Pur annoverandola tra le grandi innovazioni tecniche e tecnologiche – non fosse altro per rispondere alla necessità della trasmissioni satellitari – non ho mai fatto mistero di ritenere, l’avvento della digitale, triste fine per la “magia della fotografia”. Senza scomodare la funzione gaussiana, un’immagine decente nel mucchio salta fuori e la possibilità del “ritocco” la può rendere grandiosa così, l’abitudine di scattare a raffica, ha modificato l’approccio alla fotografia e alla sublimazione di fermare il tempo. Purtroppo il risultato, a parte le doverose eccezioni, è trovarsi sommersi da “cartoline” più o meno belle e postate ovunque.
Nostalgici? Sicuramente, ma chi era abituato a preparare ogni scatto, perché il rotolino ne conteneva trentasei, attendendo con trepidazione lo sviluppo per rivivere quei momenti, può comprenderne la mancanza.
La mostra allestita a Palazzo Grassi per tutto il 2023, documenta e ci restituisce proprio quella magia percorrendo il Novecento, dagli anni Dieci fino agli albori degli anni Ottanta, con oltre quattrocento opere del Secolo breve attraverso eventi, fenomeni sociali e personalità che lo hanno segnato.
Curata da Matthieu Humery, consulente per la fotografia, Chronorama è la prima grande esposizione dedicata ai capolavori provenienti dagli archivi di Condé Nast, in parte recentemente acquisiti dalla Pinault Collection, ed evidenzia la capacità nel definire l’estetica fotografica, e artistica, attraverso la pubblicazione sulle riviste Vogue, Vanity Fair, House & Garden, Glamour, GQ.
Ordinate cronologicamente per decadi, donne, uomini, momenti storici, vita quotidiana, sogni e drammi, le opere sono mostrate estraniate dal contesto editoriale e, senza negarne l’origine, vengono proposte in un mosaico visivo formato dai ritratti di icone dello spettacolo e di grandi personalità a cui si mescolano fotografie di moda, fotoreportage, scatti di architettura, nature morte e saggi di fotografia documentaristica.
Il lavoro di oltre centottanta fotografi e artisti, dagli illustri Adolf de Meyer, Margaret Bourke-White, Edward Steichen, George Hoyningen-Huene, Horst P. Horst, Lee Miller, Diane Arbus, Irving Penn, Cecil Beaton o Helmut Newton, è unito a quello di altri sconosciuti al grande pubblico. Esplorare il rapporto con il tempo e le immagini, trasmettere testimonianze del passato, sono i principi della Pinault Collection declinati perfettamente in questo primo progetto inedito attorno agli archivi Condé Nast e ai grandissimi fotografi che lo realizzarono.
Un percorso dove si osserva il declino dell’illustrazione in favore della fotografia, la storia dell’evoluzione estetica, i cambiamenti di gusto in materia di abbigliamento o arredamento o di vere e proprie rivoluzioni artistiche. Il cubismo contagia gli abiti e il vestiario mondano del Vecchio continente, il neoclassicismo del primo dopoguerra trapela dalle silhouette femminili nuovamente fasciate da corsetti, l’art déco contamina tutte le forme, in particolare le architetture delle grandi capitali, mentre foulard variopinti e minigonne diventano espressione della liberazione sessuale di fine anni Sessanta.
Se allora le riviste rivelarono lo spirito del tempo catalizzando le estetiche del momento, da quelle più all’avanguardia a quelle semplicemente “in voga”, le opere su carta patinata incarnano una visione della storia, ovviamente soggettiva, ma è altresì oggettivo rappresentino l’élite culturale e finanziaria occidentale di quei sette decenni connotando le ambizioni dell’“uomo per bene” in un’interpretazione riveduta e corretta.
Ai passeggeri del Terzo millennio appare così la scoperta di una versione della storia attraverso gli occhi dei lettori che ammiravano le arabesque delle protagoniste dei Balletti russi, si infiltravano nella Café Society newyorkese e nei circoli intellettuali parigini degli anni ruggenti, si lasciavano trasportare dal vento della libertà nella Swinging London o sfioravano i palcoscenici dell’età d’oro di Hollywood.
Alla fine del percorso è ben avvalorato come la fotografia non sia stata un semplice processo di riproduzione del reale, ma un oggetto magico capace di catturare, esprimere e trasformare il reale. Condividendo questo immaginario collettivo la mostra, dunque, palesa la prolifica cultura fotografica del secolo scorso prima dell’avvento della digitale.
Aver recuperato tali scatti dagli archivi aggiunge un capitolo alla loro storia e consente ai millennials di conoscere il mezzo nella sua materialità, in quanto oggetto estetico, nonché strumento di narrazione e di comunicazione.
Inoltre, tale nucleo di immagini storiche, è posto in dialogo con “Chronorama Redux”, il progetto parallelo volto a proporre uno sguardo contemporaneo sulle opere attraverso i lavori di quattro artisti: Tarrah Krajnak, Erik N. Mack, Giulia Andreani e Daniel Spivakov. Infatti, come interludi che irrompono nel percorso cronologico della mostra principale, le loro opere sono state allestite in quattro spazi espositivi diversi del Palazzo per sollecitare un rinnovamento dello sguardo.