La rappresentazione della natura morta, nella gerarchia dei generi pittorici, ha sempre occupato il gradino più basso, sebbene fosse utilizzata come forma di virtuosismo all’interno di quadri di più aulico soggetto. Il Seicento tuttavia, riscattò la condizione della Natura Morta e della pittura di genere, grazie all’opera di Annibale Carracci, Caravaggio e dei pittori oltralpini.
La Galleria Borghese, nel celebrare questa stagione, presenta L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford, visitabile fino al 19 novembre 2017. Il percorso vuole analizzare le origini di questo genere in Italia all’interno della Roma di fine Cinquecento, seguendo i successivi sviluppi della cosiddetta “scuola caravaggesca” nei primi tre decenni del Seicento. La mostra, curata da Anna Coliva, storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese, e da Davide Dotti, storico e critico d’arte che si occupa di barocco italiano e in particolare dei temi del vedutismo e della natura morta, raccontano che la natura morta è una produzione che, a Roma, s’innesta su precedenti tipologie nordeuropee (Germania e Paesi Bassi) e norditaliane (Lombardia) e subito si distingue per un rapporto del tutto speciale e fino a quel momento sconosciuto con la cosa reale. Autonoma dal decorativismo che, nei secoli precedenti, aveva dato adito a dettagli anche eccezionali per mimesi naturalistica, ma comunque attributi accessori di composizioni dai temi più elevati, spesso per mettere alla prova il virtuosismo dell’artefice, “sfoggio di tecnica diligenza” . Da alcuni anni – hanno poi specificato i curatori – la Galleria Borghese porta avanti un programma di mostre, varie per argomento e approccio ma tutte orientate sulla sua natura, sulla sua perfetta e intensa storicità di edificio e di collezione”.
L’esposizione diventa pertanto l’occasione, storiografica e critica, per scoprire le sale della Galleria attraverso il tema dell’origine del genere pittorico che solo molto più tardi verrà chiamato “natura morta”. La critica d’arte del tempo, infatti, definiva questi dipinti “oggetti di ferma”, con l’esatto moderno significato di “modelli immobili”, al pari della locuzione anglosassone still life. L’obiettivo, quindi, è quello di fare il punto sull’avanzamento degli studi critici, pertanto vengono presi in esame, questioni filologiche molto complesse che riguardano provenienze, autografie, appartenenze a gruppi stilistici di artisti di cui purtroppo non si conoscono l’identità anagrafica, per mancanza di documenti, ma che vengono raggruppati dagli studiosi sotto epiteti identificativi molto suggestivi, in virtù della cifra stilistica inconfondibile.
Su tutti va ricordato il Maestro di Hartford, uno dei protagonisti della mostra, in quanto le sue numerose nature morte si legano strettamente ad alcuni lavori di Caravaggio, tra cui l’Autoritratto come Bacco (Bacchino malato), il Ragazzo con cesta di frutta, il Suonatore di liuto e la Cena in Emmaus della famiglia Mattei. Federico Zeri, per lungo tempo, identificò il Maestro di Hartford con il giovane Caravaggio, e in questa esposizione viene confutata questa attribuzione, che nel 1976 trovò larga accoglienza nella critica d’arte, attraverso confronti significativi fra le opere dei due pittori.
L’altro grande protagonista è naturalmente Caravaggio. Il Merisi fu il primo a raffigurare un brano di natura dal vero, con assoluto realismo, attribuendogli la medesima dignità formale e interpretativa riservata fino allora ai soggetti di figura, o di storia sacra e mitologica. La Canestra dalla Pinacoteca Ambrosiana, fu la prima natura morta come soggetto rilevante in sé, carico di una pregnanza simbolica che nulla condivide con le inutili microscopie dei fiamminghi , così indicate da Roberto Longhi. Questa è l’opera che per prima impone la rappresentazione pittorica delle cose così come l’occhio umano vede, senza idealismi o abbellimenti, e indentifica in modo inequivocabile la verità dell’atto pittorico e dell’artista. “Si può quindi dichiarare – come hanno evidenziato i curatori – che la Canestra inaugura la grande vicenda dell’arte moderna”.
Certamente la lezione del Maestro di Hartford e del primo Caravaggio venne accolta dai pittori attivi a Roma nei primi due decenni del Seicento con sincero entusiasmo, come testimoniano le opere del Maestro del vasetto, del Maestro delle mele rosa, di Pensionante del Saraceni, e di altri specialisti di primissimo piano. Accanto ai nomi appena citati sono stati accostati i pittori che frequentarono l’Accademia istituita dal marchese Giovanni Battista Crescenzi nel suo Palazzo alla Rotonda adiacente al Pantheon: Pietro Paolo Bonzi detto Gobbo dei Carracci, il Maestro della natura morta Acquavella , oggi teso ad essere identificato con Bartolomeo Cavarozzi, e dello stesso Crescenzi, a cui sono state attribuite alcune nature morta tra cui Frutta e ortaggi su ripiani di legno e di pietra della Galleria Estense di Modena.
Dettagli
Maestro della fiasca di Forlì, Fiasca spagliata con fiori, (© Foto Archivio Musei di Forlì) Pittore caravaggesco, Cesta con zucche, (© Foto Mibact) Maestro di Hartford, Vaso di fiori e frutta su tavolo, (© FotoAllen Phillips) Caravaggio, Canestra, (© Foto De Agostini Picture Library) Vincenzo Campi, Fruttivendola, (© Foto Mibact) Vincenzo Campi, Fruttivendola, particolare, (© Foto Mibact)
Dove e quando
Evento: L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford
Indirizzo:
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Fino al: 19 Novembre, 2017