“La nostra meta infatti non era soltanto il paese di levante, o meglio il nostro Oriente non era soltanto un paese e un’entità geografica, ma era la patria e la giovinezza dell’anima, era il Dappertutto e l’In-Nessun-Luogo, era l’unificazione di tutti i tempi.”
Hermann Hesse, Il pellegrinaggio in Oriente, 1932
L’immagine dell’India come scrigno di una spiritualità superiore inaccessibile all’Occidente è un mito così forte della nostra cultura che, persino adesso che nessun luogo del globo è ormai irraggiungibile, continua a resistere imperituro a qualsiasi passaggio di tempo; ma come è nata questa fascinazione per il subcontinente indiano e in che modo è cresciuta, da vezzo circoscritto a una élite intellettuale europea a fenomeno collettivo di massa?
Da queste riflessioni nasce la mostra Sulle vie dell’illuminazione – il mito dell’India nella cultura occidentale – 1808 / 2017 allestita al LAC – Lugano Arte Cultura fino al prossimo 21 gennaio; un’indagine sulla genesi di questo affascinante tassello culturale così ben radicato in noi, attraverso l’esposizione di materiale eterogeneo come dipinti, manifesti, sculture, fotografie e installazioni, per comprendere come e perché l’immagine di un’India ideale, forse mai realmente esistita, ha trovato collocazione nell’anima collettiva occidentale per non andarsene più.
Come spesso accade nella storia del pensiero umano, date ed eventi significativi sono fissati a posteriori alla luce dell’impatto che hanno prodotto, adottati come convenzionali delimitazioni temporali per dare collocazione storica a fenomeni culturali che in realtà non possono avere netti confini. Così il sottotitolo della mostra sceglie il 1808 come simbolico inizio di un’attenzione occidentale per l’India perché, mentre la Spagna insorge contro Napoleone e la Svezia abbandona la Finlandia all’annessione con l’impero russo, il filosofo tedesco Friedrich Schlegel pubblica il saggio Ueber die Sprache und Weisheit der Inder [Sulla lingua e sulla saggezza dell’India] che avrà un’eco enorme – e risvolti anche funesti – in tutta Europa.
Questo saggio di linguistica che individuava nel Sanscrito la lingua madre di tutti gli idiomi europei fu germoglio per nuove teorie storico filosofiche; come quella che voleva gli antichi ariani dell’India antenati del popolo tedesco, strumentalizzata poi dal nazismo per giustificare i deliri sulla purezza della razza. Il continente indiano era sottomesso al dominio britannico, ma fu in Germania che lo studio della sua cultura raggiunse l’apice con l’istituzione di cattedre universitarie in numero maggiore che in tutto il resto d’Europa messo insieme; un interesse troppo spesso calcolato e strumentale, minato da una convinzione di superiorità teutonica nell’interpretazione degli antichi testi e dalla volontà di plasmarne il senso ultimo, per dare supporto a teorie razziste e spodestare l’egemonia inglese.
Lasciando da parte le derive distruttive del Terzo Reich, il fascino dell’Oriente come invenzione fantastica dell’Occidente si manifestò in ogni ambito espressivo della creatività umana.
Nella pittura alcuni Orientalisti si spinsero più a sud oltre le consuete frequentazioni arabe, ma l’influenza di quell’immaginario esotico e fatato si ritrova anche nell’opera di artisti come Gustave Moreau e Odilon Redon, che mai affrontarono viaggi per raggiungere le sponde del Gange. Analogamente in letteratura scrittori come Emilio Salgari, che ha raccontato la Malesia in numerosi romanzi senza mai lasciare l’Europa, alimentarono il mito di un’India solo immaginata e mai infranta contro la realtà di una conoscenza vera di quei luoghi.
Dipinti e stampe di paesaggi lontani comparvero sulle pareti nelle case della borghesia europea e con la nascita della fotografia, nella prima metà dell’Ottocento, immagini dei più importanti monumenti indù incrementarono la loro diffusione facendo sorgere, insieme al gusto per l’esotico, un crescente desiderio di ricerca spirituale. Nella tradizione cristiana l’Occidente non trova più risposte alle domande di una crisi esistenziale e inizia una ricerca nelle antiche religioni dell’India, vissute come fonte di spiritualità contrapposta al materialismo occidentale. Nascono movimenti di sincretismo religioso come la Teosofia di Helena Blavatsky, non sempre orientati al bene e accusati spesso di esercitare manipolazioni mentali sugli adepti.
Nel 1946 il premio Nobel per la letteratura assegnato al tedesco Hermann Hesse riaccese l’interesse sulla sua opera e in particolare sul Siddhartha del 1922, il suo romanzo d’ispirazione indiana che divenne un successo editoriale di massa, bandiera di una ricerca interiore che nei successivi anni ’60 ebbe anche i Beatles come testimonial d’eccezione. La contestazione giovanile del ’68 con l’uso di LSD come mezzo per ampliare le percezioni della coscienza, divenne strumento per trasmettere alle nuove generazioni il mito di una spiritualità indiana in realtà costruito dall’Occidente, che si espande ancora oggi attraverso arti popolari come musica e cinema.
La mostra curata da Elio Schenini è corredata da un prezioso volume edito da Skira – definirlo catalogo sarebbe riduttivo – che abbattendo i limiti fisici degli spazi espositivi, presenta anche materiali fuori esposizione e trenta contributi critici inediti, che affrontano il tema da specifiche angolature sempre diverse e illuminanti.
Nel 70° anniversario dell’indipendenza indiana l’allestimento Sulle vie dell’illuminazione è solo la punta di diamante del ricco programma che sotto il titolo Focus India raccoglie una rassegna cinematografica, eventi musicali, spettacoli di danza e laboratori per adulti e bambini; il calendario completo degli appuntamenti sul sito ufficiale del LAC – Lugano Arte Cultura.
A seguire un nostro contributo video realizzato per l’occasione.