Feltre, dal 4 al 15 ottobre, ospiterà un nuovo Festival dedicato alla disciplina che studia gli stemmi, quel mondo fatto di segni, simboli, colori e figure più o meno fantastiche nati a partire dal medioevo e che costituivano gli emblemi d’identità di famiglie nobili, uomini di chiesa, corporazioni, città, ordini. Un vero e proprio linguaggio per immagini e smalti ancora oggi visibile sulle vie e i palazzi e che, nella cittadina del bellunese, si è conservato con un alto numero di testimonianze.

Un’anteprima del Festival dell’Araldica è la mostra Le prigioni della mente. Draghi basilischi, rettili fantastici allestita nelle Antiche prigioni di Palazzo Pretorio che focalizza proprio su quelle figure che hanno animato la quotidianità dei nostri antenati come parte viva e reale dell’esistenza.

Non erano solo frutto dell’immaginario, creazioni della mente più o meno ispirate al vero, ma costituivano presenze concrete capaci di interagire con l’uomo influenzandone la vita. Esprimevano, nel loro stesso esistere, paure, sogni, credenze.

Quindi, tali prigioni della mente, intese come il patrimonio di convinzioni attraverso cui uomini e donne di tutte le età – oggi come un tempo – filtrano l’intera esperienza del reale. Queste figure vivevano nelle ombre della sera, nei fenomeni atmosferici, negli eventi che la ragione non riusciva a spiegare.

Cariche di valori emotivi e simbolici, ricche del fascino di una bellezza mostruosa e misteriosa, diventavano parte di storie, di creazioni artistiche, di decorazioni, di stemmi. Testimonianze che sopravvivono tuttora, anche se il nostro sguardo stenta spesso a riconoscerne la presenza.

Raccontano di un mondo solo all’apparenza lontano, che è parte delle radici di ciascuno di noi e la mostra (ricerca storica e testi di Laura Pontin) ha dato voce a quel particolarissimo universo percorrendo l’itinerario proposto nella brochure distribuita gratuitamente a tutti i visitatori.
I bambini che vorranno esplorare questo incredibile mondo potranno farlo con i laboratori creativi gratuiti curati dall’antropologa Annamaria Canepa.