“Il disegno e il colore non sono affatto distinti. Man mano che si dipinge, si disegna.
Più il colore diventa armonioso, più il disegno si fa preciso”
(Paul Cézanne)
“So bene che è difficile far ammettere che un dipinto possa appartenere alla grandissima pittura pur rimanendo allegro. La gente che ride non viene mai presa sul serio“
(Auguste Renoir)
Il confronto diretto fra due protagonisti dell’impressionismo, profondamente diversi nel loro modo di esprimere la propria visione del mondo, è il tema della mostra Cézanne/Renoir, originale e ricca di spunti interessanti, in corso al Palazzo Reale di Milano dal 19 marzo al 30 giugno 2024. Una cinquantina di opere illustrano il percorso creativo dei due maestri, dalle prime prove negli anni Settanta dell’Ottocento – dopo aver lasciato l’atelier di Charles Gleyre, alla cui scuola si erano entrambi formati – fino agli inizi del XX secolo. L’esposizione celebra i centocinquant’anni dalla nascita dell’Impressionismo, proponendo una riflessione sull’evoluzione e le future prospettive di un movimento che rivoluzionò la pittura, e dal quale Renoir stesso prenderà più tardi le distanze: “Per quanto mi riguarda, l’impressionismo era un vicolo cieco. Se il pittore prende le mosse direttamente dalla natura, in definitiva non cerca altro che effetti momentanei“.
Le opere esposte, provenienti dal Musée d’Orsay e dal Musée de l’Orangerie di Parigi, sono articolate in sezioni tematiche dedicate ai soggetti prediletti dai due maestri: natura morta, paesaggio, ritratto e nudo. Un percorso parallelo che riflette la loro lunga amicizia, destinata a durare per tutta la vita: a partire dagli anni Ottanta Renoir fu più volte ospite di Cézanne nella sua casa in Provenza e infine nel 1907, anno della morte di Cézanne, si trasferì definitivamente a Cagnes-sur-Mer, tra gli olivi millenari della tenuta di Les Collettes.
Scrive Cécile Girardeau, curatrice della mostra: “Molti sono i punti di contatto tra le opere dei due maestri. Paesaggi, nature morte, ritratti, nudi, così come le grandi bagnanti dipinte in età matura, sono stati campi di sperimentazione comuni per i due pittori. L’osservazione del modello e della natura, unita all’aspirazione di raggiungere un’essenza senza tempo, ha permesso a entrambi di incarnare una forma di modernità classica“.
Cézanne e Renoir erano accomunati dalla stessa ricerca di un assoluto, ciascuno codificando il proprio linguaggio figurativo secondo grammatiche e sintassi del tutto nuove e soggettive. Da un lato Cézanne, per il quale in pittura la natura “deve essere elaborata partendo dal cilindro, dalla sfera, dal cono“, dall’altro Renoir sosteneva che un dipinto dovesse essere “una cosa amabile, allegra e bella“.
La “modernità classica” di entrambi parte da due concezioni opposte del rapporto tra forme e luce: per Cézanne la luce rappresenta il mezzo per evidenziare e solidificare i volumi, in coerenza con quell‘Esprit de géométrie cartesiano di cui sarà erede diretto il cubismo analitico di Georges Braque. Nelle opere di Renoir la luce immerge le forme in un pulviscolo colorato che le rende evanescenti e quasi incorporee: una levità che il pastello, tanto amato dall’artista, riesce a rendere forse ancor più della pittura ad olio.
La luce di Renoir non è più quella degli Impressionisti, che accende di iridescenze colorate l’ingannevole biancore della neve o apre abissi profondi e cangianti nell’apparente nero di un corpetto di velluto. Né le sue vibranti frantumazioni delle forme si apparentano alla scientifica pignoleria dei pointillistes, primo fra tutti Seurat. Nella generazione successiva sarà in particolare Pierre Bonnard (1867-1947) che interpreterà la lezione di Renoir, traghettandola verso il Novecento, mentre il Divisionismo italiano vestirà di vibrazioni luminose il proprio cammino verso il Simbolismo.
Le forme chiuse, calibrate e attentamente poste in dialogo tra loro, proprie della pittura di Cézanne, caratterizzano il Ritratto del figlio dell’artista, dipinto intorno al 1880: mentre le profilature nette che sottolineano i contorni richiamano la pittura di Gauguin di quegli anni, la composizione si basa su un calibrato equilibrio di volumi, in una sorta di contrappunto tra lo schienale della poltrona e la testa del giovane.
I volumi solidamente strutturati caratterizzano anche le Tre bagnanti: qui, nonostante le dimensioni ridotte (cm 19,5×22,5), Cézanne attinge a quella monumentalità che caratterizza tutte le sue opere dedicate a questo tema, sul quale tornerà ripetutamente: la corposità dei nudi di Cézanne, scolpiti dalla luce, risalta per contrasto con la tenerezza trasognata delle Bagnanti di Renoir.
Nei nudi femminili Renoir riecheggia la lezione della grande pittura rinascimentale, da Tiziano in poi: un richiamo alla classicità che appare presagire quel “ritorno all’ordine” al quale si ispirarono tanta pittura e scultura nel periodo tra le due guerre. A partire dagli anni Novanta, Renoir affronta il tema della bagnante saldando luce e forma attraverso il colore: “Guardo un nudo e ci vedo miriadi di piccole tinte. Ho bisogno di scoprire quelle che fanno vibrare la carne sulla tela“, dichiara. Nel periodo finale della sua vita, con le mani deformate dall’artrite – per poter dipingere si faceva legare il pennello alle dita – sceglie tele di grande formato per i nudi en plein air, celebrando in queste opere una natura atemporale, lontana da ogni riferimento alla quotidianità, poiché “La sofferenza passa, la bellezza resta“.
Scrive ancora Cécile Girardeau: «Questo confronto tra i due artisti considerati come due grandi pietre miliari della storia dell’arte è stato tuttavia uno degli argomenti più dibattuti dalla critica modernista del primo Novecento. Nel 1905, ad esempio, il critico Gustave Geffroy sottolineava che ‘la natura, gioiosa e tranquilla nell’opera di Renoir, diventa solenne ed eterna in Cézanne’». Diversi ma al tempo stesso complementari nelle loro ricerche, Cézanne e Renoir sono divenuti, ancora in vita, i punti di riferimento per numerosi artisti che nel corso del Novecento hanno continuato a meditarne e rielaborarne la sperimentazione.
Ad indicare quanto sia stata importante la loro lezione anche per quei maestri della generazione successiva che hanno rivoluzionato il linguaggio della figurazione, il percorso espositivo si conclude con il confronto tra due opere di Cézanne (Pommes et biscuits, 1880) e Renoir (Femme nue couchée, 1906) con due dipinti di Pablo Picasso: Grande nature morte (1917) e Grand nu à la draperie (1921-1923). E a proposito de Les Baigneuses, l’ultima grande tela dipinta da Renoir nel 1918-19, Henri Matisse commenterà: “Sono il capolavoro del pittore. I più bei nudi che siano stati dipinti; nessuno ha fatto meglio, nessuno“.