
Vi è mai capitato, chiudendo un libro, di voler sapere cosa hanno fatto i protagonisti poi, o cosa sarebbe successo se: se non avessero preso quella decisione, se avessero incontrato una persona diversa, se non avessero bevuto quella pozione, se non fossero morte. Ecco, Alessandra Sarchi, storica dell’arte e scrittrice che con HarperCollins ha pubblicato Vive! Storie di eroine che si ribellano al loro tragico destino.
“Da lettrice accanita, e poi da scrittrice, ho cominciato a provare il desiderio di immaginare cosa sarebbe accaduto alle eroine tragiche della letteratura che tanto mi hanno appassionato – il cui destino è l’esito inevitabile di una visione della donna che non ritengo più condivisibile – se avessi dato loro la possibilità di scardinare lo schema con cui erano state concepite.”
Perché poi, diciamocelo, spesso (anche nella letteratura) sono le donne a rimetterci. Per prendere in considerazione solo quelle che si suicidano, c’è un intero campionario: Madame Bovary si avvelena, Didone si getta addirittura sulla spada dell’amato Enea che intanto veleggia ignaro per il Mediterraneo, l’Ofelia di Shakespeare finisce i suoi giorni sul fondo di un ruscello, Anna Karenina sotto le rotaie d’un treno. C’è bisogno di continuare? Pare insomma che solo col sacrificio estremo – autoinflitto o meno – certe eroine possano essere considerate degne di figurare nelle pagine della grande letteratura (d’altronde anche Edgar Allan Poe diceva: “Non c’è niente di più poetico al mondo della morte di una bella donna”); ma cosa sarebbe successo se Emma Bovary non avesse comprato l’arsenico? È proprio da domande come questa che nasce il libro, che prende le mosse proprio dal romanzo di Flaubert e dalla lettera che la signora Bovary – decisamente infastidita per quella fine che l’autore le ha riservato – gli scrive: “viaggerò, raggiungerò Parigi che tu mi hai fatto conoscere solo attraverso i romanzi e una cartina geografica”.
(alla faccia tua, caro Flaubert, ma questo è un sottinteso che aggiungo io).