Diciamoci la verità: non sono una grande viaggiatrice. Prima di tutto, prendere l’aereo mi spaventa, e questo riduce di molto le mie possibilità concrete (certo, Marco Polo è arrivato in Estremo Oriente senza nemmeno immaginare che poi l’uomo avrebbe volato, ma tant’è). Poi – sarà l’età – ma comincio a diventare schizzinosa, controllo la pulizia dell’albergo, rifiuto categoricamente la sola idea del dormire in tenda, mi piacciono le comodità, se ritardo l’ora dei pasti divento irritabile. Insomma, lo ripeto, non sono una grande viaggiatrice, ma amo leggere libri che raccontano di viaggi (preferibilmente in poltrona, con la consapevolezza che da lì a poco la cena sarà pronta): ho amato allora moltissimo una delle ultime uscite de L’ippocampo, Scrittori in viaggio. Sulle orme dei grandi autori di Travis Elborough.
Da Goethe a J.K. Rowling, da Patricia Highsmith (che incontra il suo Mr. Ripley proprio a Positano) a Jack Kerouak, passando per Herman Hesse e Jane Austen, che non si è mai spostata troppo dall’Inghilterra, riuscendo tuttavia a creare opere memorabili. L’ispirazione è insomma favorita dal mettersi in viaggio, ma l’entità del viaggio stesso, la sua durata, la distanza percorsa, la meta raggiunta sono dettagli soggetti a mille variabili: il viaggio vero dipende dalla disposizione dell’anima. E allora ogni viaggio diventa importante, anche quello da pendolare, visto che lo scrittore non smette mai di essere tale, e ogni spostamento può essere una fonte d’ispirazione. Lo diceva Roland Barthes (e l’autore lo cita nella sua introduzione): “in vacanza, egli appare come il più comune dei mortali, ma il dio permane, si è sempre scrittori cosi come Luigi XIV era re anche sulla seggetta”.
Sono viaggi, quelli raccontati da Elborough, che possono condizionare una carriera, tanto che si può affermare con una certa sicumera che Hans Christian Andersen non avrebbe scritto così tanto se non avesse viaggiato in Italia. E vogliamo poi forse dimenticare il viaggio che Agata Christie fa sull’Orient Express? “Per tutta la vita avevo voluto prendere l’Orient Express. Quando andavo in Francia o in Spagna o in Italia, vedevo spesso l’Orient Express sui binari a Calais, e sognavo di salirci”. Ecco, se non ci fosse salita non solo lei avrebbe visto svanire uno dei suoi sogni, ma anche il nostro immaginario sarebbe stato ben più modesto, e il povero Poirot non avrebbe avuto un caso così succulento sul quale indagare.