A dieci anni dalla riforma del Ministero della Cultura, introducendo i parchi archeologici tra gli istituti dotati di speciale autonomia, viene da interrogarsi sul loro ruolo presente e futuro. Per chi si “nutre” anche di mostre e, nell’arco dell’anno solare ne visita decine su decine, da un po’ di tempo accade di privilegiare quelle che, alla base, hanno, un’idea nuova come nel caso di quella allestita fino a domenica 13 ottobre al casale di Santa Maria Nova, nel Parco Archeologico dell’Appia Antica.
Organizzata da Electa (che ha anche realizzato un volume con pregevoli saggi), curata da Claudia Conforti, Roberto Dulio, Simone Quilici, Ilaria Sgarbozza, già dal titolo – L’Appia è moderna – si desume come il percorso focalizzi su un preciso periodo storico – il Novecento – e, senza entrare in conflitto con l’antico, dipinti, fotografie, illustrazioni, manifesti pubblicitari, progetti architettonici, documenti d’archivio, restituiscono l’energia di un secolo che ha fortemente disegnato una delle più note vie consolari, parte vivente della città contemporanea.
Attraverso sei sezioni, la narrazione dimostra quanto sia anche moderna smentendo le figurazioni stereotipate del rudere, e dell’edilizia rurale corredata di armenti, si siano erroneamente affermate come veritiero ritratto di un territorio urbano espulso dalla città. In esposizione numerosi progetti firmati dai grandi architetti del secolo scorso: le dimore che sorgevano nella prima metà si conformano a quell’immaginario rusticheggiante e archeologizzante imposto dalla normativa sostenuta dall’ideologia dell’epoca. Marcello Piacentini, i Busiri Vici, Raffaele De Vico, Enrico Del Debbio, declinano i progetti nel solco delle prescrizioni istituzionali e dell’immaginario indotto nei committenti.
L’Appia Antica è invece parte integrante delle dinamiche urbane e sociali della capitale, ben lontana dal concetto di museo a cielo aperto e dove si potrà consolidare negli anni la vocazione naturale dell’Appia, quella di ospitare un turismo lento e sostenibile. L’esigenza odierna è sempre più quella di integrare strumenti di tutela con misure volte al recupero del patrimonio.
Tornando alla storia dell’Appia, dopo la Seconda guerra mondiale fiorirono progetti sia di residenze che di infrastrutture di prestigiosi e brillanti architetti: Luigi Moretti, Sergio Musmeci, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Lucio Passarelli. Nell’euforia della ricostruzione postbellica riescono a sfidare gli stereotipi consolidati. L’ultimo episodio di questa storia progettuale dell’Appia del Novecento è il viadotto realizzato da Musmeci poco fuori Porta San Sebastiano. In questa realtà si inserisce anche il Sacrario delle Fosse Ardeatine, drammatica volumetria che si staglia nella campagna romana degli anni Quaranta.
Oltre allo sviluppo architettonico, va ricordata la creazione, e “l’inserimento”, del paesaggio botanico nel patrimonio archeologico dell’Appia grazie ad Antonio Muñoz, alla capacità di innovare quella che in origine era un’infinita distesa di campagna attraversata dall’antico basolato, costellata dalle emergenze dei resti archeologici.
In mostra anche i fotogrammi inediti dell’Appia estrapolati da una pellicola cinematografica 35 mm di Mariano Fortuny, che rivelano lo sguardo dell’artista sulla Via Appia Antica. Soggetti successivamente traslati da Fortuny in incisioni e acqueforti, oltre che nei suoi famosi tessuti.
Le arti figurative – tra verismo, simbolismo e astrazione – hanno lasciato il segno nel racconto moderno di questa parte di Roma. Esposti, tra gli altri, lavori di Duilio Cambellotti e di Giulio Aristide Sartorio che, tra il 1918 e il 1932, visse in via di Porta San Sebastiano, nel primo tratto dell’Appia Antica. L’ingresso alla proprietà è documentato da un suo dipinto.
Più tardi le tele di Francesco Trombadori, di Carlo Socrate e, negli anni Sessanta, la vicenda della galleria Appia Antica di Emilio Villa, che ha visto debuttare Mario Schifano e Piero Manzoni, attestano la vivacità culturale della zona.
Nel dopoguerra la regina viarum diventa l’Olimpo dei divi di Hollywood sul Tevere: piscine moderne e classici ninfei – le ville degli attori – accendono l’immaginazione popolare e deflagrano sui rotocalchi, creando nuovi stereotipi di massa tutt’altro che effimeri, attestandosi come immaginario alternativo, opposto e inconsapevolmente provocatorio rispetto a quello elitario e prescrittivo del “più grande museo archeologico a cielo aperto”.
La permanenza della pregnanza pop dell’Appia si manifesta, a distanza di decenni, nel cinema – da La dolce vita a La grande bellezza – e nei fumetti, due numeri di Topolino, che, utilizzando l’Appia come scenario, ne scoprono la potente e vitale modernità.
In occasione di questa mostra è stato chiesto a Francesco Jodice di posare lo sguardo sulla Via Appia e le otto fotografie esposte offrono il suo personale racconto.