Oggi il mondo del lavoro cambia a ritmo quasi quotidiano: ciò che valeva ieri, domani non avrà più valore, ciò che facciamo oggi potrebbe in tempi brevi non avere più alcun senso. La straordinaria rapidità dello sviluppo tecnologico ci disorienta, crea un senso di insicurezza, smarrimento, provvisorietà, forse addirittura angoscia, sia nel singolo individuo sia – a seconda dei paesi e dei continenti – in intere categorie professionali. Tutti ci poniamo le stesse domande: come funzioneranno, in futuro, le regole del vivere e del lavorare insieme?
Quale sarà il rapporto tra dimensione globale e dimensione locale, tra intelligenza artificiale ed essere umano, tra ricchi e poveri, tra vincitori e perdenti? Quali saranno le nuove dinamiche, i riti e i rituali con cui organizzeremo la nostra quotidianità? Esistono città letteralmente costruite intorno alle fabbriche, nate come conseguenza diretta della fondazione di un’industria: che genere di città sono e come funzionano? Cosa unisce le fabbriche del futuro alle città, alla collettività? E dove vanno a finire le immense quantità di rifiuti che produciamo, come le smaltiamo, dove possiamo collocare i rifiuti elettronici della contemporaneità? Oggi la realtà viene percepita come un insieme di piani paralleli che si affiancano, si susseguono, si sovrappongono.
La Fondazione MAST di Bologna, fino al 17 aprile 2017, presenta per la prima volta dalla sua apertura un progetto espositivo interamente dedicato a questo tema attraverso immagini in movimento con video e installazioni sulle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e della produzione realizzati da 14 artisti di fama internazionale:Yuri Ancarani, Gaëlle Boucand, Chen Chieh-jen, Willie Doherty, Harun Farocki / Antje Ehmann, Pieter Hugo, Ali Kazma, Eva Leitolf, Armin Linke*, Gabriela Löffel, Ad Nuis, Julika Rudelius e Thomas Vroege
La mostra traccia in questo modo un resoconto visivo che, per essere compreso a fondo e assimilato, richiede del tempo in più rispetto alla norma: ciascun visitatore è invitato a trovare il proprio ritmo. Solo così l’intensità spesso toccante, la forza e la ricchezza di queste immagini in movimento potranno restituire con forme, meccanismi narrativi e linguaggi visivi diversi, l’evoluzione del mondo del lavoro e della nostra vita.
Yuri Ancarani esplora il lavoro invisibile, mostrando nei suoi tre video – Il Capo (2010), Da Vinci (2012) e Piattaforma Luna (2011) – individui intenti a svolgere compiti estremamente delicati.
Harun Farocki / Antje Ehmann propongono novanta video girati in quindici città diverse. I filmati, girati in un unico piano sequenza, presentano il lavoro retribuito e non retribuito, materiale e immateriale, tradizionale e contemporaneo, industriale e preindustriale, il tutto da una doppia prospettiva: da un lato le azioni individuali, dall’altro il contesto sociale coercitivo in cui queste si compiono.
Chen Chieh-jen tratta il crollo dell’industria tessile avvenuto a Taiwan a cavallo del 2000. L’artista racconta: “Negli anni sessanta, a seguito delle politiche della Guerra Fredda e grazie al basso costo del lavoro, Taiwan è diventata un importante centro industriale a livello mondiale.
A partire dagli anni novanta, le sue industrie ad alto impiego di manodopera sono state via via delocalizzate verso zone in cui il costo del lavoro era ancora inferiore come conseguenza dei fenomeni di globalizzazione. La riduzione dei posti di lavoro e la chiusura delle fabbriche di Taiwan hanno costretto molti operai a una prolungata condizione di disoccupazione. Nel 2003, ho proposto a molte donne che avevano lavorato negli stabilimenti dell’industria di abbigliamento Lien Fu per più di vent’anni di interpretare in questo filmato il loro vecchio ruolo di operaie, in quella che era stata la sede della loro attività”. Poiché le donne erano disponibili a collaborare al video a patto di non dover parlare, questa sorta di re- enactment del lavoro nella ex fabbrica di tessuti somiglia a una pièce teatrale muta, messa in scena nei capannoni, tra gli oggetti abbandonati dopo la chiusura.
Thomas Vroege, indaga la posizione apparentemente intoccabile dei banchieri. Osserviamo uomini che sembrano avere il mondo ai loro piedi e ci chiediamo chi sono e cosa provano. Come si sentono quando perdono il controllo e le loro certezze cominciano a vacillare? In So Help Me God (2014), Vroege ci accompagna in un viaggio dal forte impatto visivo e poetico nel mondo della finanza dopo la crisi, per mostrarci il lato umano di un universo chiuso come quello delle banche nelle cities.
Le opere di questa mostra ci offrono immagini intense degli ambienti di lavoro e di commercio più diversi: dall’attività artigianale di un singolo individuo alla produzione di massa, dal lavoro umano a quello robotizzato, dalla produzione di energia a quella di beni e servizi high-tech, dallo sviluppo del prodotto alla contrattazione commerciale, dalle sfide di natura legale alle questioni strutturali ed esistenziali legate al sistema finanziario.
Dettagli Ad Nuis, Oil & Paradise, 2013, due canali video, 30' minuti circa (courtesy dell’artista e Paradox) Ad Nuis, Oil & Paradise, 2013, due canali video, 30' minuti circa (courtesy dell’artista e Paradox) Yuri Ancarani, Il capo, 2010, singolo canale video, 15' minuti (Mast Collection, courtesy dell’artista e Galleria Zero, Milano) Chen Chien-Jen, Factory, 2003, singolo canale video, 31' 9'' minuti (courtesy dell’artista) Pieter Hugo, Permanent error, 2010, video installazione con dieci monitor (Mast Collection, courtesy dell’artista e Priska Pasquer Gallery, Colonia) Máximo Ciambella, Mate and Leather, 2013 (Buenos Aires) (Courtesy di Antje Ehmann, Berlino)
Dove e quando
Evento: Lavoro in movimento Lo sguardo della videocamera sul comportamento sociale ed economico
Indirizzo:
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Fino al: 20170417