“In molte stagioni della storia dell’arte occidentale gli artisti si sono rivolti alla deformazione e al colore come strumenti linguistici efficaci per esprimere istinti e pulsioni che eccedevano i territori, razionali e ragionevoli, del disegno e della forma idealizzata“: si apre con questa affermazione, contenuta nel pannello che introduce il percorso espositivo, la mostra “L’estetica della deformazione: protagonisti dell’espressionismo italiano” in corso dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025 presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma. La rassegna ripercorre attraverso centotrenta opere i molteplici aspetti dell’espressionismo italiano fra gli anni Venti e Quaranta del Novecento e apre le celebrazioni per il centenario della Galleria di via Francesco Crispi, inaugurata nel 1925.
Accanto a quelle custodite presso la Galleria d’Arte Moderna, le opere esposte provengono da altre raccolte romane (Musei di Villa Torlonia, Casa Museo Alberto Moravia) e dalla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, mai esposta nella Capitale: è possibile in tal modo ripercorrere la variegata realtà dell’espressionismo italiano, dedicando particolare attenzione alle personalità e ai gruppi attivi nelle città di Roma, Torino e Milano durante il periodo tra le due guerre.
Elena Pontiggia, nel saggio “Lirismo, Primitivismo, Espressionismo. Note sul percorso espositivo” delinea le caratteristiche di “quell’arte che, dopo la grande stagione delle avanguardie, non ha coltivato gli ideali classici del Ritorno all’ordine, teorizzati da “Valori Plastici” e dal Novecento Italiano (ricostruzione della forma e della figura; preminenza del disegno nella composizione; dialogo con i grandi maestri del Quattrocento e del Cinquecento), ma ideali diversi, incentrati sull’intensità del colore; sulla fantasia, la visionarietà e la soggettività dell’io; sull’espressione dei sentimenti e delle emozioni“.
Se è vero infatti che l’espressionismo italiano fu un fenomeno articolato, comprendendo artisti che provenivano da formazioni ed esperienze diverse, alcuni elementi comuni caratterizzano coloro che ne fecero parte, a partire dalla visione soggettiva dell’artista, che trasmette la propria inquietudine esistenziale liberando la forma dai canoni accademici. Anche per reazione all’arte ufficiale del periodo, che faceva del disegno l’elemento portante della figurazione richiamandosi a Giotto e al Quattrocento toscano, ci si rivolgeva piuttosto verso il linguaggio del primitivismo, di quella naïveté che vedeva in Henri Rousseau, il Doganiere, una figura di riferimento. Allo stesso tempo si privilegiava un uso libero e spregiudicato del colore – alla maniera dei fauves – quale testimonianza di libertà espressiva alla stregua delle alterazioni della forma in senso anticlassico. L’espressione del proprio mondo interiore diveniva così l’obiettivo primario per artisti che trovavano nella soggettività un’alternativa a quel richiamo alla tradizione dei maestri antichi a cui guardava l’arte ufficiale del tempo.
La scuola romana – o Scuola di via Cavour – nata dall’incontro tra Gino Bonichi (Scipione) e Mario Mafai, che dettero vita a una pittura di atmosfere oniriche – tra intense coloriture e forme liricamente visionarie – si arricchì ben presto della presenza della lituana Antonietta Raphaël – compagna di vita e poi consorte di Mafai – che portava con sé quella cultura ebraica dell’Europa orientale di cui fu il massimo esponente Marc Chagall, espressa nella liricità sognante che impronta le sue vedute di Roma, spesso scene notturne che irradiano una magica luminosità.
Negli anni Trenta gravitano attorno al nucleo iniziale di via Cavour numerosi artisti, tra i quali Mazzacurati, Pirandello, De Pisis, Melli, Afro e Mirko Basaldella, che danno vita a “Una pittura materica e passionale, sontuosamente ‘secentesca’ e accesa di luci. Bagnanti e prostitute declinano in modo vario il tema del corpo e della carnalità; il ritratto e la natura morta sono occasioni per esplorare gli affetti familiari e il fascino misterioso degli oggetti“: così il testo che introduce la sezione della mostra dedicata alla Scuola romana: “Un’arte eccentrica ed anarcoide”. Roma, via Cavour e oltre.
Alla fine degli anni Venti, anche per il torinese gruppo dei Sei le poetiche dell’espressionismo rappresentano il più attraente terreno di ricerca: Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paolucci sono i giovani pittori che si riuniscono attorno a Felice Casorati e ad alcuni critici e storici dell’arte come Lionello Venturi, promotori di una rivalutazione della cultura figurativa italiana dell’Ottocento. La loro pittura, neoromantica, incentrata sugli effetti tonali, ha come principale punto di riferimento l’arte francese dall’impressionismo ai fauves, assumendo come icona esemplare l’Olympia di Manet; al rifiuto dei soggetti aulici si accompagna la predilezione per i temi di vita quotidiana, mentre i legami con la Scuola romana sono testimoniati dalla partecipazione di alcuni componenti del gruppo torinese alla I Quadriennale romana del 1931.
All’ambiente artistico milanese degli anni Trenta è dedicata la sezione conclusiva della mostra: all’inizio del decennio vi domina una tendenza luministica verso lo sfaldamento della forma, che si contrappone ai volumi levigati caratteristici – sia in pittura che in scultura – dei due movimenti “ufficiali” del tempo, il Novecento italiano e Valori Plastici. In seguito, l’ambiente articolato e impegnato che si raccoglie attorno alla rivista “Vita giovanile” – fondata nel gennaio 1938 dal diciottenne Ernesto Treccani e divenuta successivamente “Corrente di Vita giovanile” e poi semplicemente “Corrente” – elabora un linguaggio espressionista che punta a una drammatizzazione di colori e forme liberamente elaborati in senso antinaturalistico.
Nell’orbita di “Corrente” confluiscono artisti e intellettuali animati da una forte ispirazione civile e da scelte anticonformiste (Badodi, Birolli, Cassinari, Sassu, Treccani, Valenti e molti altri – come Manzù, Fontana, Tomea, Cantatore) che non aderiscono al clima di restaurazione culturale progressivamente imposto dal Regime fascista e partecipano alle attività della rivista e della Bottega omonime, esprimendo una pittura inquieta e di forte impatto emotivo, caratterizzata da un intenso e appassionato espressionismo lirico. Questi artisti guardano con attenzione alla recente esperienza romana della Scuola di Via Cavour e stabiliscono relazioni con Pirandello e Levi. “Corrente” si pone come uno dei più agguerriti fogli d’opposizione, dando voce alle ricerche anticlassiche internazionali in ambito artistico, musicale, poetico, filosofico e letterario e ospitando intellettuali del calibro di Argan, De Grada, Comencini, Lattuada, e ancora Montale, Sbarbaro, Quasimodo, Gadda, Saba, Vittorini, Pratolini, Rebora. La rivista fu soppressa d’autorità il 10 Maggio 1940, giorno dell’entrata in guerra dell’Italia.
Nella mostra romana, il pannello della sala “Tra allegoria e storia” dedicata al movimento di “Corrente”, si chiude con la cronaca degli ultimi eventi che ne segnarono la fine: “La partecipazione di Corrente al Premio Bergamo del 1942 trasforma la manifestazione, voluta dal Ministro Bottai, in una vetrina dell’arte antifascista. Nel febbraio del 1943 alla Galleria della Spiga irrompe la polizia e lo spazio chiude. I tempi sono drammatici: molti degli intellettuali e degli artisti del gruppo parteciperanno a vario titolo alla Resistenza, con opere esplicitamente di denuncia o traducendo in azione politica il senso di responsabilità personale verso la Storia“.