
Succede sempre così: sfogliando i giornali, scorrendo i social, chiacchierando con gli amici mi capita di sentir parlare di libri che vorrei leggere. Allora faccio liste, divido tra saggi e romanzi, appunto nomi, titoli e case editrici (perché quando vado a chiedere un libro voglio essere precisa), poi entro in libreria e, come una bambina in un negozio di caramelle, dimentico tutto e vorrei comprare ogni cosa, e spesso si tratta di titoli che vedo sullo scaffale per la prima volta. È successo di nuovo: lui mi ha catturato al primo scambio di sguardi, perché io sì, l’ho guardato, ma lui ha ricambiato la mia occhiata desiderosa con una ancora più allusiva, prendimi, diceva, prendimi). Lui è La salita dei Giganti. La saga dei Menabrea di Francesco Casolo. Un libro che parla di birrai è forse l’ultima cosa che pensavo avrebbe potuto interessarmi, e invece: sarà stato per quell’atmosfera Belle Époque, per quelle feste così eleganti e, subito dopo, quelle montagne così imponenti ma al tempo stesso familiari, ma il romanzo di Casolo mi ha conquistata in meno di cinque pagine. Meno forse, ancora meno: mi è bastato leggerne l’incipit per volere sapere tutto di Genia e della sua famiglia.
“Continuava a pensarci. Ispezionava ogni angolo della memoria, rovistava nei ricordi, andava su e giù e poi avanti e indietro in quello che aveva visto, fatto e vissuto fino a quel momento, eppure niente, non le veniva proprio in mente”.
Ed è proprio lei, che a cinque anni non riesce a ricordarsi quale era stata la prima, vera, avventura della sua vita, la protagonista di una saga familiare che attraversa i decenni e profuma di neve fresca e di luppolo, sostenuta da un grande lavoro di ricerca d’archivio da parte dell’autore, docente di storia del cinema allo Ied che vive proprio a Gressoney, e che ha avuto l’idea del libro chiacchierando con una guida alpina e falegname. Valeva la pena di provarci, scrive Casolo a conclusione del libro, e noi lettori non possiamo fare altro che ringraziare.