La Galleria degli Uffizi non ha rivali al mondo. La sua raccolta d’arte, fra le più varie e complete esistenti, racchiude capolavori talmente noti, da far sfuggire all’occhio meno attento le tante altre ricchezze raccolte dei granduchi. Negli ultimi anni una serie di mostre su “I tesori dei granduchi” hanno acceso i riflettori sulle numerose quanto ricche e raffinate collezioni conservate nella Galleria. Un approfondimento dal punto di vista scientifico, ma anche un’affascinante riscoperta della grande quantità di oggetti d’arte collezionati nei secoli dalla famiglia Medici.
Dopo gli avori, i reliquiari, il lapislazzuli e le piccole sculture in pietra dura, tutti provenienti dalle collezioni granducali, quest’anno alla Galleria degli Uffizi, la mostra Il tesoro dei Granduchi. Omaggio al Granduca. Memorie dei piatti d’argento per la festa di San Giovanni, ha voluto mettere in luce un episodio tanto appassionante quanto poco noto dell’oreficeria italiana tra Sei e Settecento legato alla storia della famiglia Medici e alla città di Firenze.
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La storia ha inizio con il cardinale Lazzaro Pallavicini, della nobile famiglia del patriziato genovese, che desideroso far entrare la sua casata nei vertici dell’aristocrazia romana, più volte in cerca di influenti aiuti, bussa alla porta della potente casata fiorentina. Per sdebitarsi dei tanti favori e come atto di massima gratitudine per i tanti benefici che la sua famiglia aveva ricevuto dai Medici, il cardinale poco prima di morire nel 1680 dispone e lascia scritto anche nel suo testamento, legando così anche gli eredi alla tradizione, di presentare ogni anno al granduca regnante e dopo di lui al suo primogenito, un bacino d’argento lavorato del valore di trecento scudi di moneta romana. Il suntuoso dono doveva essere recapitato fra le mani del granduca in una occasione particolare per la città di Firenze: durante la “festa degli omaggi” quando le città toscane offrivano il segno tangibile della loro sudditanza al granduca. La ricorrenza cadeva durante la solenne festa del 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista, patrono della città festeggiato a Firenze già in antico.
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E così fu. A partire da quel 24 giugno del 1680 e per ben cinquantotto anni Cosimo III e il suo successore, il figlio Gian Gastone, ricevettero altrettanti pregiati bacili d’argento con storie che illustravano i fasti dinastici della casata fiorentina disegnati e cesellati dai più importanti argentieri del momento. Solo per il primo anno, avendo poco tempo a disposizione, la famiglia offrì un bacino già in loro possesso, del tutto simile ad altri noti, uno dei quali, oggi conservato nell’Ashmolean Museum di Oxford, esposto in mostra, ci offre oggi un’idea di come dovessero essere gli originali.
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Nel tempo l’elaborazione delle composizioni passò ai più valenti pittori del tempo come Ciro Ferri, Pietro Lucatelli, Ludovico Gimignani, Lazzaro Baldi, Filippo Luzi o Giuseppe, Carlo e Tommaso Chiari. Dal 1700 furono spesso gli argentieri a progettare le tese dei preziosi doni. I disegni noti, provenienti da musei italiani ed esteri e da collezioni private, sono tutti esposti in mostra grazie a un accurato lavoro di ricerca e prestito, mente i nomi degli argentieri che sbalzarono e cesellarono l’argento dei bacini, sono emersi dalle pagine dei documenti degli archivi romani. Memorie dei piatti d’argento suggerisce il titolo.
Memorie, una idea degli originali perché dei cinquantotto bacili d’argento donati al granduca e ai suoi eredi nel corso di altrettanti anni, rimangono soltanto i calchi in gesso. I preziosi piatti conservati alcuni nel Guardaroba di Palazzo Vecchio, altri donati al tempo di Gian Gastone nella residenza di Palazzo Pitti, quando fu estinta la dinastia medicea – nonostante il Patto di Famiglia stipulato nel 1737 fra Anna Maria Luisa Elettrice Palatina e il nuovo granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena – furono come tutti gli altri argenti, considerati una preziosa risorsa per ripianare il bilancio precario dello Stato toscano e furono usati per finanziare le imprese militari.
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Dei ‘piatti di san Giovanni’ sarebbe svanito anche il ricordo se la Manifattura Ginori di Doccia, per volontà del fondatore, il marchese Carlo Ginori, tra il 1746 e il 1748 non avesse fatto realizzare da un argentiere, le forme in gesso tratte dagli originali in argento da cui poi sono derivati i calchi in gesso esposti in mostra.
Il fascino dell’esposizione sta proprio in questo prezioso lavoro di recupero della memoria, di ricostruzione, una sorta di una caccia a un tesoro scomparso che riemerge attraverso le tre sezioni che costituiscono la mostra. La prima dedicata ai calchi, presentati in ordine cronologico e accostati, ove possibile, ai disegni preparatori degli argenti. La seconda dedicata ai protagonisti di questa vicenda, i membri delle famiglie Pallavicini e Rospigliosi che stabilirono il dono annuale. La terza con le testimonianze della fortuna della serie nel Settecento – con l’unico piatto in porcellana ricavato dai calchi in gesso oggi conosciuto – e nell’Ottocento, con la sopravvivenza di motivi tratti dai piatti nella produzione della manifattura Ginori.
E come in ogni racconto che si rispetti nell’ultima sala riappare il tesoro scomparso, ma questa volta sottoforma di “copie” realizzate nel Novecento. Senza più i sapienti e costosi argentieri, ma grazie alle moderne tecniche di elettroformatura d’argento le copie dei piatti scomparsi riappaiono, per restituirci la loro magnificenza nell’allestimento tardo settecentesco della stanza delle medaglie della Galleria degli Uffizi.

Dettagli

Dove e quando

Evento: Omaggio al Granduca.Memorie dei piatti d'argento per la festa di San Giovanni

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Fino al: 20170924