Alla Fondazione Biscozzi Rimbaud è allestita un’interessante personale di Grazia Varisco che arriva a Lecce dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale e reduce da una recente antologica a Palazzo Reale a Milano. La mostra, curata da Paolo Bolpagn e realizzata con il patrocinio del Comune di Lecce, presenta una ragionatissima campionatura capace di ben delinearne l’intero percorso creativo, dalla fine degli anni Cinquanta al 2009. Le diciassette opere selezionate formano un itinerario in cui, i singoli lavori, costituiscono un corpo unitario pur conservando ciascuno la propria originalità e inizia con un’opera rivelatrice di quella sensibilità percettiva, poi identitaria, dell’artista milanese. Il suo porsi in osservazione e “in ascolto” costante della realtà lo percepisce già in Tema e svolgimento (1957-1959) realizzata durante il periodo di apprendistato all’Accademia di Brera. Nel saggio in catalogo (Silvana Editoriale), il Curatore sottolinea: “semplice e lieve quasi à la manière de Paul Klee… un rotolo di carta caduto e l’idea di trarre da un simile evento casuale lo spunto per un’interpretazione estetica”.

Nel 1959-1960 comincia l’avventura del cinetismo con il famoso Gruppo T, che nasce nel capoluogo meneghino con la partecipazione della Varisco insieme con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi: la loro poetica è incentrata sul concetto di “miriorama” inteso sull’idea della variazione dell’immagine nella sequenza temporale. Nascono così le sue tavole magnetiche di cui in mostra sono presenti Tavola magnetica a elementi quadrati (1959) e Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi” (1960) con elementi fissati al supporto tramite magneti e quindi spostabili: oggetti semplici, dalle forme regolari e geometriche, oppure filamentose e aree. Ancora Bolpagni: “Per Grazia Varisco è anche un invito al gioco, ma la componente ludica, che pure è presente e importante, non esaurisce il significato di questi lavori, che implicano la partecipazione attiva dello spettatore e la moltiplicazione delle possibili configurazioni dell’opera stessa, che perde la sua aura di compiutezza definitiva”.

La mostra prosegue con quattro opere – Oggetto cinetico luminoso (1962), Variabile + Quadrionda 130, Scacchiera nera (1964), +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969), i primi due dotati di motore elettrico e dunque di un movimento connaturato all’opera stessa – appartenenti alla stagione cinetica, ultima grande avanguardia europea (annoverò tra i suoi precursori futuristi, dadaisti, bauhausiani e costruttivisti) in cui la Varisco si basa sul concetto di frammentazione della luce realizzata in diversi modi.

Il Curatore, annota: “una immagine – scrive Bolpagni – generata da configurazioni che appaiono e scompaiono alternatamente, prodotte dall’interferenza tra dischi rotanti nei quali sono intagliate trame che lasciano filtrare la luce suscitata dalla sorgente elettrica; oppure Reticoli frangibili e Mercuriali, costruiti con vetri industriali a rilievi regolari e superficie lenticolare, che cambiano, con il mutare della posizione dell’osservatore, la percezione di ciò che è contenuto nella scatola (schemi geometrici colorati o borchie di acciaio ‘fluidificate’ dall’effetto di rifrazione, così da innescare un continuo spostamento del punto di vista, una situazione d’instabilità tipica dell’accadere della realtà)”.

Dopo l’esperienza con il Gruppo T, l’artista realizza nel 1966 la sua prima personale poi, negli anni Settanta, sperimenta la manipolazione libera della carta e del cartoncino e l’apertura programmatica all’azione perturbante del caso, mantenendo sempre al centro l’analisi dei meccanismi percettivi. Appartengono al periodo serie come le Extrapagine e gli Extralibri presenti in mostra con quattro lavori come Meridiana 2 (1974), Extralibro (1975), Spazio potenziale (1976) e Extrapagina “Spartito musicale” (1977).

“Gli Spazi potenziali – prosegue Bolpagni – segnano un altro momento importante: la Varisco qui si diverte ad aprire, scomporre e ricomporre i telai di ferro delle sue opere, in un’investigazione maieutica che implica anche un protendersi verso la tridimensionalità già riscontrato nella Meridiana, dove le strisce metalliche aggettanti creano l’immagine insieme con l’ombra da esse proiettata, in un meccanismo percettivo che è sempre mutevole e instabile”.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, la Varisco crea il ciclo Fraktur, con l’osservazione degli angoli di raccordo tra due o tre piani ortogonali e uno studio delle soglie e delle disarticolazioni. In mostra troviamo Implicazioni B (1986), Incastro giallo (1987) e Fraktur – Ferro 1 (1997). E poi, degli anni Duemila, Quadri comunicanti (2008) e Filo rosso (2009).

La mostra si chiude con Silenzi (2006), articolazione di piani e vuoti prodotta dalla sovrapposizione di semplici telai: un altro salto concettuale per interpretare il mondo di un’artista visionaria e ad alto tasso di creatività.