Lo scorso primo agosto avevamo segnalato l’apertura a Palazzo Reale di Milano del progetto espositivo “El Greco” (in corso fino all’11 febbraio 2024) comprendente ben quarantuno opere del maestro cretese. Se le aspettative erano elevate, l’imperdibile mostra pone l’asticella ancora più in alto per la capacità di essere godibile, sia al visitarore ancora ignaro di quella straordinaria unicità pittorica, sia per chi brama di rileggerla alla luce delle ultime ricerche.

Dopo secoli di oblio, sul finire del Diciannovesimo secolo, venne riscoperto l’artista rinascimentale, visionario quanto eclettico, con un personalissimo stile senza tempo e popolato di volti madreperla. L’alchimia di colori brillanti, figure allungate capaci di catturare l’osservatore per quelle composizioni di santi o figure divine con splendide mani, piedi nudi, panneggi increspati dal vento o enormi mantelli avvolgono corpi nudi dall’espressione perplessa.

La mostra si compone di cinque momenti fondamentali, pensati come aree tematiche e, tali sezioni, sono state articolate per determinare nettamente il rapporto dell’artista con i luoghi in cui visse e, in qualsiai momento, supportare con la puntuale ricostruzione storico-biografica. Parallelamente è fruibile il confronto con opere della grande pittura romana e veneziana così da focalizzare sull’influenza che i grandi artisti italiani, tra cui Michelangelo, Parmigianino, Correggio, Tiziano, Tintoretto, i Bassano – scelti a modello e dei quali El Greco non abbandonò mai gli insegnamenti – ebbero nella sua pratica artistica e in particolare nella sua versione del Manierismo.

Riprendendo il mito di Arianna, il labirinto funge da metafora per approfondire l’evoluzione artistica, tematica e tecnica sviluppata partendo dal suo viaggio vitale attraverso le città del Mediterraneo.
L’esposizione affronta anche il tema del cambio di scala rispetto a ciò che El Greco dipinge in terra italiana, per lo più opere di piccolo formato come il Trittico di Modena o l’Adorazione dei Magi del Museo Lázaro Galdiano di Madrid. Un cambio di scala sorprendente, come la versione di El Expolio della Chiesa di Santa Leocadia di Toledo o Il battesimo di Cristo della Fondazione Ducal de Medinaceli.

Infine, il ritorno alla concezione frontale e diretta propria delle icone bizantine, con la quale El Greco ha costruito una impostazione religiosa sconosciuta e impressionante, come le versioni dell’Apostolato o della Veronica col Volto Santo.
Un pittore sorprendente prima bizantino, poi veneziano, infine spagnolo però sempre un grande pittore universale, un grande pittore contemporaneo. Vittorio Sgarbi, nell’introduzione del catalogo edito da Skira, tra l’altro, scrive di guardare con «una sconfinata ammirazione El Greco perché è effettivamente più contemporaneo di tanti artisti contemporanei. E perché è diventato quello che è diventato in opposizione a Michelangelo e alla grande pittura romana.

A Roma veniva chiamato “uno stupido straniero”; e lui rispondeva: “un brav’uomo Michelangelo ma non sapeva dipingere”. È vero, Michelangelo non era un pittore, era uno scultore. La pittura di Michelangelo è appesantita dalla scultura e non è tale da comunicare vibranti emozioni come la pittura di Tiziano, di Bassano, di Tintoretto, morti quando ormai anche El Greco si era allontanato dall’Italia. Era stato a Venezia tra il 1567 e il 1570, nel momento più cruciale. Qualche anno prima vi si era recato Vasari portando la forza di Michelangelo a un Tiziano capace di piegarla alla sua devozione assoluta per il colore vivente. Tiziano muore nel 1576, Paolo Veronese nel 1588, Bassano nel 1592 e Tintoretto nel 1594. Sono i suoi veri coetanei e veri maestri».

Il Sottosegretario di Stato alla Cultura, prosegue: «La linfa della grande pittura veneziana di Tintoretto, di Bassano e anche di Tiziano è essenziale per capire El Greco. Per questo avrei immaginato la sede naturale della mostra a Venezia. Da bambino visitai una esposizione sul manierismo dove era coinvolto anche El Greco. E sono convinto che sia El Greco sia Velázquez siano più grandi di tutti i grandi artisti italiani; purtroppo per me che sono nazionalista. Quando guardo Velázquez vedo un pittore assoluto in cui è concentrata tutta l’arte da Giotto a Bacon; c’è tutto dentro Velázquez. In El Greco c’è una capacità unica di superare la barriera del tempo, qualunque artista è nelle sue tele, anche Pontormo, anche Parmigianino, anche i manieristi che lui ha sentito come nessun altro.

El Greco vive come se il tempo non gli fosse addosso, come se non gli fosse addosso il suo principale nemico, Filippo II, mentre tentava di essere il pittore dell’Escorial senza riuscirci. Per questo, contro Filippo II ha realizzato il meraviglioso dipinto la Sepoltura del conte di Orgaz, un dipinto assoluto, al cui confronto sparisce anche Picasso. Questa contemporaneità impressionante, di taglio, di forma, di invenzione, di El Greco è sorella della capacità di una pittura, quella di Velázquez, di essere già Manet, di essere già Monet, di essere già Bacon. Guarda un dipinto di Velázquez, guarda il Marte a riposo e vedi Bacon. È sorprendente come due spagnoli siano riusciti a sottrarsi al loro tempo ed El Greco ancora di più, sul piano iconografico, trasformando il mondo bizantino da cui parte, un mondo visionario, senza tempo.

Ecco, forse la mancanza di tempo del mondo bizantino è la chiave per capire che El Greco è sempre stato senza tempo. Quando guardiamo un suo dipinto – io ho visto la grande mostra di Parigi che ha preceduto questa di Milano, una mostra molto ambiziosa – senza conoscere la storia dell’arte, intesa come percorso storico, ci sembra un artista che ha dipinto ieri con la sua capacità di far prevalere il colore, le masse. C’è qualcosa di impressionante. Fuori della storia».