“A volte mi piace vedere la storia del rock’n roll come l’origine della tragedia greca,
che iniziò su piccoli spazi all’aperto nelle stagioni cruciali
e all’inizio era un gruppo di fedeli che ballavano e cantavano.
Poi, un giorno, una persona posseduta emerse dalla folla
e cominciò ad imitare un dio”.
(Jim Morrison, da un’intervista a una rivista di musica pop)
Ne “Il Caso Wagner“, una delle opere scritte nel primo semestre del 1888, con inarrestabile progressione creativa, durante quell’ultima, drammatica stagione filosofica, Friedrich Nietzsche sentenziò lapidariamente: “Wagner fu
una malattia”. Appare quindi singolare come, circa cent’anni dopo, un musicista abbia detto la stessa cosa di lui. La frase in questione, pronunciata da John Densmore – batterista dei Doors, fu: “Friedrich Nietzsche ha ucciso Jim Morrison”.
Adesso, tralasciando i novantanove che intercorrono tra la nascita del filosofo tedesco e il cantautore statunitense (del resto siamo ormai avvezzi al concetto delle linee temporali del MCU Marvel Cinematic Universe), da questo fuoco incrociato di accuse, tra filosofo e musicista e tra musicista e filosofo, è emerso un inedito confronto tra due figure apparentemente lontanissime, senza dubbio singolari, il cui rapporto è oggetto di studio all’estero, ma anche in Italia, perché fornisce una chiave di accesso alla ricezione della filosofia nietzschiana nella seconda metà del Secolo scorso.
Alessandro Mastrangelo in “La stella che danza (Nietzsche contra Morrison)” un breve saggio ricco di citazioni filosofiche, letterarie e musicali edito da Albatros, spiega come il front man dei Doors, noto per i suoi eccessi con l’alcol e le droghe, sia stato un conoscitore delle opere di quel pensatore originale capace di influenzare il pensiero culturale del mondo occidentale del Ventesimo secolo. Per Bill Osborn, con la definizione “the nietzschean Jim Morrison”, il musicista fu il divulgatore più noto in quanto raggiungibile da lettori di ogni estrazione, anche improvvisati e occasionali.
Leggendo attentamente le strofe di “Soft Parade“, quarto album dei Doors, si possono rintracciare molti dei temi e delle suggestioni di Nietzsche, a partire naturalmente dalla visione dionisiaca e dalla centralità della musica e della danza.
“Ode a Nietzsche“, invece, è un tributo al filosofo venuto alla luce tramite YouTube in cui il cantante, prima di un concerto a Los Angeles nel 1969, ricorda quel famoso giorno in cui, a Torino, Nietzsche fu trovato mentre, in preda alla disperazione, abbracciava un cavallo.
Tale confronto permette di restituire un’immagine del cantante ben diversa da quella globalmente nota, apre una breccia ad aspetti inediti della sua esistenza certamente di interesse per gli appassionati soprattutto perché lontani dai soliti cliché delle biografie.
Morrison, lettore insaziabile ed aspirante poeta, non ha scritto di certo liriche o canzoni su Nietzsche, pur mantenendo con tale filosofo un rapporto esclusivo di pericolosa familiarità intellettuale fino alla fine dei suoi giorni. È nella tenace solitudine, che tali figure scelsero volontariamente per modellare la loro singolare esistenza e, nel contempo, nella ferma volontà di dichiararsi entrambi ultimi discepoli del Gran Pan (o del “Gran Danzatore”, secondo le erudite parole del cantante) che tale affinità può emergere di nuovo, dopo mezzo secolo di oblio, con grande evidenza, restituendo luminosi frammenti di quella inedita e insospettabile familiarità intellettuale.
Un’icona della musica pop e uno dei filosofi più letti di sempre sono gli esempi più alti di una filosofia di vita segnata da una tremenda forza sotterranea, un ineluttabile destino cui entrambi in modo diverso non hanno potuto sottrarsi.