All’interno del Museo Diocesano Carlo Maria Martini si è inaugurata la settimana scorsa La Passione. Arte italiana del ‘900 dai Musei Vaticani. Da Manzù a Guttuso, da Casorati a Carrà curata da Micol Forti, responsabile della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, e da Nadia Righi direttrice del museo milanese, un nuovo fruttuoso capitolo della collaborazione tra le due istituzioni iniziata nel 2018 e proseguito nel 2020. Questa nuova mostra è il primo di tre eventi espositivi pensati per il periodo pasquale e radunati attorno al titolo Resurrezioni dello sguardo.

Il progetto documenta la forza innovativa con cui l’arte del Ventesimo secolo ha affrontato le tematiche sacre, nel costante confronto tra la tradizione, l’evoluzione della ricerca linguistica e l’espressione di una nuova sensibilità spirituale e le opere selezionate comprendono un ampio arco del Novecento italiano. Soffermandosi in particolare tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando gli artisti vivono un periodo di profonda riflessione sulla devastazione causata dagli eventi bellici e tentano di ripartire con grande slancio creativo, cercando di rispondere alle domande sempre più urgenti poste dalla società e dal mondo contemporaneo.

Micol Forti, nel suo saggio all’interno del catalogo edito da Silvana, scrive: «È stato un cammino tortuoso e accidentato quello percorso dall’arte italiana del XX secolo nel suo dialogo con la Chiesa, la religione e il sacro. Approssimazioni e reciproche diffidenze, immobilismo nel nome della “tradizione” e sperimentazioni autoreferenziali in nome dell’“innovazione”, sono i poli estremi intorno ai quali ruota una relazione storicamente complessa che, nella spericolata parabola del secolo scorso, ha vissuto un’intensa stagione, formulando dubbi e domande alla luce dei radicali cambiamenti storici e sociali. Le tante sfaccettature di cui si compone questa impegnativa relazione testimoniano certo il radicarsi di quello che viene emblematicamente definito come un “divorzio” tra arte e Chiesa, ma parallelamente rendono conto di quanto fosse necessario affrontare e mantenere vivo il fuoco di questo dialogo.

Le opere prodotte a cavallo tra XIX e XX secolo, nell’alveo della fertile stagione realista, divisionista e simbolista, dimostrano il sincero e profondo interesse per i temi e i soggetti sacri da parte di molti protagonisti della scena artistica italiana. Pellizza da Volpedo, Segantini e Previati, solo per citare i nomi più noti, hanno realizzato intensi capolavori mai approdati, tuttavia, all’interno di una chiesa e agli onori di un altare.»)

Nadia Righi, riflette su come la pandemia abbia cambiato la vita di ciascuno di noi e il nostro modo di affrontare le circostanze. Sempre in catalogo, si legge: «La fatica e il dolore degli ultimi due anni sono stati anche per tutti noi una insospettabile possibilità di approfondire molteplici aspetti della nostra vita, costringendoci ad andare all’origine dei nostri desideri, di felicità, di bellezza, cercando senso e significato in ogni cosa. Il progetto espositivo nasce proprio da questa riflessione. Come stare di fronte a ciò che accade, ad avvenimenti quotidiani o a grandi eventi, senza perdere la Speranza?

È lo stesso interrogativo davanti al quale si sono trovati gli uomini e gli artisti del secolo scorso, in anni segnati dai conflitti mondiali, dalla distruzione, dai sacrifici umani, dalla paura, dall’orrore dell’Olocausto. Anche gli artisti allora hanno dovuto fare i conti, come noi oggi, con una urgente domanda sul senso di tutto ciò. Questa esigenza di significato assume forme sorprendenti quando gli artisti si misurano con il tema dell’arte sacra e in particolare con la Passione di Cristo, un soggetto che in quei tragici anni è stato spesso letto e interpretato come segno delle sofferenze che stavano lacerando l’umanità.

Come si vede nel percorso espositivo, ognuno di essi affronta il tema della Passione secondo la propria sensibilità, ma anche in relazione al proprio percorso artistico, con risultati differenti e a volte contrastanti. Nelle sale si cerca di dare ragione della ricchezza e delle sfaccettature degli stili, della pluralità dei linguaggi che convivono nel corso del Novecento, ma anche dei diversi atteggiamenti nei confronti dei modelli di una, a volte, ingombrante tradizione pittorica. Sia pur in questa inevitabile diversità, è tuttavia possibile scorgere un fil rouge, costituito da una tensione spirituale mai sopita, presente in ogni uomo indipendentemente dalla propria fede.»

Punto di partenza, nonché di arrivo, del complesso rapporto tra gli artisti e l’arte sacra nonché del tormentato dialogo tra gli artisti e la Chiesa nel secolo scorso, è il pensiero di papa Paolo VI sull’arte contemporanea, che emerge con chiarezza nel noto “Discorso agli artisti” in Cappella Sistina del 1964: il pontefice percepiva l’arte come luogo di ricerca della verità, del significato e della bellezza, mostrando anche una straordinaria apertura alle sperimentazioni.

Il percorso espositivo testimonia come l’arte italiana, dagli inizi del Novecento, fino agli anni Settanta del secolo scorso, abbia mantenuto costante l’interesse per il sacro e per la sfida di rinnovare e riattivare il suo senso nel presente. In particolare, i temi legati alla Passione di Cristo hanno costituito un fondamentale terreno di scambio e di approfondimento tra aspetti iconografici, stilistici e narrativi.
Inizia con un focus su alcuni episodi che precedono la Passione di Cristo, come il Bacio di Giuda nell’interpretazione di Giuseppe Montanari e Felice Casorati o la Flagellazione di Salvatore Fiume. La sale centrali sono dedicate alla rappresentazione della Crocifissione, declinata nelle molteplici varianti tecniche e interpretative, dalla tela di Gerardo Dottori del 1927, tra le prime opere di Arte Sacra Futurista, al Crocifisso bronzeo di Giacomo Manzù del 1937, dal bassorilievo in gesso di Marino Marini del 1939, ai disegni di Renato Guttuso, preparatori per la grande Crocifissione del 1941, alla Via Crucis di Pericle Fazzini del 1957-1958 per la chiesa di Santa Barbara a San Donato Milanese.

La mostra prosegue affrontando il tema della Pietà e della Deposizione, attraverso le opere di Carla Carrà, Felice Carena, Francesco Messina, Marino Marini e chiude con un disegno e un bozzetto in bronzo di Pericle Fazzini preparatori alla monumentale Resurrezione
dell’Aula Paolo VI, destinata alle udienze pontificie e inaugurata dallo stesso papa Montini nel 1977.
Una sezione è riservata proprio alla figura di Paolo VI e al suo pensiero sull’arte, in particolare a quella contemporanea, e sull’architettura. Qui s’incontra una selezione di bozzetti preparatori per la Via Crucis realizzati tra il 1960 e il 1961 da Guido Strazza per la chiesa di Ponte Lambro, nella periferia sud-est di Milano. Progettata dall’architetto Guido Maffezzoli, questo è uno dei luoghi di culto che rientra nel piano di costruzione 22 chiese per 22 concili, ideato e promosso nel 1961 dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, per rispondere alla crescita del capoluogo lombardo e per celebrare l’apertura del Concilio Vaticano II.