C’è tempo fino al 2 Novembre per visitare la bella mostra dedicata a Mario Puccini, uno dei più interessanti esponenti della pittura italiana del ‘900. La mostra, allestita presso il Palazzo Mediceo di Seravezza, è un evento imperdibile, dato che si tratta dell’unica antologica dedicata al pittore toscano dopo quella del 1972.

Considerato da molti il più interessante tra i Postmacchiaioli, Puccini ha lasciato una vasta produzione pittorica purtroppo sparsa tra varie collezioni private: questo aspetto rende molto complicato l’allestimento di mostre retrospettive sulla sua opera. Le difficoltà logistiche e la scarsità di informazioni biografiche hanno inoltre reso difficile proporre al grande pubblico l’opera di questo artista, che invece avrebbe sicuramente meritato già in vita maggiore fortuna.

Pochissime infatti sono le informazioni sulle vicende personali di Mario Puccini, soprattutto sul periodo più prolifico della sua carriera, nei primi venti anni del ‘900. Sappiamo che nacque a Livorno nel 1869, figlio di un fornaio che riuscì a garantire ai propri figli un’infanzia abbastanza agiata e la possibilità di studiare. Il talento del giovanissimo Mario fu notato da Fattori, che fu poi suo insegnante all’Accademia di Belle Arti di Firenze: Puccini lo considerò per tutta la vita il proprio maestro e anche nei suoi lavori più maturi si scorgono ancora rimandi al suo insegnamento – ad esempio nei buoi che compaiono spesso nei suoi dipinti. Puccini muove così i primi passi nel mondo dell’arte riscuotendo anche qualche successo.

A un promettente inizio di carriera seguiranno purtroppo quattro anni di internamento nel Manicomio di Siena: anche le cartelle cliniche sono però lacunose e poco si sa di questo periodo. Anche a causa dell’internamento Puccini è stato spesso considerato “il Van Gogh livornese”

Uscito dal manicomio nel 1898 Puccini riprenderà quasi subito a dipingere, grazie anche al sostegno degli amici pittori (soprattutto Lloyd, Ghiglia, Micheli) e collezionisti (Sforni): fino al 1920, anno della sua morte, l’artista dipingerà incessantemente, concentrandosi spesso su variazioni dei medesimi soggetti e sugli aspetti formali degli stessi, quasi a cercare nell’immediatezza di geometrie e colori del mondo esterno una difesa, o un’ancora di salvezza, per la propria fragilità interiore.

Puccini resta quindi in fondo “un artista senza storia” – come lo definisce Nadia Marchioni, co-curatrice della mostra, in uno dei saggi contenuti nel catalogo – la cui personalità può essere tratteggiata a fatica solo leggendo le descrizioni degli amici e a volte tra le righe delle poche lettere redatte di suo pugno. Un personaggio insomma che in un certo senso si inseriva a fatica nel vivace mondo artistico del primo ‘900, e che tuttora mal si adatta ai format delle mostre degli ultimi anni che spesso adottano un approccio narrativo. Da qui la scelta intelligente dei curatori, che hanno deciso di esporre le opere in modo semplice e lineare: nella mostra, come nella realtà, sono i quadri che parlano per Puccini e non viceversa.

I dipinti sono disposti soprattutto in ordine cronologico, raggruppati per temi e intervallati qua e là da citazioni di chi l’ha conosciuto e dai quadri degli altri artisti che l’hanno accompagnato nel suo percorso umano e artistico.

Così partendo dalla comune filiazione artistica da Fattori, la prima parte della mostra ci presenta un giovane Puccini fortemente influenzato dalla lezione realista del maestro, con studi dal vero, ritratti e autoritratti che ci mostrano un artista perfettamente inserito nel dibattito culturale contemporaneo.

Il confronto con alcune opere di Nomellini, Lega e Ghiglia rende immediamente comprensibile la formazione comune e al tempo stesso evidenzia alcune caratteristiche originali di Puccini, che già in alcuni autoritratti sembra adottare quell’uso ardito del colore che nei decenni successivi diventerà la sua cifra stilistica.

Dopo la parentesi del manicomio – nella mostra sono visibili i documenti originali dell’archivio dell’Asl 7 di Siena – i quadri esposti testimoniano il cambio di registro che segnerà tutta l’opera successiva dell’artista.

Tornato nella sua Livorno, Mario Puccini si dedica quasi esclusivamente a ritrarre marine, scorci della darsena, del porto, le barche ormeggiate e spesso l’imponente struttura geometrica del Lazzaretto e della scogliera circostante.

Scrisse di lui Raffaele Monti:

Puccini non descrive niente: non un personaggio, non un evento che disperda la narrazione in aneddoto, nessun elemento allusivo o simbolico. Ed è così che, nascendo da questa vera e propria inclemenza narrativa, il solo potere della forma può sollevar folate di vento ristagnato, di salmastro, di canapi; gli odori e le luci a mozzafiato che il porto di Livorno possiede in misura particolare forse per il suo fondale scoglioso, o per il tornar continuo e assillante dei venti di libeccio
[R. Monti, “Mario Puccini. La sua città, i suoi maestri, i suoi amici”, in Mario Puccini. La sua città, i suoi maestri, i suoi amici, catalogo della mostra di Livorno 2002, a cura di R. Monti, Livorno 2002]

Ciò che colpisce infatti è soprattutto la resa cromatica della luce, e un uso del colore che si fa materia, che in alcuni casi sembra imitare il rilievo e la texture di un muro, in altri riesce quasi a far percepire la salsedine depositata su una corda o una vela.

Successivamente cambiano i paesaggi: compaiono vedute delle Apuane, la campagna toscana in generale, ma anche gli scorci provenzali ritratti durante i soggiorni presso la casa del fratello, emigrato in Francia. Non muterà però l’approccio: una scomposizione del reale in piani sovrapposti e geometrie semplificate con prospettive appiattite, lavori dai colori pieni e vivi – quasi fauve – stesi in ampie campiture e con pennellate spesse. E una capacità di rendere alla perfezione la luce che caratterizza quel particolare luogo.

Un’impronta ben precisa, quella di Puccini, che portò Mario Tinti a sostenere:

Puccini sta a Fattori, come Van Gogh sta a Cézanne; ed entrambi i due coloristi, Puccini e Van Gogh, tramutano in masse fluide e vibratili i serrati e compatti blocchi dei due costruttori
[M. Tinti, in Mario Puccini, Firenze, 1931]

Come nel caso delle marine anche nei paesaggi sparisce quasi del tutto la prospettiva, appiattita su un orizzonte perennemente spostato in alto, quasi a voler escludere il cielo da inquadrature sempre tagliate.

Inoltre in questa nuova e ultima stagione dell’arte di Puccini scompaiono quasi totalmente i soggetti umani, che al massimo sono inseriti in paesaggi di lavoro e dediti a lavori di fatica – ad esempio nei quadri dedicati al trasporto dei blocchi di marmo sul monte Altissimo, in Versilia, o nel bellissimo La Metallurgica. Sintomatica è anche la scomparsa dei ritratti dal repertorio del pittore: sicuramente questo tipo di quadri richiedevano un’empatia e un contatto personale con il soggetto che mal si sposavano con la fragilità psicologica di Puccini.

Ripercorrere la vicenda artistica di Mario Puccini significa non solo lasciarsi stupire da visioni e colori inaspettati; significa anche finalmente fare il punto sul suo ruolo all’interno del gruppo composito dei Postmacchiaioli, e in particolare nel contesto livornese, anche grazie al confronto con le opere degli artisti suoi contemporanei esposte in questa occasione. Interessante in questo senso la parte finale della mostra, che ricostruisce il contesto storico e culturale del Caffè Bardi: ritrovo degli artisti livornesi e luogo di nascita del Gruppo Labronico, ospitò varie opere d’arte, tra le quali anche opere di Puccini.

Mario Puccini fu a lungo considerato una versione naïf di Van Gogh in versione italiana – addirittura “un Van Gogh involontario” come scrisse Emilio Cecchi (1). Invece dal confronto con i contemporanei e da una più attenta analisi si rivela in realtà un Puccini colto e attento alle influenze italiane ed europee. L’artista infatti aveva passato quasi tutta la sua vita tra Livorno e Firenze, ma i contatti con gli amici pittori e con collezionisti come Gustavo Sforni e Mario Galli e più in generale con il cosmopolita ambiente fiorentino, gli permettevano di essere sempre al corrente con gli sviluppi artistici contemporanei. Era anche un attento lettore di riviste come “La Voce” e quindi sicuramente a conoscenza dei movimenti d’avanguardia.

Come sostiene Nadia Marchioni nel saggio già citato, sembra che tutto questo bagaglio umano e culturale, alla morte di Puccini sia stato letteralmente spazzato via dal vento di libeccio. Fino all’allestimento di questa mostra, insomma, rimaneva solo un’immagine un po’ sbiadita di un artista, sempre accostato nell’immaginario ad altri più grandi: non più “Van Gogh italiano” o “fauve livornese”, da oggi potremo ricordare questo artista semplcimente come Mario Puccini.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Lazzaretto di Livorno
    Mario Puccini, 1911
    olio su tela collezione privata cm 205×95
  2. Pescatore sugli scogli
    Mario Puccini, 1900 circa
    olio su cartone  collezione privata cm 24,5×29
  3. Vele al sole – porto di Livorno
    Mario Puccini, 1910
    olio su cartone, collezione privata cm 26,5×44
  4. Ritorno dal lavoro in Versilia
    Mario Puccini, 1912
    olio su cartone, cm 40×49; sul verso etichetta: “XIII Biennale Internazionale d’Arte Venezia 1922 – n. 637” collezione privata
  5. La metallurgica
    Mario Puccini, 1913
    olio su tavola, collezione privata Livorno, 79 x 130 cm
  6. Il fienaiolo
    Mario Puccini, 1908 circa
    olio su tela, collezione privata, Livorno cm 45×61
  7. Autoritratto
    Mario Puccini, 1914
    olio su tela, collezione privata cm 15×9,5

In copertina:
Vele al sole – porto di Livorno (particolare)
Mario Puccini, 1910
olio su cartone, collezione privata cm 26,5×44

Note

(1) Nella lettera inviata da Firenze alla moglie Leonetta, il 10 novembre 1913, Emilio Cecchi scriveva: “… Una rivelazione per me sono state le cose di Mario Puccini un selvaggio pittore livornese allievo del Fattori: ha circa 50 anni. È un Van Gogh involontario: fortissimo; tu vedessi che colori, tu vedessi che fiere, che paesi, che mari, che barche in porto, ammassate, catramose …”
Cit. in Emilio Cecchi, catalogo della mostra (Firenze, 1979), a cura di R. Fedi, C. Mori, Firenze, 1979, p. 18.

Dove e quando

Evento:

Indirizzo: Palazzo Mediceo di Seravezza, Via del Palazzo 358, Seravezza (LU)
[Guarda su Google Maps]

Fino al: 02 Novembre, 2015