Prosegue fino al prossimo 11 settembre l’inedito dialogo tra materia e poesia allestito al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera. Curata da Marco Di Capua e Paola Molinengo Costa, una mostra di forte potenza visiva ed evocativa che ruota attorno a tre giganti della cultura italiana del Novecento. Con il titolo “Il bronzo e la parola. Mastroianni, D’Annunzio e Quasimodo” presenta grandi sculture ognuna affiancata da una poesia dei due Maestri del Secolo scorso.

Nell’eclettico collezionismo dannunziano, la scultura occupò posizione di privilegio e la sua poesia ebbe, inevitabilmente, riflessi e influenze sulla produzione figurativa del tempo così come classicità e modernità s’intrecciano nell’opera di Umberto Mastroianni (Fontana Liri, 21 settembre 1910 – Marino, 25 febbraio 1998). L’artista, dopo gli studi presso l’Accademia di San Marcello a Roma, si trasferì con la famiglia a Torino, proseguendo la sua formazione sotto la guida del maestro Michele Guerrisi.
Le sue prime opere hanno un’impronta futurista influenzata, in particolare, dal lavoro di Umberto Boccioni, riuscendo però a evolversi in linguaggi nuovi e originali e portando per primo l’astrattismo nella scultura italiana dopo aver superato l’amara sentenza di Arturo Martini nel 1945 “scultura lingua morta”.

Nel 1947 Mastroianni fu il fondatore del Premio Torino e, nel corso della sua vita, riceverà importanti riconoscimenti quali il Gran Premio Internazionale per la Scultura alla Biennale di Venezia 1958 (l’anno seguente Quasimodo riceve il premio Nobel «per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi») e il Premio Imperiale di Tokyo nel 1989 lasciando ai posteri, non solo nella sua casa-museo di Marino, numerosi capolavori.
A Boccioni – che già aveva polemizzato con le ingenui forme del suo tempo, ricercando con forza visionaria il movimento come “energia latente nella materia” – Mastroianni si riallaccia, come ha osservato Maurizio Calvesi, “ma liberandosi del tutto dai residui comunque programmatici del dinamismo futurista e guadagnando altri territori alla sua immaginazione del “caos” genetico e creativo”.

Per questo, in mostra, i curatori hanno scelto di esporre, accanto alle sculture di Mastroianni, anche una delle opere chiave dell’artista futurista prematuramente scomparso: Forme uniche della continuità nello spazio, una fusione in bronzo tratta dal calco di un importante esemplare della scultura, fuso a sua volta usando il gesso di Boccioni del 1913.

Accanto alle poesie di d’Annunzio – come “La donna del Mare”, “Notturnino” “Alba d’estate“ – sono anche i versi di Salvatore Quasimodo ad accompagnare le opere esposte con le evidenti affinità dei temi intorno all’uomo, al dolore della guerra, al rapporto con l’industrializzazione moderna e le macchine del futuro.
L’Eroe di Mastroianni, monumentale scultura del 1983, rinnova la sua straordinaria forza espressiva attraverso i versi di “Thanatos Athanatos” che il poeta di Modica scrisse tra il ’46 e il ’49: “E dovremo dunque negarti, Dio dei tumori, Dio del fiore vivo, e cominciare con un no all’oscura pietra «io sono», e consentire alla morte e su ogni tomba scrivere la sola nostra certezza: «thànatos athànatos»? Senza un nome che ricordi i sogni le lacrime i furori di quest’uomo sconfitto da domande ancora aperte?…”
Mentre l’eterna “Ed è subito sera” ci richiama al dolore della solitudine cui l’uomo moderno è destinato, lo stesso che il grande scultore protagonista dell’esposizione fa rivivere nel lacerante coacervo materico di Ferita del 1988.

Quasimodo scrisse di Umberto Mastroianni – in occasione del volume edito insieme a doppia firma Quasimodo/Mastroianni negli anni Cinquanta – “Nello scultore laziale i momenti negativi e positivi dell’idealismo sono già fusi all’inizio; non si tratta per lui di procedere nell’esclamazione, enfatica, retorica, o nel metallico disumanizzato della macchina per risolvere il binomio romantico-classico. Di classico in Mastroianni c’è la fiducia nella formazione della materia per intervento dello spirito. Di romantico, l’identica misura di “tempesta” che afferma la mente come emozione, l’uomo come anima, nella fase della creazione”.
Che gli artisti, come Mastroianni, siano capaci di captare il senso autonomamente vitale e libero della forma o che, come Francesco Messina, rimangano fedeli al volto e al corpo, vale ciò che Jean Cocteau riservò all’opera di quest’ultimo: “L’arte è una vibrazione immobile”.
Un’espressione perfetta per definire il mondo della scultura italiana consegnataci da un poeta, mettendo ancora una volta in evidenza il nesso indissolubile, il patto stabilitosi tra il silenzio dell’arte e quella parola che ogni volta le ridà vita.