Ai Musei di Palazzo dei Pio a Carpi prosegue, fino al 1° maggio, un’esposizione che costituisce una testimonianza dell’impegno morale dell’arte nel risvegliare le coscienze di fronte al declino delle democrazie in Europa e alla sconsiderata follia dei campi di sterminio.
Il rumore della memoria. Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato, curata da Ada Patrizia Fiorillo e Lorenza Roversi, riporta all’attenzione collettiva, in una data fortemente simbolica, la tragica storia della segregazione razziale in Italia, di cui Carpi è stata testimone. A pochi chilometri dal centro cittadino infatti, in località Fossoli, sorgeva il campo di concentramento per ebrei, voluto dalla Repubblica Sociale Italiana, successivamente trasformato in campo poliziesco e di transito, utilizzato dalle SS come anticamera dei lager nazisti.
Settantuno opere tra dipinti, sculture e grafiche di autori quali Pablo Picasso, con le incisioni Sogno e menzogna di Franco I e II (1937), Julio Gonzales con il disegno Studio di figura che grida (1941), Corrado Cagli con la serie di disegni Buchenwald (1945), Emilio Vedova con il dipinto Incendio del villaggio (1945).
Partendo da alcune tavole dello studio di architetti BBPR di Milano (Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto N. Rogers), cui si deve la struttura del Museo al Deportato, concepito negli anni sessanta e inaugurato il 14 ottobre 1973, l’esposizione propone i bozzetti originali di Renato Guttuso e Corrado Cagli che, con Alberto Longoni, Picasso e Léger, hanno realizzato alcune delle pareti all’interno delle tredici sale del museo.
E ancora, Giacomo Manzù presente con il bassorilievo Cristo con generale del 1947, Sandro Cherchi con la terracotta Figura del 1948, Franco Garelli con il dipinto L’impiccato del 1944, Mirko Basaldella con il mosaico Furore del 1944, Corrado Cagli con l’imponente scultura Figura d’uomo databile sul finire degli anni Quaranta, Ernesto Treccani con il dipinto La collina del 1943, Tono Zancanaro con una china della serie Peragibba del 1943, Ennio Morlotti con l’olio Estate del 1946. Queste figure formano la prima parte della mostra il cui spirito, come sottolinea la Curatrice, “ha inteso muovere le corde facendo leva sulle immagini, anche lì dove le forme, le espressioni degli artisti hanno genesi diverse”.
Un nodo centrale, cui si collega la seconda sezione della mostra, è dedicato al corpus grafico di disegni di Aldo Carpi, di proprietà del museo carpigiano, realizzato in gran parte durante la sua prigionia a Mauthausen e Gusen. Pagine di piccolo formato che descrivono una lenta, e implacabile, discesa all’inferno dal quale Carpi riesce a sopravvivere grazie al suo talento artistico
Lorenza Roversi, ricorda: “L’artista dipinge molti quadri per i tedeschi, principalmente paesaggi e ritratti, a cui alterna le immagini di un quotidiano devastante, documentando la vita del lager per lo più a matita su fogli di spartito o su quelli recuperati nell’infermeria: i compagni, l’indicibile sofferenza del muselmann, il prigioniero già in fase di pre-agonia, qualche esterno e anche ‘lampi’ di normalità e speranza”.
Di luce che sembra aprirsi dopo il buio alla speranza, parla l’ultima parte della mostra affidata alle opere dei primi anni sessanta di Carlo Carrà, di Georges Braque, accomunate dal tema della colomba, simbolo di grande forza per la conquista di un mondo libero e pacificato, e di Picasso ancora con un bellissimo Volto di donna realizzato al sorgere dello stesso decennio alla Stamperia ‘Il Bisonte’ di Firenze.