All’interno del festivalfilosofia – svoltosi dal 15 al 17 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo, il cui tema per l’edizione era la “parola” – è stato inaugurato il progetto espositivo “Mario Sironi. Solennità e tormento” che proseguirà fino al 4 febbraio 2024 nella Galleria BPER Banca di Modena, la diciassettesima mostra del percorso di valorizzazione dell’importante patrimonio artistico della propria corporate collection. Esposizione di grande respiro a cura di Daniela Ferrari per rileggere l’eredità artistica di uno dei protagonisti del Novecento Italiano, il movimento promosso da Margherita Sarfatti, tra gli anni Venti e gli anni Trenta, rappresentando la vocazione, nell’espressione pittorica, alla concretezza. Una bellezza senza tempo volta a superare la stagione delle avanguardie e della frantumazione formale di matrice impressionista.
Come ricorda la Curatrice in catalogo, Sarfatti fu la prima storica dell’arte italiana a individuare «subito nel lavoro di Sironi, come in quello degli altri pittori da lei sostenuti – Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig e Ubaldo Oppi – i segni di uno stile che corrispondeva a una visione dell’arte ben precisa, moderna benché rivolta ai modelli dei maestri del passato, solida, solenne, ieratica. I concetti di grandiosità e sintesi saranno costanti nell’opera di Sironi, veicolati dal suo segno sicuro e potente, dalla sua tavolozza essenziale, dalle sue forme stilizzate e incisive, sia quando lavora come illustratore, sia quando dipinge quadri da cavalletto fino a quando la sua arte si misura con opere monumentali, come nella decorazione murale e nei progetti di collaborazione con diversi architetti».
Interprete autentico dei principi del ritorno alla classicità senza mai scadere nella sterile imitazione accademica, nei primi anni Venti dipinge figure silenziose dagli sguardi riflessivi, le cui pose compiute e i cui gesti statuari anche se pacati, si esprimono in ambienti dominati dal silenzio. Daniela Ferrari, prosegue «Anche le sue nature morte sembrano provenire da un universo platonico, rarefatto, assoluto; gli oggetti dipinti hanno la funzione di simboli archetipici: il vaso, la colonna, il capitello, il canestro di frutta, la statua, la brocca, la tazza popolano le sue composizioni come modelli desunti direttamente dal mondo delle idee. Sironi è celebre per i suoi paesaggi urbani, carichi di desolazione e solitudine, attraverso i quali l’artista riesce a esprimere quel senso di vuoto e di identità perduta tipico delle città metropolitane con le loro periferie in espansione, i corpi di fabbrica dalle architetture essenziali, le ciminiere, i tralicci, i gasometri, i binari e i camion che percorrono strade vuote, le nuvole di fumo che attraversano cieli di piombo».
Negli anni Trenta, in un contesto storicamente e politicamente controverso, Sironi ha solo il lavoro per emergere dalla oscurità interiore che lo divora. Anche per la sua fede nell’ideologia fascista, aumenta la necessità di esprimere una vocazione sociale e il credo – in un’arte nobile, solenne, costituita da un impianto compositivo rivolto alla romanità – trova la massima espressione nei progetti di arte murale e in programmi decorativi dominati da forme salde, luci mielate, linee ferme, posture austere, ordine, gravità, rigore, disciplina e compostezza. Nelle opere dominano grandezza, potenza, maestosità, ma, sottotraccia, anche un sentire profondo carico di dolore, di intima sofferenza. Ancora la Curatrice «Lo immaginiamo Sironi, nei momenti bui, quando è soccombente sul ciglio del precipizio e guarda agli abissi del suo animo, rapito dall’angoscia delle scadenze e delle richieste incalzanti, dalla mole di lavoro che lo sovrasta. Risucchiato nel baratro dei suoi pensieri, combattuto forse, ma fedele a un’ideologia che nel tempo non può che apparire sempre più scollata dagli ideali che l’avevano generata e nella quale aveva riposto il suo credo. I contenuti espressi dalla propaganda, che aveva contribuito all’ascesa e all’imposizione del fascismo su una nazione politicamente incapace di dedicarsi concretamente alla risoluzione delle questioni sociali, guidata da reggenti inadeguati a fronteggiare le emergenze del dopoguerra, corrispondono sempre meno a intenzioni credibili e appaiono sempre più ingannevoli, mascherate sotto le vesti di un passato antichissimo di lontana grandezza, utilizzato per raccontare un’Italia che nella realtà era tutt’altro che grande e per nulla eroica. Lo fu solo nell’immagine monumentale con cui l’artista la ritrasse, mettendone in evidenza i pregi, tacendo i drammi, enfatizzandone la bellezza, come accade a ogni essere umano che descrive l’oggetto del suo amore».
Tra i lavori in mostra spicca il grande dipinto “Allegoria del lavoro“, studio preparatorio di un affresco oggi distrutto proposto con grande successo nel 1933 alla Quinta Triennale di Milano. A questo nucleo si aggiungono importanti opere provenienti da collezioni private, dall’Associazione Mario Sironi e dall’Archivio Mario Sironi.
Il passato, per l’artista, è modello imprescindibile cui riferirsi, fondamento culturale e formale necessario anche nella stagione della rivoluzione futurista e, al riguardo, la Curatrice in catalogo, rileva: «Anche nella fase futurista, cui aderisce tardivamente, non abbandona la ricerca del volume, dell’architettura compositiva, e la sua tavolozza si mantiene su un’economia cromatica che va dai grigi ai neri, gli ocra e le biacche, i bruni e le terre interrotte da tocchi di giallo o rosso con rari toni del verde azzurro acceso. Sironi guarda al passato, mentre i suoi colleghi e amici, firmatari del Manifesto dei pittori futuristi, sulla scorta dei principi lanciati da Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto del Futurismo, sono impegnati a “combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei”, a ribellarsi “alla supina ammirazione delle vecchie tele, delle vecchie statue, degli oggetti vecchi e all’entusiasmo per tutto ciò che è tarlato, sudicio, corroso dal tempo”, a contestare la “stomachevole rifioritura di classicismo rammollito”, e a cacciare dal mondo dell’arte i “restauratori prezzolati di vecchie croste”, gli “archeologhi affetti da necrofilia cronica”, i critici, le accademie “gottose”, nonché i “professori ubbriaconi e ignoranti”, con l’intento di “distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico” nonché di “disprezzare profondamente ogni forma d’imitazione”».
Il sopra citato catalogo, a carattere scientifico, è stato reaizzato da Sagep Editori e riproduce la totalità delle opere esposte con saggi, oltre a quello della Curatrice, di Fabio Benzi tra i maggiori studiosi dell’opera sironiana.