Carnet de voyage è un progetto nato dalla collaborazione tra Collezione Poscio e l’associazione Asilo Bianco, che dal 2005 si occupa di arte contemporanea e valorizzazione territoriale.
Fil rouge è il rapporto tra arte e territorio, a partire dallo stretto legame tra Carlo Fornara e la sua terra, la valle Vigezzo, la montagna, e l’idea del viaggio. Nella prospettiva di condivisione con la comunità e di rivivere e declinare il più noto linguaggio artistico della tradizione aprendosi a suggestioni contemporanee, ha preso forma l’immagine del carnet de voyage, simbolo attuale del Grand Tour ottocentesco, esperienza di contaminazione culturale, emblema tanto del viaggiatore quanto dell’artista, entrambi attenti a fermare su carta, con parole e immagini, lo stupore del mondo e in particolare della Natura. La mostra “Carlo Fornara. Alle radici del divisionismo 1890-1910” in corso a Domodossola, alla Casa De Rodis fino al 20 ottobre 2019, costituisce il primo evento del progetto.
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La mostra offre l’opportunità di scoprire, o riscoprire l’edificio nobiliare di origine medievale, esempio tra i più affascinanti dell’architettura storica ossolana. Casa De Rodis, acquisita dalla Collezione Poscio e da questa completamente restaurata, è sede di mostre che promuovono artisti e collezioni di territorio, ma di valore universale e la retrospettiva di Carlo Fornara (Prestinone, oggi frazione di Craveggia, 21 ottobre 1871 – 15 settembre 1968), si focalizza in modo diretto sui due decenni che intercorrono tra il 1890 ed il 1910, gli anni di maggiore creatività e capacità innovativa del maestro di cui ricorre il cinquantenario della scomparsa. In mostra, una importantissima selezione di tele (alcune delle quali oggetto di interventi di restauro realizzati proprio in funzione della loro esposizione in questa mostra), affiancate da una sezione riservata ai disegni.

Curata da Annie-Paule Quinsac – professor emerita della University of South Carolina dove ha insegnato storia dell’arte moderna per trent’anni – specializzata nella pittura italiana dell’Ottocento, è una delle esperte più autorevoli del Divisionismo. Il suo interesse per l’opera di Fornara, nasce e si sviluppa con la scoperta della Valle Vigezzo e della sua plurisecolare cultura formatrice di ritrattisti e decoratori a vocazione internazionale. Da più di venticinque anni trascorre tutte le estati in Vigezzo ed ha dedicato molto del suo tempo allo studio degli archivi Fornara.

La sua prima mostra sull’artista risale al 1995 (Carlo Fornara: Opere su carta, Cattaneo Editore 1995), seguita nel 1998-99 da un’antologica a Palazzo delle Albere a Trento, poi alla Permanente di Milano, (Carlo Fornara, un maestro del divisionismo, Skira Editore 1998), e infine quella del 2007 ad Acqui Terme (Carlo Fornara il Colore della Valle, Mazzotta editore 2007). Inoltre, nella sede di Casa De Rodis a Domodossola, ha curato una mostra dedicata all’influenza della tradizione accademica vigezzina sulla ritrattistica di Carlo Fornara (Carlo Fornara e il ritratto vigezzino. Prospettiva e confronti, Cattaneo Editore, 2015).

Gli anni Novanta dell’Ottocento furono per lui stagione formativa sotto la guida del maestro Carlo Cavalli, erede spirituale del marsigliese Adolphe Monticelli e, come sottolinea la Curatrice, furono “Anni anche di personale affermazione, quando, fatti propri gli impasti monticelliani, Fornara elabora un linguaggio luminista di pittura materica a spatola e pennellate a effetto smalto. “Questa “prima maniera” sarà destinata a mutare per lo sconvolgente incontro/confronto con il simbolismo di Giovanni Segantini, cui va a fare da assistente nell’agosto 1898 a Maloja in Engadina e la cui imprevedibile scomparsa all’apice della gloria – l’anno dopo, nel settembre 1899 sullo Schafberg – lo scuote nel profondo, segnando l’animo e il procedere di giovane adepto”.

Entrato in contatto con Alberto Grubicy de Dragon, titolare della Galleria Grubicy e fratello del promotore del divisionismo a livello europeo, il mercante d’arte e pittore lui stesso Vittore Grubicy de Dragon, fu molto apprezzato da entrambi e messo in contatto con Segantini, che volle il giovane artista come suo assistente, per l’Esposizione di Parigi del 1900.
Nel primo decennio del Ventesimo secolo, Fornara mostra una pittura dagli esiti europei e internazionali.

Con opere, molte delle quali proposte in mostra (Chiara pace, L’aquilone, Fontanalba, Ombre e luci), caratterizzate dalla sperimentazione divisionista, supera via via l’influenza dei temi e della visione segantiniana e giunge a un modo assolutamente originale di trasporre nelle tele l’amena bellezza della Valle Vigezzo “restituita nella duplice natura di poesia e forza insieme”.

Accompagneranno la mostra il catalogo di Silvana Editoriale e programmi didattici con le scuole, escursioni guidate nella Valle dei Pittori e nei paesaggi dipinti da Carlo Fornara, incontri di approfondimento. Contemporaneamente giovani artisti e scrittori saranno invitati a un periodo di residenza sul territorio per leggere con uno sguardo nuovo le tematiche del progetto e i luoghi di quello che è stato definito il “periodo d’oro delle Alpi” e le loro opere  saranno presentate in un evento espositivo di dialogo con il contemporaneo nel 2020 sempre a Casa De Rodis.

Didascalie immagini

  1. Carlo Fornara, Impressione in alto
  2. Carlo Fornara, Sotto Toceno
  3. Carlo Fornara, Il seminatore
  4. Carlo Fornara, La processione
  5. Carlo Fornara, Madre e sorella
  6. Carlo Fornara, Splendori d’ottobre
  7. Carlo Fornara, Festa della Primavera
     

In copertina Carlo Fornara, Le lavandaie
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Breve biograzia di Carlo Fornara 
Pur senza tradizioni alle spalle – il padre, Giuseppe Antonio di Vocogno, era ramaio e la madre, Anna Maria Nicolai, di Prestinone, contadina – entrò dodicenne alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, frequentando ininterrottamente dal 1883-84 al 1890-91, otto dei dodici anni in cui insegnò Enrico Cavalli, l’alunnato più lungo.
Non ebbe altra formazione, né altra residenza che Prestinone, nonostante la carriera internazionale, i viaggi all’estero e i cospicui guadagni.
Morì quasi centenario nella casa dove era sempre vissuto. 
Grazie alla disciplina degli appunti durante le lezioni ─ testimonianza ineccepibile della ricchezza dell’insegnamento di Cavalli ─, sin da ragazzino sviluppò una propria scrittura, un senso della dialettica artistica e un approccio tanto critico quanto intuitivo alla pittura, espresso poi nel personalissimo stile, chiaro, logico, sintetico, dei diari che tenne per tutta la lunga vita. Esordì alla Prima Triennale di Brera nel 1891, con Ricordanze e La Bottega del Calderaio. Aveva vent’anni e non era ancora uscito dalla Valle. 
Nel 1894, con Lorenzo Peretti, accompagnò Enrico Cavalli a Lione, vivendo del ‘far ritratti’, eseguendo copie nel Palais des Beaux Arts, una delle pinacoteche più ricche di provincia soprattutto sul Quattrocento e Cinquecento italiani e intanto vedendo dal vivo quella Scuola di Lione i cui paesaggisti, ex colleghi di Cavalli nell’atelier di Joseph Guichard, erano stati riferimento costante del maestro a Santa Maria. D’altronde i paesaggisti dell’ansa del Rodano, i pittori di Morestel e Cremieux vantavano una tradizione di studi “en plein air” che predata quella di Barbizon. Anche Antonio Fontanesi, nell’ultimo decennio della vita aveva rivoluzionato il paesaggio italiano grazie al contatto con Auguste Ravier e la scuola di Morestel.
L’assassinio del presidente Sadi Carnot, ucciso proprio a Lione da un anarchico italiano, costrinse i tre Vigezzini a un precipitoso ritorno, impedendo l’andata a Parigi. Prima di questo incontro diretto con i contemporanei francesi, Fornara era rimasto profondamente colpito dalla retrospettiva di Antonio Fontanesi a Torino nel 1892. Cavalli, Fontanesi e Segantini furono i tre motori della sua evoluzione. 
Il secondo soggiorno lionese, stavolta con Giambattista Ciolina, sempre a ‘far ritratti’, data dal gennaio al settembre 1896, quando i modernisti locali, in perenne contatto con la capitale, si muovevano già verso un orientamento anti-realista. A Parigi riuscì ad arrivare nell’autunno 1896, copiando dal Louvre i grandi veneziani e frequentando musei e mostre; vi tornerà spesso, ma per brevi soggiorni, solo a Lione era di casa.

Nel 1897, il rifiuto di En plein air alla Terza Triennale di Brera si rivelò fondamentale. Il dibattito con cui la decisione fu contestata dagli antiaccademici gli valse l’interessamento di Alberto Grubicy e l’ingresso nella sua Galleria. In effetti, Fornara era giunto ad una forma sui generis di divisionismo, a partire dell’insegnamento di Enrico Cavalli e di influenze francesi maturate a Lione.
L’anno dopo, anche grazie a Grubicy, fu chiamato da Segantini a Maloja per collaborare al progetto che avrebbe dovuto sostituire il Panorama dell’Engadina all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Purtroppo, improvvisamente, Segantini morì il 28 settembre 1899, e della grande idea rimase solo ─ si fa per dire ─ l’incompiuto Trittico. L’incontro con Segantini, reso forse ancor più determinante dalla repentina scomparsa, cambiò il rapporto di Fornara con l’iconografia e il modo di fare pittura… A partire dal 1899, la figura e, dunque, anche il ritratto, divennero secondari e fu il paesaggio, inteso come natura, a prendere il sopravvento. Il rapporto colore-luce-disegno, impostato alla Monticelli sull’equilibrio tra forme e cromatismo, è scavalcato dall’adozione della tecnica divisionista, a grandi filamenti di matrice segantiniana, che creano i contorni e catturano la luce ambientale. Nelle opere d’inizio Novecento appaiono decisamente segantiniani anche gli input simbolisti e allegorici, per altro più tardi rinnegati. Da Segantini oltre al ductus pittorico aveva imparato l’uso dei metalli, oro e argento in polvere o foglio spezzato in micro tasselli che attraggono la luce ambientale o traducono il carattere geologico delle rocce.
A fatica, infatti, Fornara ritroverà una personalità propria, ma sino al 1920, elaborò una traduzione monumentale e ieratica della sua Vigezzo, che però, contrariamente a quanto ribadito, non rimanda all’Engadina di quel maestro di cui si considerava l’erede spirituale. Inoltre, Alberto Grubicy gli imponeva una presenza assillante alle mostre nazionali e internazionali e lo condannava, volente o nolente, a recitare la parte di pontifex maximus del divisionismo. Tra i due, comunque, s’instaurò un profondo sodalizio, tanto che alla morte di Grubicy nel 1920, Fornara ne fu esecutore testamentario.
Ma da allora, iniziò una lenta rimessa in questione di sé stesso e dell’arte contemporanea, che lo condusse a un percorso controcorrente e solitario. Sostenuto da pochi ma fedeli collezionisti ─ Alessandro Poscio di Domodossola, Carlo Masera, Amedeo Catapano, i Tridenti Pozzi di Milano, i Bonomi di Vigevano ─, decise irrevocabilmente di non partecipare più ad alcuna mostra. Cinquantenne, a Prestinone, si chiuse imperterrito nel rifiuto di ogni istanza d’avanguardia non figurativa. Del suo, sostituì il divisionismo puro con una tecnica più sciolta e svelta, di piccole pennellate, gamma chiara e forti contrasti chiaroscurali, elaborando un’interpretazione quasi impressionista del paesaggio vigezzino, senza ulteriori implicazioni, ma specchio, per lui, della coscienza di sé.

 

Orari:
Sabato e domenica: ore 10.00-13.00 e 15-19
nel mese di agosto:
anche da martedì a venerdì ore 15-19
Bambini e ragazzi fino a 18 anni: gratuito

Dove e quando

Evento: Casa De Rodis – via Attilio Binda, 8 – Domodossola
  • Fino al: – 20 October, 2019