Alla galleria Area\B di Milano prosegue fino al 31 gennaio 2024 “Nicola Nannini. Segnali di vita”, personale curata da Ivan Quaroni che espone una ventina di inediti volti a rappresentare la ricerca sul paesaggio. Inoltre, una installazione di grandi dimensioni, composta da venti piccole tele, focalizza l’evoluzione dell’indagine sul ritratto tipologico. Infatti, per questo evento espositivo, Nannini ha prodotto appositamente – su tela e su tavola – un corpus di opere volte all’interpolazione tra paesaggio e ritratto, approfondendo il dialogo tra questi due generi pur riservando a ciascuno una misura di autonomia.
Nei racconti visivi, da una parte troviamo le case della bassa Padana, immerse in una pianura spopolata e silente, divenute simbolo di una condizione di provincialità archetipica e universale; dall’altra una pletora di personaggi che intrattengono con tale paesaggio un rapporto incongruo. Accanto a quelli che sembrano i tipici abitanti del luogo, si trovano figure catapultate da un altro contesto geografico e culturale, quello dell’America degli anni Cinquanta o, meglio, della sua rappresentazione finzionale e cinematografica.
Nel catalogo – edito da Vanilla edizioni – che accompagna al mostra, il curatore scrive: “Nel suo famoso studio intitolato Arte e illusione, Ernst Gombrich ricordava che già nell’antichità classica Plinio aveva compendiato la distinzione tra realismo e illusionismo sostenendo che «la mente è il vero strumento della vista e dell’osservazione, [mentre] gli occhi agiscono come una sorta di vaso che riceve e trasmette la parte visibile della coscienza». Si tratta di una precisazione che si attaglia perfettamente alla pittura di Nicola Nannini, il cui realismo schietto, maturo, otticamente appagante non scade mai nella categoria dell’illusionismo e della pura mimesi. Tant’è che perfino uno dei suoi maggiori estensori critici, Roberto Cresti, qualche anno fa ribadiva che, nel suo caso «non si tratta più di dimostrare d’essere capace di rendere un particolare o un contesto tratto dal mondo esterno, ma di costruire l’esterno attraverso la realtà dell’interno, affinché i ruoli si scambino».
Certo, la pittura di Nannini evoca la realtà con sguardo acuto, nitido, restituendoci il sapore di paesaggi, edifici e persone come quella di pochi altri pittori italiani contemporanei. Eppure, non bisogna scambiare il suo modo di ‘vedere’ la realtà con una mera registrazione ottica.
Ancora Gombrich ammoniva il lettore a non confondere il ‘vedere’ con la ‘sensazione visiva’ e ricordava l’importante ruolo della memoria nella pratica pittorica. A tal proposito citava, infatti, il grande paesaggista inglese John Constable, il quale sosteneva che «l’arte dà piacere con il ricordo non con l’inganno»”.
Il Curatore sottolinea come la pittura di Nannini sia apprezzata anche per la capacità di offrire un sapore, quasi allucinato, di certi squarci realistici rilevando l’importanza dell’aspetto ‘squisitamente mentale’ e spiega: “se la sua tecnica, che alcuni hanno accostato alla grande tradizione fiamminga e olandese ed altri alla Metafisica ferrarese, può corroborare l’impressione di una pittura veristica – più vera del vero -, la presenza nei suoi lavori di alcuni espedienti reiterati nel tempo – come, ad esempio, l’abitudine di lasciare abbozzati il margine inferiore e talvolta i bordi della tela, quasi per mostrare la natura fittizia della visione, oppure l’inserzione di personaggi nel paesaggio come se si trattasse di pezzi di un collage -, ci dicono che l’artista, più che al problema della mimesi illusionistica, è interessato alla rappresentazione di quel che non si può rilevare coi sensi.
Non deve sorprendere, a tal proposito, se a commento del convincimento leonardesco secondo cui la pittura è un procedimento tutto mentale, qualche anno fa il compianto Alberto Agazzani notava che «non esiste e non esisterà mai un pittore che desidera fermarsi all’apparenza delle cose, soprattutto un pittore figurativo».
Nannini affronta nelle sue opere cicli tematici che vanno dalla catalogazione di tipologie umane e urbane a paesaggi di ampio respiro, quasi all’insegna di un’ambivalenza – a tratti disarmante – ma consapevole: tra esigenze simboliste e aspirazioni razionalistiche, la volontà dell’artista è quella di catalogare lucidamente l’ambiente circostante ed i suoi abitanti, creando così un’enciclopedia per immagini del nostro tempo.
Prospettive che appaiono improbabili o inverosimili sono funzionali alla visione su un mondo in divenire, mai bloccato, foriero di mille storie di persone, una nell’altra, quotidiane, normali e così umane, di terra e di cielo, di visibile e invisibile.