Sono questi gli ultimi giorni per poter visitare la mostra allestita a palazzo Medici Riccardi che ricorda i terribili momenti dell’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, ma soprattutto mette in evidenza la grande capacità di resurrezione di una città e del suo patrimonio artistico e culturale. I salvataggi incredibili di alcuni tesori ed i loro successivi restauri, che hanno fatto scuola nel mondo, sono inquadrati e spiegati da coloro che li hanno realizzati sul campo.
A 50 anni dall’ inondazione che devastò il patrimonio di chiese, musei e istituti culturali in città e nel territorio, la mostra Firenze 1966 – 2016. La bellezza salvata, curata da Cristina Acidini e Elena Capretti, fa il punto sull’immenso danno subito, sull’enorme lavoro svolto, sulle conoscenze e sulle competenze acquisite, e naturalmente anche su quanto resta da fare. Si presenta come un itinerario articolato fra alcuni dei luoghi più colpiti dall’alluvione del ’66 (musei, collezioni, biblioteche, archivi, luoghi di culto), e si snoda fra gli ambienti monumentali di Palazzo Medici Riccardi, dove aveva sede nel 1966 il Museo Mediceo che fu letteralmente annientato dall’acqua.
Una selezione di 150 opere e manufatti che unisce la qualità artistica all’interesse storico e documentario, rappresentando al meglio le varie tecniche e tipologie, sono state scelte, fra i quali dipinti, sculture, libri, documenti, oggetti d’arte applicata, strumenti musicali e scientifici, accompagnate da fotografie storiche e da video che documentano i danni e gli interventi di recupero. Alle opere restaurate sono accostate altre ancora in attesa o persino irrecuperabili, almeno per il momento e con le odierne tecniche, ma con la speranza che il processo di recupero ormai a uno stadio molto avanzato possa arrivare presto a conclusione.
L’itinerario apre con i Musei e le Collezioni, custodi di opere eccelse, come gli Uffizi, che sono presenti in mostra con opere di arte romana ed un arazzo secentesco che era al pianterreno all’epoca dell’alluvione; il museo del Bargello, dove la sezione delle Armi subì notevoli danni, visto che era collocata al piano terreno dell’edificio, ha in mostra pezzi restaurati a Vienna.
Fra i musei civici fiorentini, il Museo Bardini, vista la sua sede in prossimità dei lungarni, fu uno dei più colpiti. E’ in mostra un imponente modello ligneo del complesso di San Firenze, progettato da Pierfrancesco Silvani e restaurato di proprietà Bardini. Ma dal Bardini il confronto più toccante è quello fra un liuto, con i segni della devastazione ancora ben evidenti, e un mandolino restaurato (entrambi parte della prestigiosa collezione di strumenti musicali di Stefano Bardini), che dà la misura, da un lato, del disastro e, dall’altro, del sapiente lavoro svolto dai restauratori.
Santa Croce e il complesso dell’Opera del Duomo aprono la sezione dedicata ai Luoghi di Culto, che si snoda attraverso quattro sale. Con le loro opere d’arte questi due preziosi luoghi d’arte di Firenze sono diventati un banco di prova dell’emergenza e una vera officina del restauro a livello internazionale. Tre dei raffinati 58 corali miniati dell’Opera del Duomo testimoniano, nonostante le ferite inferte dall’alluvione, l’impegno e le competenze profusi nel salvare questa raccolta dalla sua perdita.
Le opere pittoriche presenti in mostra sono chiari esempi della devastazione che arrivò dentro la chiesa di Santa Croce. Spiccano, nell’itinerario proposto, due grandi tavole di Carlo Portelli e Giovan Battista Naldini, il cui recente restauro viene presentato in questa occasione con risultati stupefacenti, come testimoniano le fotografie scattate prima degli interventi: per entrambe si tratta della prima esposizione dopo dieci anni di lavoro.
Altre opere, appartenenti a luoghi di culto della città e del suo territorio, portano ancora evidenti i segni impressi dal diluvio, come la pala con la Trinità di Neri di Bicci nella chiesa di San Niccolò in Oltrarno, situata nel cuore della città.
C’è poi la pala con la Madonna col Bambino e santi di Francesco Botticini, che è divenuta simbolo della mostra, e che era collocata in Sant’Andrea a San Donnino, nella zona periferica di Campi Bisenzio, dove nel ’66 l’acqua raggiunse addirittura i 6 metri di altezza.
La Carta è stato di certo il settore più vasto del patrimonio culturale colpito dall’alluvione del 1966, in particolare presso la Biblioteca Nazionale Centrale e l’Archivio di Stato, che all’epoca era ancora ospitato nel palazzo degli Uffizi. Ma non furono risparmiati gli archivi di privati e gli enti vigilati dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, nonché le biblioteche storiche come il Gabinetto Vieusseux a Palazzo Strozzi, dove il 90% del patrimonio librario storico venne sommerso nei sotterranei.
Libri a stampa, legature, documenti, manoscritti, codici, disegni, pergamene, insieme a significative documentazioni fotografiche, offrono la possibilità di ripercorrere le fasi del complesso recupero da parte dei vari istituti e dei proprietari. Il lavoro svolto è illustrato dal confronto efficace fra il materiale che reca ancora ben evidenti gli effetti (talvolta irreparabili) del danno e quello che invece è stato ripristinato. Gli strumenti e i materiali messi a disposizione della Biblioteca Nazionale presentano il processo di restauro.
Altra sezione è quella dedicata al patrimonio delle Raccolte scientifiche, che venne colpito duramente dall’alluvione del 1966, a cominciare dal Museo di Storia della Scienza (oggi Museo Galileo) affacciato sull’Arno. Meno nota, ma di recente portata all’attenzione del grande pubblico, è la collezione di modelli di macchinari appartenenti alla Fondazione Scienza e Tecnica: a lungo dimenticati sono stati oggetto di una campagna di studi e di restauri dagli anni Ottanta del secolo scorso. In chiusura la sezione è dedicata agli “Ultimi”, opere ancora in attesa di una possibilità di riscatto. Il lavoro sinora fatto è immenso ma purtroppo, ci sono ancora dipinti (tavole, tele, affreschi, sinopie), sculture, arredi ecclesiastici provenienti da chiese della città e del territorio, ancora nei depositi o presso gli istituti di restauro. Una sezione che pone l’attenzione su queste opere, che rischiano di essere dimenticate, con l’intento di incoraggiare adeguati finanziamenti e interventi.
Il catalogo edito da Le Sillabe è ricco di saggi che raccontano i vari aspetti di questo cataclisma e di ciò che è venuto dopo, come il contributo di Marco Ciatti, dell’Opificio delle Pietre Dure, che ripercorre le scelte operate sul campo e le tecniche usate per la salvaguardia immediata delle opere danneggiate, fino a raccontarci le moderne tecnologie del restauro che vengono applicate ora. O il saggio di Vincenzo Vaccaro, che ci parla del patrimonio architettonico monumentale e dei danni subiti da esso; e ancora quello di Gisella Guasti, dal titolo Il restauro che non c’era. Il laboratorio di restauro della Biblioteca Nazionale, ci dà conto della nascita della scuola di recupero della carta, pergamene e tutto ciò che l’Arno e il suo fango aveva sommerso. Una mostra che, a cinquanta anni dall’alluvione, si presenta come un monito per il futuro, come scrive nel suo saggio la dott.ssa Acidini: perché l’esondazione dell’Arno non si ripeta (ed è la speranza di tutti i cittadini), ma anche perché, se si ripetesse, non trovi impreparate le sedi del patrimonio artistico e culturale.
Dettagli [particolare]
Dove e quando
Evento: FIRENZE 1966 - 2016. LA BELLEZZA SALVATA
Indirizzo:
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Fino al: 20170326