Al Museo Santa Caterina di Treviso è allestita, fino al prossimo 31 maggio 2020, una originale esposizione che mette in dialogo il soggetto “Still Life” con la fotografia contemporanea.
Infatti, viene documentata “Natura Morta” partendo da come si sia sviluppata tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il Diciassettesimo einvitando lo spettatore a osservare, sotto una nuova luce uno dei generi più suggestivi della pittura europea.

Operazione resa possibile dalla prestigiosa collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna che ha messo a disposizione cinquanta capolavori – fra l’altro presentati per la prima volta in Italia – integrati da ulteriori prestiti provenienti da importanti musei e fondazioni venete. La rassegna, curata per la sezione antica da Francesca Del Torre, con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot – responsabili del Kunsthistorisches Museum di Vienna rispettivamente per la pittura italiana, fiamminga e olandese – e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci di Venezia, per la sezione fotografica, è il primo appuntamento di un ampio progetto di mostre ed eventi con lo scopo di valorizzare, in Italia e all’estero, il patrimonio della Marca trevigiana.

Lo still life – ha inoltre spiegato Denis Curti, curatore della sezione fotografica – è un genere fotografico che continua a registrare un crescente interesse e che, con la tecnologia digitale, è addirittura esploso. La selezione di immagini in mostra è lo specchio di questa passione ed è il riflesso di una modalità fotografica che intende avvicinarsi agli stessi sentimenti delle pratiche pittoriche.

Un percorso sorprendente, al tempo stesso tematico e cronologico, dovele sette sezioni raccontano l’evoluzione di un genere che ha le sue origini già nell’antichità, ma che conquista l’attenzione dei Bassano, nel Veneto, per poi assurgere al rango di rappresentazione autonoma intorno al Seicento nei Paesi Bassi dove raggiunge il suo apice, diventando una delle più forti fonti d’ispirazione anche per i grandi artisti contemporanei che reinventano e reinterpretano il tema con personali e talvolta visionarie suggestioni.

Straordinarie vanitas, composizioni floreali, raffinate scene di mercato, sontuose tavole imbandite accanto a ritratti di interni e delle stagioni o preziosi simboli iconici che ricordano la caducità della vita e dei suoi piaceri, come farfalle, libri, orologi, strumenti musicali.

Tra i capolavori arriviati dalla capitale austrica, si segnalano nella sezione “Mercati”, Estate di Francesco Bassano (1585/1590), opera che ricorda allo spettatore il contesto geografico in cui si è immersi. Raggruppando episodi biblici e soggetti di vita agreste, questa rappresentazione della stagione estiva – identificabile grazie all’apparizione in cielo dei tre segni zodiacali Cancro, Leone e Vergine – è arricchita difatti dal sapore rurale della campagna veneta.

Interessanti le scene di inteni, particolarmente amate dai pittori fiamminghi, con uno sguardo sguardo speciale a Il Medico di Gerard Dou (1653) un artista proveniente dalla “Scuola miniaturista di Leida” che riproduce due iconografie in una: se in secondo piano alcuni oggetti simboleggiano il “mal d’amore”, in primo piano, invece, il soggetto principale diventa l’uroscopia, dubbio metodo di ispezione delle urine utilizzato in passato dai ciarlatani per capire se una donna fosse in attesa di un bambino.

Ancora pittori fiamminghi per incantare l’osservatore con l’esecuzione perfetta e sfarzosa di nature morte e, nelle stanze che accolgono tali opere, spicca la Natura morta con strumenti musicali del bergamasco Evaristo Baschenis, che colpisce per minuziosità e simbolismo della caducità. Eseguito verso la metà del Diciassettesimo secolo, questo “concerto” di strumenti a corda è come una silenziosa rappresentazione teatrale, in cui suonatori fantasma hanno lasciato dietro di sé solamente alcune impronte digitali, intravedibili sullo strato di polvere accumulatosi da tempo sulle casse armoniche: tutto è evanescente, eccetto la pittura, che trionfa sulla fragilità umana.

Un altro modo di raffigurare la caducità della vita è quello delle scene venatorie o di cacciagione, dove le lotte fra diversi animali, o il bottino conquistato come trofeo, alludono altresì alla ricchezza dei committenti. Johannes Leemans esalta la fortuna di questo sottogenere, impiegando un effetto a trompe-l’œil per riprodurre una serie di Attrezzi venatori (1660 ca.). Appesi ad un pannello a muro, questi utensili realizzati in modo alquanto minuzioso simboleggiano quelli utilizzati nella falconeria, arte venatoria praticata dai nobili. Proprio per la loro preziosità, il gusto per questi inganni illusionistici si diffonde tra le classi alte della società, raggiungendo spesso prezzi elevatissimi.

Colpisce la moltitudine di fiori che dominano le pareti delle ultime sale espositive. Diventate sempre più richieste a partire dall’inizio del Diciassettesimo secolo, le nature morte con mazzi di fiori devono la loro fama a JanBrueghel il Vecchio, vero e proprio capostipite di questo genere pittorico. Il suo Mazzo di fiori in un vaso blu (1608 ca.) è considerabile come uno dei capolavori del genere, sia per la sua bellezza che per la sua precisione scientifica: per dipingere una quantità così varia di fiori, come ad esempio i tulipani, l’artista era difatti legato ai diversi tempi e periodi di fioritura di ciascuna specie. Superando la varietà stessa della natura, l’artista diventa artefice di una creazione così sfarzosa da raggiungere prezzi ancora più elevati di quelli di pale d’altare di grande formato.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Marsilio Editori.

Didascalie immagini

  1. Ferdinand van Kessel, Allegoria dell’Europa, Datato 1689, Olio su tela, 52 x 72 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  2. Martin Parr, Spain. Benidorm, 1997. © Martin Parr/Magnum Photos
  3. Hans Op De Beeck, Vanitas (1), 2011, 108,1 x 163,1 cm, Lambda print mounted on dibond back in wooden frame; Credit: Collezione Fabio Castelli (Milano Italia); Courtesy Galleria Continua San Gimignano / Beijing / Les Moulins
  4. Pieter Claesz, Vanitas, datato 1656, Olio su tavola di rovere, 39,5 cm × 60,5 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  5. Francesco da Ponte, detto Francesco Bassano, Estate, 1585/1590 circa, Olio su tela, 111 cm × 145,5 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  6. Gerard Dou, Il Medico, 1653, Olio, 49 cm x 37 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  7. Evaristo Baschenis, Natura morta con strumenti musicali, mappamondo e sfera armillare XVII secolo Olio su tela 78 cm × 118 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  8. Pittore della cerchia di Johannes Leemans, Natura morta con attrezzi da caccia, 1660 circa, Olio su tela, 118 cm × 167 cm, Courtesy KHM-Museumsverband
  9. Jan Brueghel il Vecchio, Mazzo di fiori in un vaso blu, 1608 circa, Olio su tavola di rovere, 65,8 cm × 51 cm × 0,7 cm, Courtesy KHM-Museumsverband

In copertina un particolare di
Francesco da Ponte, detto Francesco Bassano, Scena di mercato, 1580/1585 circa, Olio su tela, 125 cm × 280 cm, Courtesy KHM-Museumsverband

Le sezioni della mostra

  1. Mercati
    Le scene di mercato fecero il loro ingresso nel repertorio degli artisti dei Paesi Bassi intorno alla metà del Cinquecento, diffondendosi poi in tutta Europa. Insieme alle allegorie delle stagioni essere appartengono ai cosiddetti “precursori” delle nature morte, sviluppatesi come genere indipendente sullo scorcio del XVII secolo. I mercati offrivano ai pittori l’occasione di rappresentare fiori, frutta, cibi e oggetti di ogni tipo inserendoli in scorci di vita cittadina, e costituiscono ai nostri occhi un prezioso spaccato della quotidianità dell’epoca. Nel Veneto, il filone suscitò l’interesse dei Bassano, anche grazie all’influenza di artisti nordici come il Pozzoserrato.
    Le scene di mercato appartengono ai precursori delle nature morte, nate come complemento di dipinti di grandi dimensioni e sviluppatesi poi come composizioni indipendenti sullo scorcio del Seicento.
    I primi esempi del genere, inaugurato da Pieter Aertsen, presentavano la narrazione di un episodio biblico sullo sfondo e avevano un intento moraleggiante.
    In seguito, le scene di mercato si tradussero in allegorie dei sensi o delle stagioni, che rappresentavano scorci di vita cittadina e offrivano uno spaccato della quotidianità dell’epoca.
    In Veneto il filone suscitò l’interesse dei Bassano, anche grazie all’influenza di artisti nordici come Lodewijk Toeput, detto Pozzoserrato.
  2. Interni: tra natura morta e pittura di genere
    Quadri di genere autonomi sono noti solo a partire dal XVI secolo, ma già in età medioevale scene di cucina e di mercato vengono inserite all’interno di rappresentazioni dei mesi e delle stagioni. È poi a partire dalle opere di Pieter Brueghel il Vecchio che la raffigurazione dei contadini diventa un tema pittorico autonomo. Dopo di lui, scene di genere realizzate da artisti come van Cleve, Teniers e Dou conoscono uno strabiliante successo nell’Olanda del Seicento.
    Rappresentati in modo giocoso e talvolta ironico, i protagonisti di queste scene di interni raccontano la storia di eroi senza nome provenienti dagli strati più bassi della società, offrendo un vero e proprio “ritratto della realtà”.
  3. Tavole imbandite
    Sviluppatosi in Olanda a partire dai “banchetti” (banketje) di Pieter Claesz e Willem Heda, il genere pittorico delle “tavole imbandite” diventò simbolo del potere commerciale ed economico delle classi sociali abbienti del XVII secolo. Tappeti persiani, porcellane cinesi e frutti esotici sono solamente alcuni dei beni che la Compagnia delle Indie importò in Europa nel corso del Seicento, presentati in questa preziosa categoria di nature morte. Nella loro monumentale artificiosità, esse univano elementi naturali e artefatti pregiati in un’eterogenea alternanza di forme e colori.
    A differenza di quelle olandesi, le “tavole imbandite” italiane mettono in scena i prodotti locali, evidenziando così la prosperità della nobiltà tardo seicentesca: frutti polposi, prelibatezze e strumenti musicali non derivano difatti dal commercio internazionale, bensì da una produzione regionale-artigianale altamente specializzata.
  4. Vanitas
    La fugacità delle cose terrene, la riflessione sulla morte e il contenuto morale sono alla base delle rappresentazioni definite con il termine Vanitas che ricorre nell’Ecclesiaste: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Tali rappresentazioni si svilupparono come temi autonomi all’inizio del Seicento in Olanda, e raggiunsero l’apice dello splendore nel 1620-1660. I dipinti si popolano di teschi, fin dall’antichità portatori del significato di memento mori, strumenti musicali, clessidre, candele spente, libri e spartiti musicali combinati in infinite varianti. Si tratta di elementi che evocano gli effetti del tempo e quindi la transitorietà delle cose umane. Dietro alla più splendida apparenza si nasconde sempre il pensiero della caducità, della fine della vita: una riflessione che ricorre in tutti i campi del pensiero e della cultura dell’età barocca e che determina l’ambivalenza del genere e la sua ricchezza.
  5. Caccia
    Le nature morte con scene di caccia, o venatorie, raffigurano selvaggina abbattuta. L’origine di questo genere si deve ad artisti quali Frans Snyders e Jan Fyt nelle Fiandre e Jan Weenix in Olanda. Nei loro dipinti, la tematica del trofeo sembra eclissare quella della morte e della vanitas.
    I minuziosi dettagli di queste nature morte, che fanno ipotizzare una pittura “dal vero”, permettono di definire con precisione il periodo della caccia e di identificare i differenti tipi di attività venatoria, appannaggio di classi sociali diverse. La caccia agli uccelli era aperta a tutti, quella a cervi e cinghiali era riservata all’aristocrazia, mentre la falconeria era privilegio esclusivo dei sovrani. Artefice del successo di questo genere fu soprattutto la classe borghese, che con il tempo ebbe accesso al nobile passatempo e fece a gara per possedere questi dipinti estremamente costosi e ambiti il cui possesso nobilitava il proprietario.
  6. Fiori
    L’interesse scientifico per la natura è alla base dello sviluppo della natura morta floreale. L’influenza degli studi grafici di piante è infatti evidente nelle composizioni simmetriche, tipiche del genere, in cui gli esemplari sono visibili nella loro interezza e non si sovrappongono.
    Nell’accostamento di specie pregiate che fioriscono in periodi diversi la natura, che non può produrre una simile opulenza contemporaneamente, e nella medesima varietà, viene superata dalla “natura dipinta”. I fiori, che sono simbolo per eccellenza della fugacità, offrivano inoltre preziose occasioni di meditazione sulle meraviglie della creazione divina.
    Jan Brueghel il Vecchio, detto Brueghel dei fiori, è il massimo rappresentante di questo genere.
  7. La natura mortae il sogno della fotografia
    Simbolo della caducità della vita, dell’effimero che attanaglia la materia e l’umanità intera, il soggetto pittorico della natura morta porta con sé una spontanea attinenza con le ambizioni ideali che la fotografia ha maturato sin dai suoi esordi. Proprio questa affinità, consolidata nel tempo tra i due linguaggi artistici, e la ragione principale della presenza di una sezione fotografica all’interno della mostra di dipinti. Il binomio artistico tra pittura e fotografia vuole significare quel sentimento di continuità e di fascinazione che ancora oggi pervade la produzione contemporanea, andando aldilà dei mezzi di produzione e degli strumenti creativi e ponendo l’attenzione sui sentimenti degli autori, sui loro sogni e sulle loro visioni più intime. Pertanto, nell’ambito di un tema ricco di suggestioni e riferimenti iconografici, la selezione delle fotografie in parete vorrebbe raccontare come la natura morta abbia seguito un itinerario autonomo, in cui ogni scatto rappresenta il punto di arrivo di un’azione consapevole, che vuole penetrare la realtà e andare oltre le apparenze.

Orari
da martedì a venerdì  dalle 9.00 alle 18.00
sabato e domenica dalle 10.00 alle 19.00
lunedì chiuso.

Dove e quando

Evento: Museo di Santa Caterina – piazzetta Botter Mario, 1 – Treviso
  • Fino al: – 31 May, 2020