a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Novecento, diventerà il principale mediatore e referente della futura generazione di amateurs. A partire dal 1918 diviene il mercante ufficiale di Ghiglia, di cui è anche un appassionato collezionista, rivendicando il diritto di prelazione sulle sue opere, verso le quali nutre dunque un duplice interesse sia di mercante che di collezionista. Galli sarà dunque il tramite per avvicinare a Ghiglia un buon nucleo collezionisti.
Aperta dall’Autoritratto giovanile presentato alla Biennale di Venezia nel 1901, suo vero e proprio esordio artistico, l’esposizione è suddivisa cronologicamente in sette sezioni.
La prima è dedicata agli anni di via Mannelli a Firenze (1903-1906), ed è incentrata sulla figura della moglie Isa Morandini e sul ritratto in genere, inteso non tanto come resa fedele del dato reale, quanto piuttosto come pretesto di riflessione sulla pittura, per sperimentare la luce e la resa materica. Splendido in tal senso il Ritratto di signora, esposto alla Biennale del 1903, uno dei primi capolavori di Ghiglia, secondo Giovanni Papini.
A partire dal 1905 la pennellata si semplifica e va verso una resa sempre più moderna del colore e della forma, come si può vedere nello splendido dipinto Allo specchio (1905-1906).
La seconda sezione è dedicata al fecondo periodo della fiorentina via Boccaccio (1906-1908), quando Ghiglia, sarà una delle poche fasi della sua carriera, partecipa a numerose rassegne, tra cui la Promotrice Fiorentina del 1906, dove esporrà ben tredici opere. Nonostante la sua natura come abbiamo detto introversa e riservata, l’artista prende maggior consapevolezza di sé e del suo lavoro, apre il suo mondo di intimità e affetti per arrivare a rappresentare un’emozione ‘universale’. Approfondisce lo studio della luce e dell colore, che diviene qualcosa di tangibile in soggetti floreali come La Signora Ojetti nel roseto (1907).
La tappa successiva è dedicata ad un’altra fase fiorentina, gli anni di via degli Artisti (1908-1913), dove nascono nuovi e sempre più interessanti dipinti, che approdano, secondo le parole di Papini, ad una “forma d’arte, ch’è nuova non soltanto per lui ma anche per l’Italia”, opere senza tempo che coniugano la tradizione dei classici con l’originalità del pittore.
Sul finire del primo decennio del Novecento, le opere di Ghiglia compiono un passo ulteriore e donano una nuova dignità al quotidiano. Attività semplici e domestiche come l’istantanea di una tavola, gesti umili e apparentemente scontati come quello di pulire le cibarie o pettinarsi, assumono un senso nuovo di ieraticità.
Le nature morte si animano e diventano fonte d’emozione, lo spazio viene suddiviso in partiture rigorose eppure plastiche e materiche, dando vita ad una meravigliosa armonia compositiva.
Sono anche gli anni che vedono una particolare attenzione alla figura femminile, colta nella purezza del gesto quotidiano. Ecco Donna che si pettina, dove la plasticità della figura è resa con forza dalla veste bianca su sfondo monocromo con un particolare equilibrio dei toni caldi e freddi, dalle linee curve e rette.
La quarta sezione documenta un periodo (1912-1918) in cui Ghiglia si apre ai modelli d’Oltralpe più apprezzati, che divengono suoi riferimenti imprescindibili: Van Gogh e Cézanne. In una lettera al conterraneo Renato Natali, Ghiglia esplicita quali sono due dei suoi principali riferimenti artistici: “Son contento che ti piaccia Van Gogh, ma cerca ancora di vedere Cézanne, ti convincerai che il passato è l’avvenire”.
Grazie anche all’accesso alla ricca e aggiornata biblioteca di Ojetti e familiarizzando con alcuni esempi di pittura internazionale presenti nella collezione del mecenate Sforni, Ghiglia approfondisce gli elementi neo-impressionisti presenti nel maestro francese. Ne risultano opere, sia nature morte sia figure, dove i volumi vengono definiti con una sorta di disgregazione materica, e non tanto dalla marcatura dei contorni.
La quinta tappa della mostra è dedicata al soggiorno a Castiglioncello (1914-1918), luogo in cui Ghiglia rinsalda il legame con Fattori, ora aggiornato secondo la lezione di Cézanne. E’ il periodo in cui realizza Paulo con la barca, dipinto a lui molto caro, che rappresenta il suo secondo figlio mentre gioca con una barca a vela, uno sport al cui egli si appassiona e che diviene, nel quadro come nella sua vita, una fuga ideale dalla realtà.
Siamo quasi giunti alla fine del percorso con la sesta sezione (1918-1942), dove sono esposte le opere della fase più matura del pittore. L’esempio di Cézanne è stato interiorizzato e reso ancora più evidente attraverso la distribuzione del colore puro e vivido e una pennellata che frammenta la superficie pittorica e la fa vibrare. I volumi appaiono come inamidati, le atmosfere immobili, come sospese.
A questo periodo risale il suo secondo Autoritratto (1927) nel quale si coglie la natura inquieta e umbratile dell’artista. Il calco etrusco e la stampa giapponese presenti sullo sfondo creano un effetto dinamico, fanno dialogare ancora una volta classico e moderno.
La settima ed ultima sezione verte sul rapporto Ghiglia-Modigliani. E’ qui che si trovano le due opere di Modì, entrambe del 1915, L’Enfant gras, in prestito dalla Pinacoteca di Brera, e La folle rouge, dalla GAM di Torino. Prendendo le mosse dal conterraneo Giovanni Fattori, da cui viene fatta propria la resa tonale e l’incisività del segno, i due artisti si muovono in direzioni diverse, muovendosi verso diverse rielaborazioni del maestro livornese.
Anche dopo il trasferimento a Parigi, Modigliani nutrirà un’alta stima nei confronti del più maturo amico, come testimoniano le sue stesse parole, riferite da Anselmo Bucci nei Ricordi Parigini (1931): “IN Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta“.
In copertina:
Oscar Ghiglia, Tavola imbandita (particolare), 1908
olio su tela, 55×79 cm
- Oscar Ghiglia, Ritratto della moglie Isa Morandini, 1902
olio su tela, 130×130 cm - Oscar Ghiglia, Tavola imbandita, 1908
olio su tela, 55×79 cm - Oscar Ghiglia, Donna che si pettina, 1909
olio su tela, 61×58,5 cm - Oscar Ghiglia, Paulo con la barca, 1918
olio su tela, 63×63 cm
Dove e quando
Evento: Oscar Ghiglia classico e moderno
- Fino al: – 04 November, 2018
- Indirizzo: Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna – via D’Annunzio, 28 Viareggio (LU)
- Sito web