
Se un uomo come Stefano Mancuso – tra le massime autorità mondiali nel campo della botanica con all’attivo numerosi volumi e oltre duecentocinquanta pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali – scrive un libro di narrativa, beh, come si fa a resistere senza leggerlo?
Professore associato presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze e accademico ordinario dell’Accademia dei Georgofili, dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale, membro fondatore della International Society for Plant Signaling & Behavior, dal 22 novembre scorso è in libreria con “La Tribù degli Alberi” edito da Einaudi.
Romanzo per tutte le età che ci riguarda tutti da vicino, una storia emozionante, avventurosa, colma di passione e capace di esemplificare quanto l’umanità sia interconnessa con le piante.
C’è una voce che sale dal bosco: è quella di un vecchio albero che vive lì da sempre, e adesso vuole dire la sua, perché anche le piante hanno una personalità, delle passioni, ciascuna ha un proprio carattere. Cercano sottoterra per guardare il cielo. Si studiano, si somigliano, si aiutano. E se chi dice «io» avesse centinaia, forse migliaia di anni? Intorno a Laurin, nei secoli, si è svolta la storia di una intera comunità, e lui ora – con le radici ben salde nel terreno e la chioma ancora svettante nonostante l’età – ne ripercorre le vicende, le incomprensioni, le feste, i dubbi e le promesse.
Le piante si organizzano in clan: c’è quello dei Cronaca, seri e coscienziosi, imbattibili nel raccogliere informazioni. Ci sono i Terranegra, i piú numerosi, originali e colorati, diversissimi tra loro. I temibili Gurra, alti e imponenti, sono taciturni (anche se al tramonto è facile sentirli cantare). I Guizza sciolgono i nodi delle scelte, pesano le decisioni e studiano i tramonti – mentre i Dorsoduro, instancabili scienziati, sono addirittura in grado di manipolare la percezione della realtà. Nella tribú degli alberi nascono amicizie speciali e legami indissolubili, qualcuno deluderà i compagni e qualcun altro li salverà. Una cosa li accomuna però: possono scegliere, e costruire un giorno dopo l’altro – se solo glielo permettiamo – il futuro del mondo in cui tutti abitiamo.
Forse nessuno, meglio di Stefano Mancuso, poteva raccontare il regno vegetale, ma ne “La Tribù degli Alberi” c’è l’alchimia di una forma nuova che coniuga la vivacità dell’apologo al rigore scientifico.
Per quanto possa valere il giudizio di una liceale sedicenne: Bravo!