A Palazzo Grassi “Hypervenezia” è un progetto ideato e realizzato da Mario Peliti in occasione del 1600° anniversario della fondazione della città la cui tradizione fa risalire la nascita al 25 marzo 421 d.C. quando, tre consoli padovani, furono inviati nella laguna con la missione di trovare un luogo sicuro per un porto commerciale.

Dopo sei mesi di chiusura per lavori di manutenzione, lo scorso 5 settembre sono state riaperte le porte al pubblico con “Venice Urban Photo Project” allestimento immersivo, rigorosamente in bianco/nero, curato da Matthieu Humery, conservatore presso la Collection Pinault.

Al primo piano espositivo di Palazzo Grassi circa quattrocento fotografie che ripercorrono un ideale itinerario per i sestieri di Venezia, un’installazione video di oltre tremila fotografie che scorrono accompagnate da una composizione musicale inedita realizzata per la mostra dal compositore Nicolas Godin, membro del duo “Air”, e una mappa site-specific di Venezia formata da un mosaico di circa novecento immagini geolocalizzate per offrire una panoramica della città.

Il Curatore, durante la conferenza stampa, ha illustrato come siano: «rare le occasioni in cui la fotografia può ribadire la propria essenza sofisticata e riaffermarsi come fenomeno dalla complessa raffinatezza. Giocando con la realtà e deformandola suo malgrado, ci trascina puntualmente in una riflessione pressoché infinita che pone la realtà di fronte alla sua rappresentazione. Viene spontaneo allora chiedersi se ciò che ammiriamo in una fotografia sia la realtà stessa, sotto forma di traccia nostalgica, o piuttosto il turbamento suscitato dalla padronanza della perfetta somiglianza/illusione. La fotografia è spesso percepita come elemento del reale. L’immagine fotografica è rivelatrice e dimostrativa.

Anche se il personaggio del film di Michelangelo Antonioni Blow-Up mostra i limiti di questa percezione ponendo la domanda: «che cosa succede quando la fotografia “sembra” dire la verità?», bisogna riconoscere che è difficile negare l’effetto specchiante che la fotografia esercita sul mondo. Non che sia necessario prendere posizione; tuttavia, la mostra “Hypervenezia”, attraverso l’installazione di una lunga sequenza di immagini e la ricostruzione di una “mappa fotografica”, invita a chiedersi una volta per tutte se la fotografia non sia innanzitutto (o anche) una finzione, anche quando traduce scrupolosamente il reale. Un’ipotesi e al tempo stesso un gesto estetico e poetico.»

Matthieu Humery ha anche spiegato che l’uso del prefisso “hyper” sia da intendere una sorta di accesso a un oltre, uno stato superiore del soggetto stesso, e implica la necessità di allontanarsi dall’immagine documentaria affinché Venezia possa rivelarsi nella sua stessa finzione.

Tale finzione è qui sprovvista di narrazione, personaggi o colpi di scena, e pertiene a un’esperienza impossibile da riprodurre nella realtà. In effetti il visitatore si trova in una costruzione che si avvale della straordinaria quantità di immagini prodotte da Mario Peliti seguendo instancabilmente un precisissimo protocollo.

La finzione non condivide la natura del suo soggetto, che appartiene alla realtà, ma quella della rappresentazione, che trasforma il soggetto in finzione con il risultato in una città come non si è mai vista e come non si vedrà mai.

Nonostante la raffigurazione iconica che tutti conosciamo e riconosciamo, questa Venezia appartiene a un mondo parallelo, a un simulacro in cui è impossibile distinguere il falso dal vero, l’artificiale dal reale, l’oggetto dalla sua rappresentazione.

Accompagna l’imperdibile evento espositivo un catalogo trilingue (italiano, inglese, francese) co-edito da Marsilio Editori, Venezia, e Palazzo Grassi – Punta della Dogana.