Omar Hassan e la Fondazione Federico II hanno presentato l’esposizione palermitana Punctum, a Palazzo Reale, con sette opere site specific.
Padre musulmano, madre cristiano-cattolica, Omar Hassan nasce e cresce in un clima di scambio culturale positivo, definendosi un “doppio”, ma dalla connotazione positiva, poiché proprio per questo disposto al nuovo. Dice che non potrebbe fare nient’altro che occuparsi di arte, per lui portavoce di tolleranza. E non a caso l’artista italo-egiziano, dopo Miami, New York, Londra, Milano, e altre città ancora, è nel Palazzo che custodisce la Cappella Palatina, emblema per eccellenza di interculturalità.

Ragione e istinto, riflessione e azione, sono componenti fondamentali nell’arte di Omar Hassan, che afferma: “Un’opera d’arte deve partire da un concetto e poi assumere una forma tangibile, che sia un dipinto o una scultura, ma questa forma tangibile, senza una riflessione, un concetto, una ricerca e un percorso, non è nulla”.
Punctum vuole essere innanzitutto una celebrazione in difesa della donna, figura sacra per l’artista, oggi ancora vittima di atrocità che non dovremmo neanche più pensare. Ecco dunque perché la prima opera in mostra è una temeraria reinterpretazione della Nike di Samotracia, in dolce attesa ed emblema di pace: “la Nike incinta è stata un’operazione importante, su cui ho riflettuto molto ma credo che una vittoria non possa che essere madre di una futura vittoria”, afferma Hassan.

La Nike in dolce attesa è anche un manifesto della sua arte, in connessione tra passato e presente, tra classicità e contemporaneità; e in questo spazio franco cade anche ogni distinzione tra pittura e scultura. La tela esiste ancora ma è letteralmente presa a pugni dalla creatività: Omar infatti strizza un occhio a Pollock praticando una pittura gestuale, che però non fa gocciolare il colore sulla tela ma lascia che vi si imprima un pugno. Il pugilato per Hassan è una forma di vita e per lui siamo tutti pugili: “Ognuno è il pugile della propria vita. Ognuno ha le proprie croci, cadi per rialzarti, sei da solo a combattere, hai qualcuno all’angolo un minuto che ti dà una pacca sulla spalla ma poi nella vita sei tu che devi tornare a combattere”. Da qui la sua frase: “I’m not punching to destroy, I’m creating!”; quindi con un gesto estremamente forte l’artista non rompe, non distrugge, non fa male, ma crea.

L’energia di Hassan, dunque, ex pugile, esplode imperiosa in due opere della serie Breaking Through, che lo hanno reso famoso nel mondo come artista-boxeur; energia che l’artista riconosce nel capoluogo siciliano, nella sua multiculturalità e nel suo mare, così distante da quelle che lui definisce “periferie milanesi di cemento e asfalto”, in cui è nato e cresciuto; in Palermo Hassan non vede una distinzione netta tra il centro e i quartieri più difficili, e ciò per lui non può che rappresentare un inequivocabile segnale di integrazione.
In mostra vi è anche una mappa di Palermo, poiché da anni Hassan sta realizzando una mappatura dei quartieri delle città che lo ospitano istituzionalmente, e lo fa dipingendo a mano uno per uno tutti i piccoli tappi delle bombolette spray; ogni mappa, quindi, è composta da nove-diecimila tappini dipinti a mano e serve a dare valore al singolo. “E se fossimo tutti eticamente corretti nel proprio spazio, insieme saremmo in armonia e serenità”, conclude in un’intervista. La mappa di Palermo, nella fattispecie, è costituita da 8.928 tappini.

Hassan inoltre realizza per l’esposizione palermitana La Nona IX, ricreando effetti luminosi realistici con lo spray sulla tela per donare un “augurio” simbolico di rinascita e di speranza; propone anche una versione del Torso del Belvedere, la cui tensione muscolare dialoga con l’astrattismo luminoso di Lights a riprova di un voluto accostamento tra classico e contemporaneo, che parla di sincretismo ma soprattutto di un anelato rinnovamento culturale e sociale.