A torto si lamentan li omini della fuga del tempo,
incolpando quello di troppa velocità, non s’accorgendo
quello esser di bastevole transito; ma bona memoria,
di che la natura ci ha dotati, ci fa che
ogni cosa lungamente passata ci pare esser presente.

(Codice Atlantico, f. 207r)

Cinquecento anni fa, nel maniero di Clos-Lucé moriva Leonardo da Vinci e oggi ad Amboise il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, presenzierà alla cerimonia ufficiale rendendo omaggio alla tomba insieme al Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.
Vi abbiamo riferito, e continueremo per tutto il 2019, di alcuni degli innumerevoli eventi organizatti per il mezzo millennio dalla scomparsa di colui che viene ritenuto – a maggioranza bulgara – il più grande artista di sempre.

Anche se in città non vi siano tracce di case o fondi di sua proprietà o della sua famiglia, per tutta la vita si definì ‘pittore fiorentino’ e, nelle volontà testamentarie, chiese di essere sepolto nella ‘giesia de sancto Fiorentino de Amboysia’ riservando, uno dei suoi ultimi scritti, al serraglio dei leoni dietro Palazzo Vecchio. Il foglio dedicato all’animale totemico di Firenze, testimonianza di un  ricordo ancora vivissimo, porta la significativa data 24 giugno 1518, giorno del patrono di Firenze. Proprio per questo legame, la città lo celebra con la mostra “Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico” in corso a Palazzo Vecchio con dodici carte vergate da Leonardo, provenienti dalla veneranda Biblioteca Ambrosiana e proposte in un percorso curato da Cristina Acidini che spiega: “Trovare un nuovo percorso tematico che fosse scientificamente fondato e sostenibile, non è stato facile. Non si è voluta fare una scelta cronologica, tentando di ricostruire le attività e le ricerche di Leonardo, né una scelta di tipo estetico, privilegiando i fogli con disegni più grandi e godibili. 

Si è fatto invece un percorso diverso e mai tentato, partendo dalla città stessa della mostra, Firenze, e andando a cercare nei fogli del Codice i tanti richiami al luogo d’origine, mai veramente lasciato e comunque mai dimenticato. Leonardo e Firenze, dunque. Non solo Leonardo a Firenze, ma anche Firenze con Leonardo, sempre presente nella sua mente, ovunque egli si trovasse – a Milano, nell’Italia del Nord e del Centro, a Roma, infine in Francia – attraverso le reti di protezioni, conoscenze, amicizie, corrispondenze e nel bagaglio che sempre si portava appresso, di esperienze e ricordi, il lavorìo progettuale, la continuazione dei quadri iniziati in patria”.

Il patrimonio grafico raccolto nel Codice Atlantico presso la veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, contenente in misura prevalente scritti e disegni nella straordinaria quantità di millecentodiciannove fogli (ai quali ne vanno aggiunti altri, dislocati altrove o dispersi), non è certo sconosciuto, anzi, nel costante impegno che da decenni persegue la veneranda Biblioteca non solo nel conservare la più grande raccolta esistente di fogli riconducibili a Leonardo, ma anche nel valorizzarla attraverso la disseminazione della conoscenza scientifica, vanno a collocarsi le pubblicazioni di diverso tipo a partire dal Diciannovesimo secolo, con la riproduzione curata dall’Accademia dei Lincei nel 1884.

Sono poi capisaldi della bibliografia novecentesca l’edizione nazionale curata da Augusto Marinoni, Il Codice Atlantico, Firenze, Giunti Barbera, 1975-1980 in  dodici volumi (ristampata da Giunti nel 2000) e quella di Carlo Pedretti, The Codex Atlanticus, New York, Johnson, 1978-1979, in due volumi. Inoltre, a rendere il Codice Atlantico accessibile – anche da postazioni remote – come mai lo è stato finora, provvederà a breve una banca dati consultabile per ricerche incrociate, approntata dal Museo Galileo di Firenze sotto la direzione del professor Paolo Galluzzi.

Oltre alle edizioni integrali, non si contano le ricerche e le pubblicazioni su fogli del Codice da parte di studiosi di tutto il mondo, aventi di fatto il loro capo e decano in Carlo Pedretti, da poco scomparso dopo una vita lunga e operosa pressoché interamente dedicata agli studi vinciani. I dodici fogli scelti per la mostra di Palazzo Vecchio non sono gli unici in cui si trovano richiami a Firenze, ma funzionano – spiega ancora Cristina Acidini – come fili d’Arianna al contrario indirizzando il visitatore nei profondi meandri del Labirinto, anziché indicarne l’uscita. Proprio come un labirinto vanno considerati i molteplici aspetti di un rapporto molto spesso contraddittorio tra Leonardo e la città nel cui dominio nacque e nella quale trascorse gli anni fondamentali della sua formazione.

Infatti, la bottega di Andrea Verrocchio (sempre a Firenze, in Palazzo Strozzi, è in corso la splendida mostra dedicata al Maestro del giovanissimo Leonardo) luogo di incontro, stimolo e crescita di personalità artistiche, lo accolse fornendogli le basi non solo per la pittura, ma anche per le tecniche più difficili della statuaria e della lavorazione dei metalli. Da un altro suo ricordo esposto in mostra, si deduce avesse visto da vicino la palla di rame dorato – montata nel 1471 dal suo Maestro sopra la lanterna della cupola del Brunelleschi – e in quella, e in altre occasioni, non avrà mancato di studiare le macchine di cantiere ancora presenti presso l’opera del Duomo, cui ripensò sicuramente in seguito, consulente per la costruzione del tiburio della Cattedrale di Milano, nel 1487-88. Successivamente, la presenza di Leonardo e Michelangelo a Firenze tra il 1501 e il 1505 divenne evento cruciale nell’affermazione di una nuova maniera in disegno, pittura e scultura. A favorire il trionfo dell’originalità così travolgente e influente, concorsero in quel periodo fattori diversi a iniziare dall’approccio proto-scientifico di entrambi all’anatomia, la trasposizione delle favole e dei miti degli antichi in un vocabolario iconografico moderno a servizio della narrazione religiosa e politica del tempo, l’alterazione dei modelli formali precedenti, quella dei contenuti concettuali nei precursori. A ciò vanno sommate le mutate condizioni politiche ed economiche dopo le nuove scoperte geografiche, la cacciata dei Medici, la morte del Savonarola e la nomina di Pier Soderini gonfaloniere a vita dal 1502. A ragione Benvenuto Cellini definì «scuola del mondo» due tra le maggiori imprese di quella stagione, il cartone della Battaglia d’Anghiari di Leonardo – messo a contratto già nel 1503 – e quello della Battaglia di Cascina di Michelangelo (probabilmente ordinato nel 1504, anno in cui il Buonarroti vide il suo David posizionato a ridosso del Palazzo della Signoria, dopo che una giuria di artisti – tra cui anche Leonardo – si era espressa a maggioranza per la sua collocazione nella loggia dei Lanzi). 

Le carte in mostra sono state scritte tra gli anni Settanta del Quattrocento e hanno tutte una straordinaria capacità evocativa in un percorso estremamente godibile per il contributo di esperti, dei diversi argomenti trattati, volti a fornire dettagli e la motivazione per la quale ogni foglio è stato incluso a partire dal primo che contiene l’incriminata frase “Sandro, tu non di’ perché tali cose seconde paiono più basse che le terze”. E’ palese come Leonardo avesse una concezione dell’arte radicalmente diversa da quella di Sandro Botticelli – seppur solo sette anni più anziano – e lo si evince dai rispettivi dipinti, ma anche dagli scritti raccolti nel Codice Atlantico e nel ‘Libro di pittura’. La frase, interpretata come una critica alla prospettiva di Botticelli, rimanda ai tempi in cui i due frequentavano la bottega del Verrocchio, gettando le basi di una confidenza non certo immune dalla rivalità. Se poi vogliamo dire le cose come stanno, la frase è ritenuta inaccettabile per la quasi totalità dei fiorentini tali da almeno venti generazioni… insomma tutti quelli i cui avi c’erano già prima dell’arrivo del Genio dal contado. Un’empatia mai decollata, azzarderemmo a cominciare proprio dai Medici. 

Se ben nota la componente polemica nei fiorentini (non si contano le storielle su i suoi abiti rosa) è atavica la fama di Leonardo come artista singolare, ma inconcludente, invece, lontano dalle rive dell’Arno, si tende a dimenticarlo. Eppure, sin dall’ottobre del 1503, Agostino Vespucci, coadiutore della Cancelleria fiorentina e buon amico del Machiavelli, in una postilla a un’edizione delle “Epistolae ad Familiares” di Cicerone, di sua proprietà, scriveva: “Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris Virginis. Videbimus quid faciet de aula Magni Consilii, de qua ne convenit iam cum Vexillifero, 1503 Octobris“.

L’importanza della mostra fiorentina e l’eccellente catalogo che l’accompagna (edito da Giunti) focalizzano anche sulla celeberrima e perentoria affermazione di Leonardo: «Li medici mi creorono e desstrussono». Fiumi di inchiostro sono stati utilizzati per l’ambivalenza dell’utilizzo della parola “medici” e, nel suo saggio (pagg. 192 e 193) Sara Taglialagamba, scrive: “nel 1977 Pedretti prende in considerazione entrambe le interpretazioni, non offrendo però una soluzione definitiva. Lo studioso afferma che, visto che Leonardo aveva usato una lettera maiuscola per la M di Medici, la parola avrebbe potuto riferirsi alla famiglia di Firenze, così come nel 1916 aveva già perentoriamente affermato Calvi. Tuttavia, lo studioso osserva anche che lo stesso Leonardo più volte aveva disprezzato i medici chiamandoli «destruttori di vite», così come si legge nel foglio 96v del Ms. F, e ancora «omini son eletti per medici di malattie da lor non conosciute» nel foglio 147v del Codice Arundel (si veda anche Favaro 1923). C’è da aggiungere che già nel 1515 Leonardo aveva sintomi riconducibili alla paralisi di cui fu testimone oculare anche il De Beatis in Francia nel 1517, così come si legge nel già citato foglio 671r [247v-b] «Tanto mi son rallegrato, illustrissimo mio Signore, del desiderato acquisto di vostra sanità, che quasi il male mio m’è fuggito» (Pedretti in Richter, Pedretti 1977, § 1351). Se così fosse, fa ancora notare Pedretti, la parola «nascita» non indicherebbe allora l’inizio della sua fama o quello della sua carriera, ma proprio l’atto di venire al mondo grazie appunto all’aiuto dei medici. Tale ipotesi sembrerebbe per lo studioso, almeno in questo periodo, la più probabile: sarebbe infatti difficile pensare che con “i medici mi distrussero” Leonardo indicasse che i componenti della famiglia del proprio committente ne decretassero la fine della carriera proprio nel 1515, anno in cui era in ottimi rapporti non soltanto con Giuliano, ma anche con Piero e con papa Leone X. Marinoni, invece, è più incline a considerarlo come un deciso accenno alla famiglia Medici piuttosto che alla professione di medico.

Condividevano questa ipotesi la Angiolillo (1979, p. 78), che riteneva “probabile” il riferimento all’infruttuoso periodo romano, e Gille (1980, p. 142), che legava l’affermazione alle «delusioni lasciategli durante il soggiorno romano». Tuttavia, in un saggio approfondito – e ingegnosamente intitolato Li medici mi crearono e distrussono (1993) – Pedretti lo definiva “gioco di parole” non privo di un certo sense of humour, ripercorrendo tutta la carriera di Leonardo e andando a far leva sull’ambivalenza (e quindi doppia interpretazione). La posizione era condivisa da Laurenza (2004b, pp. 26-28), che tuttavia sottolineava le numerosissime allusioni ai Medici come famiglia nei fogli con studi geometrici di questo periodo e alla ricorrenza dell’anello con diamante, chiaro simbolo politico allusivo alla forza e alla tenacia del casato, e, aggiungerei, usato in particolar modo dallo stesso Giuliano e da Leone X. Nel 2009 Villata propone invece di riferire la parola ai medici-dottori, indicando la conferma proprio nella frase mutila estratta dal sonetto dell’igiene già menzionato. Nonostante questi importanti pareri, il dubbio rimane.”

Il dubbio probabilmente rimane, ma vi chiediamo: all’epoca erano forse i medici-dottori ad aiutare i bambini a nascere?

Didascalie immagini mostra alla  Sala dei Gigli
in Palazzo Vecchio

  1. Una veduta dell’allestimento 
  2. Foglio 808r. “Castello” o impalcatura mobile che sostiene una gru girevole 
    Foglio 808v. Variante del “castello” figurato sul recto sollevato a forza di viti e collocato su un palco robusto
    1480 circa
    (particolare)
  3. Tre dei fogli in mostra 
  4. Foglio 126v. Studi di canalizzazione e note con la dicitura «Canale per a Firenze» 
    Foglio 126r. Studi per un sistema di portare l’acqua sulle montagne attraverso un condotto
    1495 circa
  5. Ulteriori tre fogli in mostra 
  6. Foglio 909v. Studi per un combattimento navale. Note e calcoli sulla moltiplicazione della potenza attraverso un sistema di trasmissione, scritti da Leonardo da sinistra a destra, 1485-1487 circa
  7. Alcuni dei pannelli descrittivi realizzati in modo eccellente da esperti dei diversi argomenti trattati
  8. Foglio 331r. Memorandum, una nota di meccanica sul centro della gravità, note di ottica e prospettiva; schizzo della testa e del busto di un uomo con il profilo voltato a destra e debole schizzo di una struttura lignea
    Foglio 331v. Varie note di ottica, prospettiva e astronomia
    con diagrammi relativi; due schizzi di una sella portaoggetti, sezioni di una fortezza circolare con i particolari del bastione angolare; il nome “Salai” ripetuto tre volte ma scritto da un’altra mano
    1504 circa (con aggiunte più tarde, 1506-1507 circa)
  9. Veduta allestimento
  10. Ulteriore veduta allestimento 

In copertina
un particolare dell’alestimento
foto © CGE
 

Leonardo da Vinci e Firenze
Fogli scelti dal Codice Atlantico

orario mostra
tutti i giorni h.9.00-23.00,
eccetto il giovedì h. 9.00-14.00.
la biglietteria chiude un’ora prima del museo
(il biglietto è incluso nell’ingresso a Palazzo Vecchio)

Dove e quando

Evento: Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli – piazza della Signoria – Firenze
  • Fino al: – 24 June, 2019