Viaggio a Torino per un’impedibile mostra alla Venaria Reale che, in un’inedita combinazione tra arte e società, illustra il “mito” della motocicletta, ma, ancora di più, uno stato dell’animo umano: la moto come metafora del viaggio, della libertà, della trasgressione e della ricerca di sé. Un tema poliedrico quanto di attualità per un vastissimo pubblico, non solo quello attratto da arte, architettura e storia, ma anche quello alla ricerca de simbiosi tra cultura e società.
A distanza di vent’anni da “The Art of Motorcycle“, la grande mostra del Guggenheim Museum di New York – che segnò un record assoluto di visitatori – Arthemisia e Consorzio delle Residenze Reali Sabaude hanno realizzato la mostra “Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte” curata da Luca Beatrice, Arnaldo Colasanti, Stefano Fassonee ospitata alla Reggia di Venaria negli spazi della Citroniera delle Scuderie Juvarriane fino al 24 febbraio 2019.
Nata presumibilmente nel 1885, conquistando il mercato dopo la Seconda guerra mondiale, l’estetica della motocicletta arriva ai giorni nostri tra stile, velocità e prestazioni attraversando gli universi di letteratura, cinema, arti visive e fotografia.
Accanto ad alcuni dei più celebri e celebrati modelli di motociclette, sono esposte opere d’arte, fotografie d’autore, spezzoni di film, che ricostruiscono l’immaginario della moto che fa sognare.
Forme ardite, la melodia del motore, i colori sgargianti dei serbatoi rappresentano la libertà,la fuga dal mondo, una corsa oltre l’infinito. Come ogni autentica creazione d’arte, rivelano l’ispirazione di chi le ha disegnate e trasformano la concezione di agilità e movimento.
In un secolo e mezzo di storia alcune marche e modelli sono divenuti icone: dalle case italiane Ducati e Moto Guzzi, passando per il genio britannico e l’efficacia giapponese, il mito a stelle e strisce delle Harley-Davidson, un viaggio intorno al mondo per scoprire le storie che hanno reso grande “un sistema di concetti realizzato in acciaio”.
Easy Rider racconta gli episodi di una storia straordinaria diventata leggenda: tra stile, velocità, prestazioni; la motocicletta ha alimentato il mito del viaggio, della conquista della libertà, della solitudine nel paesaggio dal quale niente separa mentre lo si attraversa sfrecciando su due ruote.
L’esposizione dedicata a quel mondo straordinario è suddivisa in nove sezioni (ognuna dettagliata nella colonna di destra) e presenta modelli di motociclette che evocano film leggendari, come il chopper di Easy Rider, la Triumph Bonneville che Steve Mc Queen guidava ne La Grande Fuga oppure i gioelli da gran premio, la MV Agusta di Giacomo Agostini, la Yamaha di Valentino Rossi e la Ducati di Casey Stoner.
Altri veicoli sono la sintesi di viaggio e avventura come la Vespa di Bettinelli che ha percorso ventiquattromila chilometri la Roma a Saigon oppure le special che hanno attraversato il deserto di sabbia della Parigi-Dakar e ancora enduro, trial, nastri d’asfalto.
Oltre cinquanta modelli di moto dialogano con opere d’arte contemporanea, tra riferimenti espliciti e suggestioni indirette: Antonio Ligabue con l’Autoritratto sulla moto (1953), Mario Merz con Accelerazione=sogno (storica installazione esposta in diversi musei a partire dal 1972), Pino Pascali con 9mq di pozzanghere realizzati nel 1967 (un anno prima della morte).
Alighiero Boetti, Rosso Guzzi e Rosso Gilera (1971), la grande scultura Vejo di Giuliano Vangi (2010), le fotografie inedite di Gianni Piacentino High Speed Memories (1971-1976) che testimoniano la sua attività nelle corse in sidecare, la scultura Self Portrait Race (1991-1993) e i dipinti di Paul Simonon, ex bassista dei Clash, appassionato collezionista di moto, fotografie, stille e locandine di cinema.
Accompagna l’evento espositivo il catalogo edito da Arthemisia Books con testi dei curatori, i contributi di Alessandra Castellani, Franco Daudo, Pietro Grossi, Giorgio Sarti, Ted Simon, le interviste di Tim Marlowa e Paul Simonone, quelle di Moreno Pisto ai campioni Valentino Rossi e Giacomo Agostini.
Didascalie immagini
- Andy Rementer – Biker, 2015 Olio su tela, 122×76 cm – Courtesy Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano
- Ida Tursic & Wilfried Mille – La Motocycliste, 2001 Olio su tela, 150×150 cm – Collezione privata, Parigi Courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
- Una sala della mostra – courtesy Arhemisia
- Luigi Rocca – Travel, live in USA, 2017 Acrilico su tela, 90×130 cm – Collezione dell’artista © Luigi Rocca by SIAE 2018
- Frank Herholdt – Couple sitting on stationary motorbike – Collezione The Image Bank Getty Images
- Reg Lancaster – Francoise Hardy – Collezione Hulton Archive Getty Images
- Un particolare in una sala della mostra – courtesy Arhemisia
- Simonkr Motorbike – riding – Getty Images
- Antonio Ligabue – Autoritratto sulla moto, 1953 Olio su faesite, 39×57 cm – Collezione privata, Parma
- Giuliano Vangi – Veio, 2010 Scultura in bronzo, 182x145x1130 cm – Studio Copernico, Milano © Giovanni Ricci Novara, Parigi
- Una sala della mostra – courtesy Arhemisia
IN COPERTINA
Sky Noir Photography by Bill Dickinson – Route 66 – Riders Getty Images
[particolare]
SEZIONI MOSTRA (courtesy Arthemisia)
- Prima sezione – Stile forma e design italiano
L’ingegno è un fatto italiano: così lo stile, la funzionalità, l’eleganza. Ma l’ingegno è anche l’esaltante ricerca della bellezza, la grande tradizionedella nostra industria della velocità. La moto è il desiderio di libertà per generazioni e generazioni di italiani. Dopo la Seconda guerra mondiale, il design esplode e impone, nei modelli di moto, i caratteri guida della creatività italiana: snellezza, proporzione, intelligenza meccanica.Un risultato che vive nell’arte, in particolare nell’Arte Povera, a partire dal 1967. Non conta la “povertà” dei materiali, ma la loro capacità di essere azione, racconto, ambiente. Per Alighiero Boetti il colore è l’ordine dell’immagine. Nell’Accelerazionedi Mario Merz una motocicletta è lanciata verso l’infinito, mentre il neon rende vero il sogno, così come è sempre, vera, nella F4 Serio Oro dell’Agusta del 1998o nella grazia della Piuma Gilera del 1951, la visione del movimento. Pino Pascali è “motociclista d’arte”: le sue pozzanghere sull’asfalto restano salti nel vuoto. Giochi ribelli della giovinezza. - Seconda sezione – Il Giappone e la tecnologia
Honda, Suzuki, Yamaha, Kawasaki: è la costellazione favolosa dell’industria motociclistica giapponese a partire dagli anni Settanta. Un equilibrio perfetto di tecnica e qualità dei telai, un’esatta connessione di leggerezza, modularità e forza dei materiali, l’eleganza e l’aggressività persino stravagante, se non infantile, di motociclette perfettamente affidabili. La potenza e il sogno del Sol Levante conquistano velocemente il mercato internazionale. La motocicletta non è soltanto un mezzo di trasporto, mira a essere sport, divertimento, giovinezza, bellezza e arte naturale. La nuova moto giapponese è dunque l’immagine vivace e fantasticamente conceptualdelle avanguardie giapponesi del dopoguerra: appare una realtà fluxus, diventa un manga improvvisamente concretizzato nella realtà che sfolgora per gli street crossingdi Tokyo. - Terza sezione – Mal d’Africa
Quando Thierry Sabine, durante la corsa Abidjan-Nizza, rischiò di perdersi nel deserto, volle esorcizzare l’incubo immaginando una nuova “scuola di vita”, un rally che si svolgesse lungo il percorso al contrario: era il 1979 e nacque così la Parigi-Dakar. Non esistono film né libri che abbiano saputo raccontare meglio la terribile attrazione del deserto e del mal d’Africa come la furia di automobili, camion e motociclette. Tempeste di polvere, piste di rocce e sassi, il gran caldo, la solitudine del pilota, le insidie naturali, la fatica e la morte. Ma anche la leggenda. Leggendarie motociclette che corrono dall’alba alla notte lungo migliaia di chilometri: Yamaha, BMW, KTM, e ancora Cagiva, Gilera, Honda. Il viaggio verso il mare del Senegal resta una delle imprese epiche della cultura di fine Novecento. Un’avventura che stringe la tecnologia alla durezza della natura, l’olio dei motori alla sabbia, come nel Miraggiodi Mario Schifano. Un sogno di esplorazione che dà la chiave di un’esistenza sempre tutta da costruire, come nell’installazione di Medhat Shafik e nel quadro di Chéri Samba. LaParigi-Dakar ha rappresentato il superamento della paura. - Quarta sezione – La velocità
Nonostante il pensiero vada a Pino Pascali, che corre sfolgorante nell’arte italiana del dopoguerra come la motocicletta, suo grande amore, su cui morirà, trentatreenne, nel 1968, la chiave per svelare ciò che davvero si nasconde nel mito di nomi astrali – quali l’MV Agusta di Giacomo Agostini, la Yamaha di Valentino Rossi, la Ducati di Casey Stoner – corre verso l’opera di Gianni Piacentino. La moto (una Indian degli anni Trenta) è centrale nella biografia dell’artista torinese. «Mi piaceva seguire i lavori», racconta, a proposito del restauro della motocicletta «e vedere i colori, così mi venne in mente di immettere anche i miei interessi e la mia passione nella mia arte – tra gioco e mania, attenzione e attrazione per l’estetica industriale e per il design –che includeva anche l’idea di possedere e guidare una motocicletta. Cominciai a fare modellini segando parti di macchinine.» Negli anni Settanta Piacentino gareggia sul sidecar della Suzuki 750 guidata da Franco Martinel, all’International Sidecar Championship Race. La moto è l’ostinato rigore dei pensieri in fuga. - Quinta sezione – Sì, viaggiare
Se dovessimo cercare le parole che caratterizzano la società democratica uscita dal dopoguerra eviteremmo, perché limitati, termini come diritti, uguaglianza, solidarietà. Il carattere essenziale delle generazioni della seconda parte del Novecento è la libertà di circolazione e di movimento, l’utopia realizzata del viaggiare ovunque. Nulla come il viaggio su due ruote – sia in Vespa sia in BMW GS 100, sia in Harley-Davidson o su Honda Gold Wing – rappresenta il segno della liberazione individuale e sociale per intere generazioni. Il viaggio è la modernità e la circolazione senza costrizioni, il mantra o la ballata più bella di ognuno. Persino l’arte, apparentemente drammatica di Emilio Isgrò, le sue “cartine geografiche” con le cancellature di zone o di didascalie, svela il trionfo della forza del viaggio. Isgrò crede che l’arte bonifichi il linguaggio della gente per renderlo ancora un’avventura, appunto un’occasione di intelligenza e di scoperta. La motocicletta è stata la gloria di un viaggio fatto con se stessi, mentre in faccia sbatte forte la libertà di essere e di vivere. - Sesta sezione – London Calling
Seppur vittoriosa nel secondo conflitto mondiale, la Gran Bretagna vede terminare con gli anni Cinquanta, la propria prosperità economica e il mondo dell’industria, in particolare quella motociclistica, ne risente. Negli anni Sessanta, quelli dei Beatles, dei Rolling Stones e degli Who, si fa largo la voglia di automobili, lasciando le moto a una nicchia di appassionati. Di lì a poco crolleranno i due grandi gruppi BSA e Matchless. Non resta che ammirare le loro creazioni,come la BSA Gold Star, le Triumph Bonneville e Trident, la Norton Commando e la Matchless G80, frutto del genio britannico che si è perso per le strade di Londra. L’arte stessa le celebra, clamorosamente, con Paul Simonon, bassista dei leggendari Clash, che dedica un’intera mostra di pittura a quello straordinario mondo vintage. Caschi, guanti, una mitica Black Bonneville: l’arte della moto come arte della bellezza, reinventata in un sogno di mai perduta adolescenza. - Settima sezione – Il mito americano
Quando, nel 1974, uscì Lo Zen e l’arte della manutenzione della motociclettal’America tornò pienamente beat. Robert M. Pirsig parlava della qualità e della felicità dell’esistenza: il viaggio a cavalcioni di una moto, era l’on the roaddell’anima, la voracità, la sete, la ricerca del senso di ogni cosa, la certezza che solo lungo «i fianchi della montagna e non sulla cima si sviluppi la vita». Pirsig guidò solo una BMW ma tutti i motociclisti lo amarono. Le Harley-Davidson Electra Glide del 1972o la Panheaddel 1948e la 883 del 1965 sono i mostri d’acciaio che tagliano e uniscono per sempre la giovinezza di un padre e di un figlio. Occorrono dunque ironia, passione, sorpresa, coraggio, persino un’inguaribile impertinenza per poter viaggiare dentro se stessi. Il mito americano riecheggia nel Lovedi Robert Indiana, simbolo dei favolosi anni Sessanta, nelle strade vuote e nei desolati gas station di Glen Rubsamen, nella bellezza irriverente della motociclista di Ida Tursic & Wilfried Mille e nel divertente popsurrealismo di Andy Rementer. - Ottava sezione – Terra, Fango, Libertà
Gli happening dell’americano Aaron Young sono forme di graffitismo supercontemporaneo, pittura materiale, incisione del metallo. Ma è il mezzo che usa a sorprendere. Non un pennello, una punta, né la fiamma ossidrica, bensì una Honda che frena, sgomma e che nel delirio di polvere e di materiale incandescente lascia inciso il proprio misterioso ritratto del mondo. Per l’immaginario dei motociclisti, il cross, il trial e l’enduro sono soprattutto questo: la maniera di ritrovarsi nella sopportazione tra la polvere e il fango, sapendo opporre solo il coraggio del pilota e la bellezza dei panorami. E tali restano le leggende delle più specialistiche Husqvarna, Montesa Cota e Puch, o delle sinuose Ducati Scrambler e Guzzi Mirimin, ideali per apprezzare le strade bianche, non asfaltate. Il “fuori strada”è la sperimentazione di una libertà altra e diversa. Un istinto selvaggio e nomade. Un “fuori”, tuttavia, che non è solo deragliamento e perdita del limite ma desiderio di rinnovare, di espandere, di rendere globale l’esperienza della vita.
Nona sezione – La moto e il cinema
Più dei titoli sono le moto il vero segno di riconoscimento di alcuni capolavori del cinema. La Brough Superior SS 100 è la solitudine sovrana del Lawrence d’Arabia,il segno più segreto del suo carisma. La Triumph Bonneville di Steve McQueen salta il ferro spinato e corre via ne La grande fugaoppure rende incomparabile, ne Il selvaggio,il dio di un altro sconosciuto universo, Marlon Brando. Così la Ossa Enduro porta in giro la simpatia di Terence Hill e Bud Spencerin…altrimenti ci arrabbiamo!, mentre la leggendaria Harley-Davidson Hydra Glide Chopper del 1949 si fa mito di tutti i miti on the road, la visione americana di Easy Rider. La motocicletta è attorialità, è arte, è comunicazione. È in sé un primo piano o magari un paesaggio: a volte è la vera coprotagonista di una storia tragica ed epica. Perché la moto, con la sua forza iconica e simbolica, con la sua perfetta bellezza di forma, di segno e di eleganza, è innanzi tutto una scommessa sulla vita.
Dove e quando
- Fino al: – 24 February, 2019