Alla Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro prosegue, fino al prossimo 1° aprile, un’esposizione volta a raccontare il primo secolo dell’età contemporanea che a Venezia apre, idealmente, con la caduta della Serenissima e prosegue in tutto il Paese con la Restaurazione, passando per i moti del ‘48, il Risorgimento, l’Unità d’Italia.
Un secolo di grande storia e di grande pittura, di profonde trasformazioni sociali, politiche, economiche. Un secolo popolato da liberali e da patrioti, rivoluzionari e reazionari, nobili e borghesi, intellettuali e artisti romantici, neoclassici, realisti, veristi, fino alla soglia delle Avanguardie, che ha visto la nascita delle Pinacoteche, dei musei civici, de La Biennale di Venezia. Un secolo da riscoprire nei volti e nelle opere dei suoi protagonisti con “Il ritratto veneziano dell’Ottocento” curata da Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo.
Un progetto che rimanda in modo limpido all’intuizione della grande mostra organizzata da Nino (all’anagrafe Eugenio, 1884-1952) Barbantini, dal 1907 direttore della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro.
Infatti, il 24 luglio 1923 ottenne all’unanimità – attraverso un’adunanza convocata da colui che da sindaco era diventato in quell’anno commissario straordinario della Città di Venezia, Davide Giordano (1864-1954) – che la mostra avesse luogo nelle sale del secondo piano di Ca’ Pesaro, che sarebbe stata inaugurata all’inizio di settembre (fu sabato 8) e avrebbe avuto la durata due mesi. L’identificazione e la concessione da parte di enti pubblici e di molti privati di duecento e quarantuno opere di cinquanta autori, il loro trasporto da diverse sedi avvenne in soli quaranta giorni, non senza inevitabili problemi, in gran parte testimoniati dalla corrispondenza intercorsa tra il curatore stesso, l’amministrazione comunale, e i prestatori.
Il catalogo annoverava pittori, scultori, miniaturisti, tutti operanti dall’inizio fino al penultimo decennio del secolo, che per lo studioso si apre con Teodoro Matteini, Lattanzio Querena, Lodovico Lipparini, Hayez e si chiude con Giacomo Favretto. L’elenco degli autori in ordine alfabetico, oltre a scarne notizie biografiche, riporta i nomi dei proprietari di allora. Da queste informazioni ha preso avvio un tenace lavoro di ricerca e di identificazione.
L’excursus tra autori celebri scoperti e riscoperti, artisti che a Venezia avevano vissuto, si erano formati, lasciando testimonianze preziose della società, dello spirito dell’epoca, dei suoi protagonisti e dei suoi grandi stravolgimenti: un patrimonio di immagini di famiglie, di intellettuali, di artisti, di patrioti, di donne – alcune, artiste a loro volta – persone che hanno animato il territorio da Venezia, luogo privilegiato d’incontro, fino a Padova, Vicenza, Bassano del Grappa, Pordenone, Trieste, Trento, Treviso, Belluno. Volti eterni del secolo più lungo della modernità e, non ultimo, primo esempio – confermato ai nostri giorni – della grandezza artistica di un secolo dimenticato, a favore della mitizzazione di quello precedente. Per dirla con le parole dello stesso Barbantini: per portare un poco di luce su un periodo della storia artistica della nostra città ingiustamente oscuro.
Dopo un prezioso e lungo lavoro di ricerca – condotto dai curatori per ricostruire l’allestimento e il catalogo della storica esposizione attraverso un enorme sforzo critico – in due anni sono stati rintracciate ben centossessantasei opere della mostra originale, ora conservate in Musei e collezioni su tutto il territorio nazionale. Accanto, i capolavori rimasti a Venezia, provenienti dalle collezioni di Ca’ Pesaro, del Museo Correr e dalle Gallerie dell’Accademia, insieme a numerose raccolte private, una ricostruzione che ha permesso di sviluppare importanti nuovi contributi rispetto al progetto di Barbantini, tra cui riattribuzioni – con undici nuovi autori riconosciuti – e aggiornate schede scientifiche – 279 per sessanta artisti – grazie a una rete di studiosi, conservatori e ricercatori di tutto il territorio.
La curatrice, tiene a sottolineare: “Nella mostra di oggi non abbiamo riproposto l’allestimento creato nel 1923, tuttavia abbiamo cercato di riproporre una cronologia e una periodizzazione che rendesse giustizia della mostra originale, pur ricalibrata dopo un secolo di studi sull’arte dell’Ottocento. Ciononostante ci auguriamo che la rassegna odierna risuoni del genio di chi per primo prese in mano Ca’ Pesaro, ne configurò vocazioni e limiti, ne espresse le potenzialità anche attraverso numerose e importanti rassegne monografiche, che ebbero luogo qui o che qui furono concepite. La linea aperta da Barbantini nel 1923 non fu più interrotta e si articolò in rassegne importantissime, come quella sulla pittura ferrarese del Rinascimento, sulla porcellana a Ca’ Rezzonico, sulla pittura italiana dell’Ottocento alla Biennale o le monografiche su Tiziano e Tintoretto a Ca’ Pesaro. Ma si era arrivati al 1937 e, come gli storici sanno bene, gli anni Trenta furono «tutta un’altra storia». A Barbantini era ormai vietato di scrivere di arte contemporanea, dopo che si era già dimesso dal ruolo di segretario della Bevilacqua La Masa nel 1928; escluso dalla Biennale, lasciò Ca’ Pesaro, pur continuando la sua attività critica e di ricerca.”
Nelle quattro sezioni in cui è articolata, l’esposizione ripercorre quindi la nascita di un secolo, che parte dal Congresso di Vienna (1815) per arrivare in un lungo travaglio all’unificazione del Paese; significativi approfondimenti monografici dei grandi protagonisti, seguiti da Vita e società dell’Ottocento, tra nobili e borghesi, tra città e campagna; infine il Ritratto verso la modernità in cui la materia pittorica si sgrana e si illumina, arrivando alle soglie del Novecento.
Accompagna l’evento espositivo il catalogo edito da Officina Libraria.