Da un’idea illuminata di Vittorio Sgarbi una mostra imperdibile, quella celebrativa e solenne dei primi vent’anni del Polo culturale di Rovereto, inaugurato il 15 dicembre 2002. Curata da Alessandra Tiddia con il contributo di numerosi studiosi e in collaborazione con i Musei Civici di Padova, resterà allestita fino al 19 marzo 2023. Duecento opere da Carlo Carrà a James Turrell, passando per Sironi, Martini, Fontana, Matisse, Klein, Rothko, la ricerca della grande lezione giottesca: la rivelazione del trascendente, la capacità di dare forma all’invisibile.

Questa nuova esposizione, basata su confronti e parallelismi, è una realtà consolidata del museo di Rovereto infatti, già nel 2013, propose un’indimenticabile mostra su Antonello da Messina (a cura di Ferdinando Bologna e Federico De Melis) dove, le opere del maestro quattrocentesco vennero messe a confronto con la ritrattistica contemporanea raccolta in un progetto curato da Jean-Luc Nancy, il filosofo francese scomparso lo scorso anno.
L’indirizzo della presidenza Sgarbi ha rinnovato tale intuizione e il palinsesto attraversa i secoli, i maestri classici e moderni dialogano tra loro così, negli ultimi anni si sono susseguite: Caravaggio. Il contemporaneo, nel 2020; Picasso, de Chirico, Dalí. Dialogo con Raffaello e Botticelli. Il suo tempo. E il nostro tempo nel 2021, Canova tra innocenza e peccato la scorsa primavera.

Adesso tocca a Giotto e il Novecento dedica all’insegnamento del maestro che rivoluzionò la pittura medievale e che, secondo gli storici dell’arte, inaugurò l’era moderna. Il percorso che ha condotto all’evento espositivo, in anni recenti, ha contemplato studi rilevanti a partire dal catalogo della mostra – curata nel 2009 da Stefan Weppelmann e Gerhard Wolf – dedicata al confronto fra Rothko e Giotto, al Kunsthistorisches Institut Max Planck di Firenze e il saggio pubblicato nel 2012 da Alessandro Del Puppo su Giotto, Rimbaud, Paolo Uccello in relazione a Carrà.

La Collezione del Mart di Rovereto annovera decine di capolavori inequivocabilmente influenzati dall’attività di Giotto pertanto, la mostra si apre con un’immersiva installazione che riproduce la Cappella degli Scrovegni di Padova. Una sofisticata videoproiezione, costruita partendo dalle immagini ad altissima risoluzione realizzate dall’Università patavina, catapulta virtualmente all’interno del famosissimo ciclo di affreschi del Quattordicesimo secolo e Patrimonio Mondiale Unesco.

Al riguardo, la Curatrice, annota come si sia voluto restituire “la suggestione di un’esperienza fondamentale per molti artisti, ovvero la visione del ciclo di affreschi. […] Varcata questa soglia si dischiude al visitatore un percorso che da Carrà giunge, attraverso il Novecento italiano, alle esperienze di Matisse, Rothko, Albers, Klein, per avviarsi verso la fine della mostra con l’installazione di James Turrell, Thyco Blue, un altro portale esperienziale, che conclude il viaggio, durato più di un secolo, attraverso le suggestioni giottesche”.
Seguendo un ordine cronologico e tematico, l’esposizione (accompagnata dal catalogo Sagep Edizioni contenente numerosissimi saggi) procede tra opere di autori del Ventesimo e Ventunesimo secolo accomunati dalla passione per la figura di Giotto, studiato, imitato, o preso a modello di perfezione e spiritualità.

Suddivisa in sette sezioni, la mostra prosegue tra Atmosfere rurali e Sacre Maternità nelle quali i soggetti bucolici e le figure femminili esprimono quel richiamo e quell’idealizzazione della tradizione tipica del periodo tra le due grandi guerre.
Il mito di Giotto non tramonta nel secondo dopoguerra, anzi influenza tanto i linguaggi figurativi, quanto il nuovo astrattismo.
Nelle ultime sale, l’arte più recente non è meno debitrice alla lezione medievale di quanto lo sia quella del primo Novecento. Tanto gli europei Henri Matisse, Yves Klein e Josef Albers quanto gli statunitensi (come la spazialità delle campiture sfumate Mark Rothko) riconoscono l’ispiratore assoluto e, in particolare, a influenzare alcuni tra gli artisti più conosciuti è stato il suo celebre blu e l’equilibrio dei suoi cieli.

Un colore che non è più mera tinta sull’opera, ma diventa spazio ultraterreno sul quale si affacciano le tele bucate di Lucio Fontana. Lo stratificarsi di elementi iconografici insito nello studio della storia dell’arte riconosce nell’opera di Giotto una modernità astratta, una tensione spirituale e trascendentale.
A testimoniare la fortuna di Giotto nell’immaginario collettivo, in mostra anche una selezione di storici materiali del marchio italiano Fila che a Giotto dedicò, tra gli anni Trenta e Sessanta, diverse linee di prodotti: album da disegno, pastelli e pennarelli sulle cui confezioni campeggia l’iconica vignetta raffigurante il giovane genio al cospetto del maestro Cimabue.

La scelta come immagine guida della mostra è caduta su Le figlie di Loth, di Carlo Carrà. Tale capolavoro è anche l’opera-simbolo delle collezioni museali e, nel 2019, in occasione del suo centenario, è stata riprodotta a rilievo per consentirne la fruizione anche alle persone cieche o ipovedenti.
Infine, un ampio programma di attività didattiche è organizzato dall’Area educazione e mediazione culturale.

Dettagli

Riferimenti e contesto storico artistico

estratto dal testo in catalogo Arte come rivelazione: da Giotto a Rothko, di Alessandra Tiddia
(courtesy Mart di Rovereto)

La fortuna critica e visiva di Giotto, proseguita dal Trecento fino a noi, ha avuto un momento eclatante nell’Ottocento quando l’attenzione verso questo artista aveva assunto una valenza quasi mitica, complice l’enfasi posta su alcuni episodi della vita di Giotto, come quello celeberrimo dell’incontro fra Giotto e Cimabue, divenuto un soggetto caro alla pittura di storia in Accademia e un esempio di narrazione romantica.
Fu il clima antiaccademico delle avanguardie artistiche a favorire l’allontanamento dall’aneddotica esemplare della vicenda giottesca, e a far volgere l’attenzione degli artisti del nuovo secolo sulle modalità lessicali, formali, alla ricerca di una nuova espressività, di una nuova lingua.
In un clima ancora futurista e avanguardista, nel 1916, Carlo Carrà pubblica sulle pagine della rivista “La Voce” un testo inatteso, la Parlata su Giotto, aprendo la sua ricerca allo studio di questo artista, che poi riprenderà nella monografia del 1924, edita dalla rivista “Valori Plastici”. La pittura di “quel massiccio visionario trecentista” è dunque nuovamente rivelazione per Carlo Carrà.
Nella sua arte la sintesi fra plasticismo e colore, così attuale e vicina alla sensibilità contemporanea, assume una valenza mistica, universale, perenne, che attrae molti artisti del Novecento, specie quelli usciti dall’esperienza dell’avanguardia futurista, come lo stesso Carrà, ma anche Gino Severini o Fortunato Depero, che conserva fra le sue carte d’archivio una foto Alinari con la raffigurazione del Giudizio Universale agli Scrovegni di Padova. Ma anche per Mario Sironi e Arturo Martini che elaborano, a livello rispettivamente pittorico e plastico, un linguaggio espressivo che rimedita le figure e le atmosfere giottesche, mentre Casorati le studia attentamente anche dal punto di vista cromatico, come rivelano i suoi appunti sulle cartoline degli Scrovegni conservate nell’Archivio Casorati e de Chirico è affascinato dalla concezione dello spazio nelle raffigurazione giottesche, anche di quel vuoto, oggi possiamo dire pre-metafisico, che costruisce e contribuisce alla narrazione pittorica degli affreschi giotteschi.
Oltre Oceano, ritroviamo Giotto fra le passioni di uno dei massimi esponenti dell’Astrazione come Rothko, come anche nell’ammirazione coltivata dal maestro del Realismo americano, ovvero Edward Hopper, per il quale “l’arte che racchiude una verità fondamentale è sempre moderna. Per questo Giotto è moderno come Cézanne”. Per Hopper tutta l’arte, anche quella del passato, è “sempre moderna” perché ha qualcosa da dire a chi vive nel presente, è contemporanea all’esperienza dell’osservatore non perché accade ora ma perché racchiude la verità.
Il fascino esercitato da Giotto fu fondamentale anche per un altro dei protagonisti della contemporaneità, inventore di quel blu che prende il suo nome proprio a partire dalla rivelazione avvenuta al cospetto di alcuni pannelli monocromi nell’abside di sinistra della Basilica inferiore di San Francesco di Assisi, ovvero quella dedicata a San Giovanni Battista: Yves Klein ne fu molto impressionato al punto da avviare la sua ricerca esistenziale e artistica nella direzione della monocromia blu.

Didascalie immagini

courtesy Mart

  1. la sala espositiva dove è video-ricostruito il ciclo degli affreschi di Giotto della Cappella degli Scrovegni di Padova
  2. uno scatto dell’esposizione con in primo piano la parte posteriore de La moglie del poeta di Arturo Martini
  3. Arturo Martini
    La moglie del poeta, 1922
    Mart, Collezione privata
  4. uno scatto nella sala espositiva alla parete Condottiero a cavallo, 1934-1935 di Mario Sironi
  5. Henri Matisse
    Icaro. Tavola dall’album Jazz, Tériade, Paris, 1947
    Biblioteca della Fondazione Cariparma – Donazione Corrado Mingardi, Busseto
  6. Mark Rothko
    Senza titolo (Rosso), 1968
    Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof, 2012
  7. Carlo Carrà
    Le figlie di Loth, 1919
    Mart, Collezione VAF-Stiftung

 

Dove e quando

Evento:

Indirizzo: Mart - Museo di arte moderna e contemporanea - Corso Bettini, 43 - Rovereto
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Fino al: 19 Marzo, 2023