Terminato il 3 dicembre al Castello Visconteo di Pavia, l’evento internazionale “Longobardi. Un popolo che cambia la storia” si trasferisce al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, così da far condividere al Nord Italia e al Meridione una mostra corposa e importante come poche. A renderne l’idea contribuiscono anche i dati numerici; sono più di 300, ad esempio, le opere esposte, più di 80 i musei e gli enti prestatori, oltre 50 gli studiosi coinvolti nelle ricerche, 32 i siti e i centri longobardi rappresentati.

L’evento, realizzato con la collaborazione dei Musei Civici di Pavia, del MANN di Napoli e dell’Ermitage di San Pietroburgo, è stato preannunciato come epocale per gli studi scientifici svolti, per l’approfondita analisi del contesto storico italiano, mediterraneo ed europeo, per il carattere inedito dei materiali esposti e per le stesse modalità espositive, che prevedono infatti l’utilizzo di video, installazioni multimediali con touchscreen, oleogrammi, ricostruzioni 3D, etc.

Di ampio respiro, poi, il periodo temporale raccontato in mostra, dalla metà del VI secolo (dalla presenza gotica in Italia, dunque) alla fine del primo millennio, così come le informazioni concernenti identità, cultura, guerre, alleanze strategiche, grandi personalità e ruolo degli “uomini dalle lunghe barbe”, che nel 568 sotto la guida di Alboino giunsero in Italia valicando le Alpi Giulie. Ciò contribuì certo a suggellare la nostra penisola come ponte tra il Nord Europa e il Mediterraneo.

Come afferma il Direttore del MANN, Paolo Giulierini, è la prima volta che il museo napoletano organizza un’esposizione riferita a un periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano, poiché «troppo forte è stato finora il fascino di Pompei ed Ercolano per osare approfondire temi di apparente rottura con la classicità». Ma come egli stesso ricorda, Capua e Benevento erano le due città più importanti della Longobardia Minor, e se Pavia era la capitale del Regno longobardo, Napoli, pur essendo bizantina, era il punto di riferimento economico e culturale del Ducato di Benevento. Esso, rimasto autonomo anche dopo la metà dell’XI secolo, mantenne il retaggio del Regno di Pavia (cui Carlo Magno pose fine nel 774) mostrando come le aree transalpine e meridionali sapessero dialogare e non solo guerreggiare.

Ma perché la mostra dovrebbe suscitare interesse? I curatori scientifici Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi precisano innanzitutto che grazie ai progressi della ricerca le conoscenze sul campo si sono evolute rispetto alle mostre precedenti e che adesso viene concesso molto spazio alla capitale Pavia e ai Longobardi nel Sud, elementi considerati solo marginalmente in precedenza. Ma soprattutto affermano che occorre attenzionare il tema della conquista longobarda poiché appunto si tratta di “un popolo che cambia la storia”: l’Italia si frammenta in tanti ducati, il mondo classico cede il passo a quello franco e germanico e il Mediterraneo assume una posizione marginale rispetto al Nord Europa e al Reno; la classe dirigente romana è sostituita, le gerarchie sociali profondamente rimodellate. Durante il Risorgimento si parlerà dei Longobardi, persino, come i distrutttori dell’unità italiana o viceversa come coloro che cercarono di ricomporla dopo il crollo dell’Impero.

Il corpus espositivo è il medesimo per le tre sedi, con alcune varianti legate alle specificità dei luoghi, e si sviluppa in otto sezioni, con un allestimento innovativo per il settore archeologico dato il ricorso al design e alla multimedialità. Dalla contestualizzazione dell’arrivo longobardo in Italia si giunge all’analisi dei nuovi modelli insediativi ed economici, delle strutture politiche e sociali nel momento dell’apogeo, dei contatti tra longobardi, arabi e bizantini.

La sezione introduttiva della mostra presenta la situazione geopolitica alla metà del VI secolo mediante mappe e video: i Longobardi approfittano della discesa dei Franchi e forse anche dell’aiuto dei Goti per invadere l’Italia, partendo dalle città prealpine, anche se gran parte del territorio italiano continuerà a far parte dell’Impero d’Oriente.

La prima sezione si focalizza sulle presenze gotiche, franche e longobarde in Pannonia nel VI secolo. Al contesto goto risalgono gli inumati delle tombe di Collegno; infatti attraverso la recente indagine su alcune necropoli, sino ad ora sconosciute al pubblico, è stato possibile ricostruire cultura, riti religiosi, usi e migrazioni dei popoli transalpini; su alcuni ritrovamenti in Ungheria, luogo in cui si trovavano i Longobardi prima di giungere in Italia, si sono svolte analisi laboratoriali del Dna e degli isotopi stabili, ossia i residui di alimentazione e acqua nelle ossa. Ad esempio, attraverso il ritrovamento del cranio deformato artificialmente di un bambino di 7 anni (in mostra) nelle tombe di Collegno, si è scoperta una pratica di distinzione sociale diffusa tra Unni e Germani nell’Europa centro-orientale. Scopriamo anche, grazie al ritrovamento di individui nelle tombe di Alcagnano, che gruppi di Alamanni si erano rifugiati in Italia con l’espansione franca; con i Franchi, per l’appunto, i Longobardi strinsero alleanze diplomatiche e matrimoniali. Nelle aree piemontesi compaiono quindi monasteri e opere di produzione transalpina, come due raffinati reliquiari, esposti e provenienti dal Museo di Susa.

Nella seconda sezione si ricostruiscono i tratti culturali e religiosi longobardi mediante i contesti funerari, ad esempio i grandi sepolcreti in campo aperto. È stata scoperta, ad esempio, la vasta necropoli cuneese di Sant’Albano Stura, con quasi 800 tombe a fronte delle 300 sepolture al massimo di altre località. Dai ritrovamenti emerge l’attaccamento a valori pagani e bellici, considerate le armi, le offerte di cibi e di cavalli e i decori animalistici. Nelle necropoli di Campochiaro, addirittura, molti cavalieri sono stati sepolti nella stessa fossa accanto al loro cavallo bardato.

La terza sezione analizza l’economia longobarda tenendo conto di città, castelli e campagne. Alcune città, come Benevento, acquistarono importanza in quanto capitali di ducati regionali e alcuni castelli, come Sirmione, assursero a civitates poiché centro di distretti, mentre le campagne si modificarono per via dei cambiamenti climatici e l’economia agricola si rinnovò sia nelle coltivazioni che nell’allevamento. La cultura monetaria fu trimetallica e la moneta diventò nazionale solo alla fine del VII secolo; ci accorgiamo che essa per i Longobardi non ebbe un mero valore strumentale ma fu anche emblema di prestigio e fu sfoggiata come un gioiello o utilizzata come amuleto.

La quarta sezione è dedicata al culto e al potere: i Longobardi furono divisi tra cattolicesimo e arianesimo. Qualcuno cercò di diffonderlo con l’appoggio papale, come la regina Teodolinda e i suoi eredi, qualcun altro vi si oppose. In mostra possiamo osservare molti reperti scultorei di architetture religiose.

La quinta sezione analizza la scrittura su sculture ed epigrafi: in quest’epoca il ruolo della prima fu strettamente connesso a funzioni e spazi dell’architettura, come altari o recinzioni di presbiteri, cibori, pergulae. Si notano da un lato temi e schemi di stampo tardoantico, dall’altro composizioni in cui l’elemento decorativo è prevalente, prima limitato a incorniciature o effetti riempitivi, poi esteso all’intera superficie; tale processo è ancora accennato nel pluteo da San Giovanni di Castelseprio ma più accentuato nei plutei di Modena, Lucca e Polegge, in cui si riscontra la ricerca del volume e del rilievo, oltre che rifinimenti pittorici e uso di paste colorate o vetri.

L’epigrafe fu utilizzata per scopi celebrativi e monumentali, come nell’Aula Palatina di Salerno, da cui giungono dei frammenti, ma anche nell’ambito funerario, in cui riscontriamo quasi sempre testi poetici. Il curatore Saverio Lomartire indica come esempi ammirevoli gli epitaffi del vescovo Gausoald di Como o della regina Raginthruda.

Interessanti i codici manoscritti di epoca carolingia, cui è dedicata la sesta sezione. Il curatore Carlo Bertelli ricorda che solo in Italia i Longobardi acquisirono la scrittura, precipua di governo, amministrazione e leggi in ambito pubblico, di testamenti e atti in ambito privato, e di testi commemorativi nell’epigrafia e nell’agiografia. I manoscritti attestano il passaggio dal papiro alla pergamena e mostrano calligrafie sempre più disinvolte, con caratteri sempre più corsivi e rapidi e la scelta di copiare opere classiche molto diverse tra loro.

La settima sezione si sofferma sulla Longobardia meridionale, “la terra delle capitali” Benevento, Salerno e Capua. Dopo la conquista dell’Italia da parte di Carlo Magno, il ducato di Benevento, come già ricordato, rimase autonomo ed elevato a principato giunse a occupare tutta l’Italia del Sud, ad eccezione della Sicilia e della Sardegna, delle enclave costiere di Gaeta e Napoli, del Salento e della Calabria. Si produssero così interessanti contaminazioni con la cultura greca e islamica e con quella franco-tedesca, come dimostrano gli stilemi arabo-bizantini che Federico Marazzi riconosce in tante testimonianze artistiche e monumentali, di cui peraltro la Longobardia del sud mostrò la densità più alta riguardante l’eredità longobarda in Italia.

La Longobardia meridionale, come ricorda la sezione otto, fu anche terra di fondazioni religiose, fiorite per volere di sovrani e aristocratici con l’adesione al cattolicesimo (dalla fine del VII secolo): nel Ducato di Benevento nacquero gli importanti monasteri di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, punti di contatto fra le aree italiane dominate dai Franchi e quelle longobarde, nonché fulcri di arte e cultura.

Si può concordare con Paolo Giulierini, dunque, quando afferma che l’occasione espositiva pone il MANN, insieme ad altri centri campani, come importante fulcro di potenziamento dell’offerta culturale relativa ai Longobardi in cornice regionale e assume un significato rilevante anche nell’ottica della storia europea, fondata non solo su Roma ma anche su componenti germaniche, scandinave, etc. che non possono essere obliate.

L’11 marzo 2018 l’esperto Marco Valenti parlerà dell’esperienza dell’Archeodromo di Poggibonsi, ricostruzione in scala 1:1 di un villaggio scoperto sulla collina di Poggio Imperiale, risalente al tempo di Carlo Magno; in esso si riconosce un’azienda curtense con residenza padronale e strutture più piccole destinate all’artigianato e all’immagazzinamento di derrate alimentari e prodotti agricoli. Inclusi anche vari laboratori creativi, come un grande gioco dell’oca riadattato ai contenuti della mostra e del museo e disponibile anche in forma di tappeto su cui le pedine sono i giocatori stessi.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Corredo con guarnizioni di cintura in ferro ageminato, bicchieri in pietra e un coltellino, inizio del VII secolo, materiali vari, Aosta, MAR-Museo Archeologico Regionale
  2. Brattea con Cristo tra gli angeli, VII secolo, oro, diametro 5,5 cm, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Ori di Senise
  3. Collana con pendente monetale dalla tomba 1 di Mantova, via Rubens, fine del VI - inizi del VII secolo, Mantova, Museo Archeologico Nazionale
  4. Elementi di collana dalla tomba 21 di Szólád, metà del VI secolo, vetro policromo, Kaposvár (County Somogy, Ungheria), Rippl-Rónai Múzeum
  5. Cofanetto reliquiario in osso di Susa, fine del VI - inizi del VII secolo, 10 x 13,5 x 8,9 cm, Susa (Torino), Museo Diocesano
  6. Frammento di arco di ciborio con iscrizione, metà dell’VIII secolo, calcare bianco cristallino,52 x 54 x 9 cm, Aquileia, Museo Paleocristiano

IN COPERTINA
Corredo con guarnizioni di cintura in ferro ageminato, bicchieri in pietra e un coltellino, inizio del VII secolo, materiali vari, Aosta, MAR-Museo Archeologico Regionale
[particolare]

Orari:
Aperto tutti i giorni
(tranne il martedì)
ore 09.00 – 19.30.

Dove e quando

Evento:

Indirizzo:
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Fino al: 20180325