Ciò che è sacro nell’arte è la bellezza.
(Simone Weil)

Una visita alla Reggia di Venaria è sempre motivo di soddisfazione, doppio se in concomitanza con una bella mostra temporanea come quella ospitata nelle Sale dei Paggi fino al 26 gennaio 2020. Art Nouveau. Il trionfo della bellezza è, infatti, dedicata a quella particolarissima fioritura artistica e artigianale che travolse e mutò il gusto decorativo all’inizio del Novecento. Musica, pittura, arredamento, architettura furono invasi dai rimandi alla natura, alla donna e alle piante.

Considerata corrente internazionale, essa si fonda sulla rottura con l’eclettismo e lo storicismo ottocenteschi e rappresenta la risposta moderna a una società sempre più industrializzata. Concepita come arte totale, il Modern Style diventa “Tiffany” negli Stati Uniti, “Jugendstil” in Germania, “Sezession” in Austria, “Nieuwe Kunst” nei Paesi Bassi, “Liberty” in Italia, “Modernismo” in Spagna e s’impone rapidamente in Inghilterra, patria dei maggiori teorici del movimento, e passa sotto il nome di “Art Nouveau” in Francia. Un approccio inedito all’arte che fu presentato proprio a Torino nel 1902 con la storica “Esposizione internazionale d’Arte Decorativa Moderna”, dando il via appunto al Liberty così, dalla città sabauda, l’Art Nouveau inizia a scardinare da ogni dove regole accademiche e tradizione senza impone alcun obbligo. L’arte della libertà, che si affranca dalle convenzioni, e le forme dell’accademismo si infrangono davanti a uno stile trasgressivo che fa dell’erotismo, del naturalismo e dell’esotismo i propri punti cardinali.

Con oltre duecento opere provenienti dagli Arwas Archives, dalla Fondazione Arte Nova, dalla Collezione Rodolfo Caglia e da altri prestiti di privati, la mostra – prodotta e organizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude con Arthemisia e curata da Katy Spurrell con testi in catalogo di Victor Arwas (1937 – 2010), Katy Spurrell e Valerio Terraroli – presenta un allestimento innovativo capace di ricreare le atmosfere e il gusto dell’epoca. Viene proposta la riproduzione degli ambienti abitativi della Parigi di inizio Novecento per illustrare la vita quotidiana in un percorso che focalizza anche sulla riflessione intorno alle arti decorative di una ristretta élite di architetti, artisti e intellettuali.

Negli anni Novanta del Diciannovesimo secolo si assiste alla sostanziale sconfitta del monopolio delle Accademie di belle arti per opera dei gruppi secessionisti, ma ancora di più al diffondersi inarrestabile di un generale rinnovamento del gusto che guardava alla Natura piuttosto che alla Storia e nel catalogo (edito da Arthemisia book) Valerio Terraroli, spiega: «Nell’ambito della cultura tardo simbolista e, segnatamente, con la codificazione degli stilemi modernisti, i quali, dal punto di vista teorico, avrebbero dovuto personificare le utopiche parole d’ordine “Arte per tutti”, “Bello e Utile”, “Arte e Vita”, assumendosi così l’arduo compito di mutare la società civile, le arti decorative si avviarono verso l’affrancamento dall’essere semplicemente puro prodotto d’uso e di fattura artigianale, per accedere alla produzione seriale, se non addirittura industriale, divenendo modello e strumento dell’abitare moderno e dunque parametro del gusto e veicolo fondamentale per l’affermazione dello stile.

Che questi prodotti assumessero, nello stesso momento, anche una propria autonoma validità estetica e divenissero, giocoforza, oggetto di speculazione critica, segna in modo emblematico un passaggio epocale nella cultura storico artistica e teorico-critica europea. Non aveva più senso chiedersi se le arti decorative o, in modo più estensivo, se la decorazione tout-court fosse da interpretarsi come un’antagonista o peggio una diminutio rispetto alle arti cosiddette “belle”; poiché l’artista moderno non avrebbe abiurato alla propria funzione di espressione alta della creatività e del pensiero, se si fosse contaminato, tecnicamente e concettualmente, con ambiti propriamente decorativi. È un luogo comune che l’utilizzo degli aggettivi “decorativo” e “ornamentale” oppure i termini “ornamento” e “decorazione”, sposti l’attenzione, e quindi il valore dell’oggetto artistico, su un livello di percezione squisitamente superficiale, ripetitivo, piacevole certo, ma in un certo senso privo di quell’aura, di quel valore specifico, che individua l’opera d’arte come un unicum e, almeno concettualmente, irripetibile. In realtà, sul finire dell’Ottocento e in ambito modernista entra nell’agone del dibattito critico, insieme al tema dei caratteri e delle finalità dell’arte moderna, l’affascinante questione relativa alle relazioni e/o alle interferenze tra le soluzioni formali e le tecniche specificatamente elaborate per e nell’ambito delle arti decorative e i modelli e gli esiti di molta produzione dell’arte figurativa. Allo stesso tempo viene posto anche il problema del valore decorativo dell’opera d’arte, da un lato, e del valore concettuale e creativo dell’oggetto decorativo, dall’altro.»

Leggibile a tutti i livelli, le cinque sezioni della mostra hanno il pregio di accompagnare il visitatore non esperto alla comprensione di quelli che furono gli sconvolgimenti nel campo di tutte le arti figurative tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento e quali furono le principali fonti di ispirazione per gli artisti che ne furono gli iniziatori. Prima su tutte la nuova e radicale visione della Natura: non più un rifugio sicuro in cui gli artisti potevano scappare per dipingere la dolcezza del mondo, ma un luogo mistico, complesso e da reinterpretare all’interno di un contesto urbano in evoluzione, stilizzando forme floreali e organiche per riportare la natura nella vita moderna.

Altro grande soggetto principe, evoluzione della natura voluttuosa, è la Donna, sempre più emancipata e rappresentata su dipinti e stampe soprattutto per la pubblicità che ormai giocava un ruolo influente nel determinare il modo in cui il pubblico percepiva la figura femminile e per vendere nuovi prodotti e stili di vita ai nuovi consumatori.
Dai richiami al mondo vegetale e alla sinuosità femminile, si passa all’analisi semiotica della linea curva, lontana dagli stilemi di un tempo, nuovo simbolo della forza vitale e utilizzata nell’architettura degli esterni e degli interni, nelle metropolitane come nei caffè, negli arredi e nelle suppellettili come nei gioielli. Ogni elemento doveva essere in sintonia con l’insieme.
Proprio per questo sono previste specifiche offerte guidate per gruppi, famiglie, scuole secondarie e primarie con laboratori didattici. 

Didascalie immagini

  1. Alphonse Mucha
    Job, 1896
    Litografia a colori e doratura, 59×44,5 cm
    Gretha Arwas Collection, Londra (UK)
    © Arwas Archives
  2. Eugène Grasset
    Extravangance, 1897
    Litografia a colori, 134×47,5 cm
    Gretha Arwas Collection, Londra (UK)
    © Arwas Archives
  3. Eugène Grasset
    Méditation, 1897
    Stampa su seta, 78×43 cm
    Private collection, London
  4. Louis Welden Hawkins
    L’Automne, 1895 ca.
    Olio su tela, 72,5×53,3 cm
    Private collection, London
  5. Georges de Feure
    Affiche pour la 5ᵉ exposition du Salon des Cent, 1894
    Litografia a colori, 65×42,7 cm
    Gretha Arwas Collection, Londra (UK)
    © Arwas Archives
  6. Hector Lemaire
    Le Roche qui pleure, 1900 ca.
    Porcellana bisquit di Sèvres, 42x 33×24 cm
    Gretha Arwas Collection, Londra (UK)
    © Arwas Archives

In copertina
Alfredo Muller
Les Paons, 1903
Litografia a colori, 68,5×158 cm
Private collection, London

Dove e quando

Evento: Reggia: Sale dei Paggi – piazza della Repubblica 4 – Venaria Reale
  • Fino al: – 26 January, 2020