«Sento in me un potere che devo sviluppare,
un fuoco che forse non devo spegnere ma che devo alimentare,
anche se non so a quale risultato mi porterà.»
Vincent van Gogh
(dalla lettera a Theo van Gogh. L’Aia, domenica 10 dicembre 1882)
Con oltre quattrocentomila visitatori e le continue richieste, è stato prorogato al 7 maggio il percorso espositivo di Palazzo Bonaparte dedicato al nucleo di opere provenienti dal Kröller-Müller di Otterlo dov’è custodita una delle maggiori collezioni private del Novecento. Il museo fu, per Helene Müller, l’opera di tutta una vita; nata l’11 febbraio 1869 a Horst, un piccolo paese della regione della Ruhr in Germania, figlia di Wilhelm il fondatore a Düsseldorf della Müller & Co. – società distributrice di ferro e carbone che, nel giro di pochi anni, si espande in tutta Europa fino ad arrivare oltreoceano – garantendo alla famiglia una vita di agi e di ingenti disponibilità economiche.

Così, Helene acquisterà insieme al marito Anton Kröller, tra il 1907 e il 1939, quasi undicimilacinquecento opere d’arte sognando “una casa museo” desiderando appagare la profonda esigenza di lasciare un segno del proprio passaggio avendo compreso il valore del contributo al cambiamento attraverso la creazione di una grande collezione moderna. Un luogo in cui poter condividere con gli altri il suo amore per l’arte e questo spiega l’ampiezza e l’eterogeneità della raccolta per illustrare l’evoluzione dal realismo all’astrazione, a partire dalla metà dell’Ottocento.

Però, preferì definirla uno sviluppo dal realismo all’idealismo; in seguito tornerà a interessarsi alle tendenze più neoclassiche acquistando opere di artisti del Cinquecento e del Seicento ritenuti, come Hans Baldung Grien, precursori dei moderni.
Sopra ogni altro, Helene ammira Vincent van Gogh e i novantuno dipinti e i centottanta disegni da lei acquistati formano il nucleo attorno al quale ruota la sua collezione di lavori del pittore.

Egli riesce a portarla oltre la sicurezza del presente, l’epica racchiusa nell’umanità sofferente che ritrae valicando i confini del tempo. Il realismo disperato che emerge dalle tele la conforta, vi riconosce la stessa inquietudine, ma quel tormento Vincent non lo nasconde anzi, lo accentua, lo esaspera. Espone la sofferenza.
Helene comprende il senso di modernità rivoluzionario nella violenta trascrizione della realtà, quella ricerca di assoluto la disorienta e affascina, trova consolazione e pace grazie al valore terapeutico della pittura.

A centosettanta anni dalla nascita (avvenuta a Zundert il 30 marzo 1853) la mostra, prodotta da Arthemisia e curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, presenta cinquanta opere del museo olandese e, con testimonianze biografiche, ricostruisce la vicenda umana e artistica di Vincent in un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico riferito ai periodi e ai luoghi dove visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-Sur-Oise.

Dai cupi paesaggi della giovinezza, allo studio sacrale del lavoro della terra, nascono figure di chi vive severe quotidianità: il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno: “atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino“.

Dipinti e disegni, fra questi, numerosi lavori su carta raramente visibili al di fuori del museo della Gheldria, affiancati da altri sei pezzi forti della collezione risalenti a epoche diverse di Lucas Cranach il Vecchio, Henri Fantin-Latour, Pierre-Auguste Renoir, Floris Verster, Paul Gauguin e Pablo Picasso.
Una mostra allestita in modo moderno e funzionale così da permetterne la fruibilità a molti livelli, dai bimbi delle elementari agli studiosi più esperti. Da seguire con l’audioguida – per i rimandi alla corrispondenza di Vincent e il fratello Theo – ma, soprattutto, disposti a lasciarsi sorprendere.

Una particolare opportunità per approfondire la visione di quell’artista capace di rappresentare, con la forza delle pennellate, la sua idea della realtà, riuscendo a trasmettere un mondo interiore carico di sentimenti ed emozioni. Una finestra su quel suo tempo reso reale, e immortale, dal suo sguardo.

Significati a volte semplici, molto più spesso inquieti e drammatici. In quei dieci anni di attività ha segnato nettamente la sua straordinaria capacità nel rappresentare la realtà in un costante percorso all’interno della vita, della natura e di se stesso, valicando i confini per svelarne il senso.
Dopo la pandemia e un anno di guerra, dovendo affrontare le conseguenti emergenze globali che nella loro concatenazione ci hanno fatto scoprire improvvisamente vulnerabili, questo Vincent può assumere valore temporaneamente taumaturgico da aiutarci a ritrovare concentrazione, e attenzione, su arte e grandezza.