All’apice della carriera, Gustav Klimt (Baumgarten, 14 luglio 1862 – Vienna, 6 febbraio 1918), tra i padri della Secessione viennese, partecipò alla Biennale di Venezia del 1910 e, l’anno successivo, all’Esposizione Internazionale di Roma organizzata in occasione del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Quel personalissimo e innovativo stile contaminò un’intera generazione di artisti e, tra gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, rinnovarono profondamente il proprio linguaggio. Grandi nomi attivi principalmente a Venezia, Trieste, Trento e Verona tutte zone di influenza, diretta o prossima, della cultura austriaca e mitteleuropea.
Infatti, a seguito delle due rassegne, a conferma del successo dell’artista austriaco in Italia, due capolavori assoluti furono acquistati da primarie collezioni pubbliche: il Comune di Venezia destinò la Giuditta II alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro mentre, Le tre età della donna, andarono ad arricchire il patrimonio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Successivamente, nel 1925, un Ritratto di Signora, fu acquistato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza ed è tutt’ora nelle loro disponibilità.
Al Mart di Rovereto, prorogata fino al 27 agosto per il successo di pubblico (nei primi sessanta giorni ha fatto registrare oltre cinquantamila presenze), prosegue “Klimt e l’arte italiana” nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi, dove sono riuniti i due capolavori costituendo il perno attorno al quale ruota il progetto espositivo volto ad analizzare, per la prima volta in modo esaustivo, l’attività di pittori e scultori italiani il cui lavoro fu ispirato da quello di Gustav Klimt e dalla Secessione. Quasi magico e circoscritto nel tempo, questo momento della storia dell’arte si discosta dalle grandi e più note correnti, come le Avanguardie, e precede il Ritorno all’Ordine e le tendenze post belliche.
Attraverso duecento opere – provenienti da importanti collezioni pubbliche e private – di una quarantina di artisti, vengono illustrate discipline diverse, dalla pittura alle arti decorative, sotto il segno di un riconoscibile gusto sontuoso, seduttivo e decadente. La fascinazione della pittura del maestro viennese, con particolare riguardo a quella del cosiddetto “periodo aureo”, è individuabile negli artisti attivi a Venezia come Vittorio Zecchin (il “Klimt italiano”) e i giovani “dissidenti” di Ca’ Pesaro, come Felice Casorati senza dimenticare quelli coinvolti nelle grandi imprese decorative della Biennale, come Galileo Chini.
Non potevano mancare coloro che, per prossimità geografica e culturale, furono particolarmente vicini al clima delle Secessioni: il triestino Vito Timmel, i trentini Luigi Bonazza, Luigi Ratini e Benvenuto Disertori.
Le atmosfere austriache e germaniche ispirano inevitabilmente anche l’opera dello scultore Adolfo Wildt, definito dai critici “il Klimt della scultura” per le affinità stilistiche tra le sue opere, illuminate da tocchi dorati, e le forme dell’arte secessionista.
Va comunque sottolineato come gli artisti italiani rielaborano l’influsso klimtiano in modo autonomo e originale e, seppur con lo sguardo volto al linguaggio nordico, alle Secessioni di Vienna e di Monaco con riferimenti visibili nei decori, nelle linee, nei colori, i loro stili si mescolarono alle caratteristiche artistiche locali permettendo la nascita di nuove ricerche.
Del resto, quello che la Curatrice illustra in catalogo (edito da Silvana) come un “folgorante cortocircuito”, fu a sua volta erede della tradizione italiana essendo ormai acclarato come, alcune delle opere più note di Klimt, siano state realizzate proprio a seguito dei frequenti viaggi in Italia durante i quali visitò la Basilica di San Marco e i mosaici di Ravenna che ispirarono gli ori, i decori, la bidimensionalità.
Se Klimt “rende attuali e trasforma in una sintassi rivoluzionaria le impressioni indelebili derivate dalla tradizione artistica del nostro Paese”, gli artisti che influenza “con un potere di seduzione senza pari” contribuiscono al delinearsi di una parentesi unica e preziosa su cui, finalmente, si inizia a far luce.