Le Sale delle Arti della Reggia di Venaria ospitano fino al 15 settembre cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol, in una mostra con oltre sessanta capolavori provenienti dalle collezioni artistiche di Capodimonte, per raccontare una storia affascinante: quella di una Reggia divenuta un grande Museo che, nel corso dei secoli, ha preservato alcune tra le più raffinate raccolte d’arte di tutta Europa.

Sotto la cura generale di Sylvain Bellenger e Andrea Merlotti con un comitato curatoriale composto da Patrizia Piscitello, Carmine Romano, Alessandra Rullo, Clara Goria e Donatella Zanardo, la storia inizia con un giovane sovrano, Carlo di Borbone, alla conquista del trono nel Regno di Napoli, appena due anni dopo essere entrato in possesso – nel 1732 – del Ducato di Parma e Piacenza, favorito dalla madre Elisabetta Farnese regina di Spagna.

La sezione dell’eredità materna che riguarda l’esposizione è la collezione d’arte dei Farnese, della quale Carlo, sin dall’inizio del 1734, anno cruciale per la campagna militare che lo avrebbe portato sul trono di Napoli, richiese un rapido inventario “di tutte le gioie, medaglie, tappezzerie, quadri, ed altri adorni e mobili i più preziosi, che siano in cotesta Real Guardaroba e nella Galleria”.

La ricognizione patrimoniale era intrapresa in previsione del trasferimento delle opere a Napoli, capitale del nuovo Regno. Il problema di una degna sistemazione della raccolta farnesiana nella città partenopea si pose immediatamente: il Palazzo Reale era privo di una Galleria, pertanto sin dal 10 settembre 1738 veniva posta la prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte, da erigersi perché il giovane sovrano avesse, con la sua corte, un palazzo con un vasto bosco per le battute di caccia.

Si può supporre che sin dalla fondazione la Reggia fosse stata concepita anche per accogliere le collezioni farnesiane: infatti dal 1739 era al lavoro una commissione incaricata di studiare la possibilità di sistemare l’intera raccolta in un’ala dell’edificio in costruzione “destinato per la collezione di quadri, libri, medaglie ed altre cose che vennero di Parma” individuando le camere verso il mare, più luminose, come le più adatte.

La disposizione e sistemazione delle opere si può parzialmente ricostruire attraverso le testimonianze dei viaggiatori del Grand Tour; con Johann Joachim Winckelmann (1758) e il canonico Sigismondo Manci (1760) si comprende che intorno al 1759 i dipinti erano stati sistemati negli ambienti luminosi volti a mezzogiorno, nell’unico blocco dell’edificio ultimato.

La disposizione era per “medaglioni”: Raffaello e i toscani, Correggio, Parmigianino, Schedoni, Tiziano, i veneti, Annibale Carracci e i Bolognesi del Seicento.

Era sorto il primo museo napoletano con il Regolamento sancito solo nel 1785, che disciplinava gli orari di accesso del pubblico, dei copisti, le responsabilità dei custodi e dei consegnatari. Dopo meno di due secoli, nel 1957, nasce il Museo Nazionale di Capodimonte.

La mostra alla Venaria Reale racconta l’evoluzione di questa storia, attraverso le dinastie regnanti e le opere dei nuclei collezionistici principali: farnesiano, borbonico e opere provenienti dalle chiese del territorio. Inoltre, a ricordare gli stretti rapporti tra i Savoia e i Borbone, la sala dal titolo Artisti ‘napoletani’ per la corte sabauda con importanti prestiti dalle collezioni dei Musei Reali di Torino.

Opere scelte di Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 – Barra di Napoli 1768), Sebastiano Conca (Gaeta 1680 – Napoli 1764), Corrado Giaquinto (Molfetta 1703 – Napoli 1766) e Francesco De Mura (Napoli 1696 – 1782) rappresentano quella grande stagione settecentesca, orchestrata dall’architetto Filippo Juvarra, nella capitale del regno durante gli anni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III.

Tra gli artisti contemporanei delle diverse scuole pittoriche, i maestri napoletani furono infatti grandi protagonisti, attivi per gli altari di corte e i cantieri delle Residenze Sabaude: dal Palazzo Reale di Torino al Castello di Rivoli fino, appunto, alla Reggia di Venaria.