Iniziate a contare: abete, alloro, anemone, antirrino, arancio, aster, borrana, camomilla, cicoria, crescione, crisantemo, croco, elleboro, eragrostide, euforbia, farfara, felce, fiordaliso, fragola, garofano, gelsomino, giacinto, giglio, iris, lino, melograno, mirto, mughetto, myosotis, nigella, papavero, pervinca, piantaggine, pratolina, puleggio, ranuncolo, rosa, senecione, soffione e viola. Quanti sono?
Quaranta, esatto, quaranta tipi di piante diverse che Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi – universalmente noto come Sandro Botticelli – dipinse, con minuzia di particolari, in quello che è il suo capolavoro assoluto, Primavera, la cui esuberanza, la pienezza e l’eleganza hanno reso il quadro ‘simbolo’ della Galleria degli Uffizi, permettendoci di riscoprire una moltitudine di significati in un caleidoscopio di suggestioni che conducono al cuore più profondo di quel periodo straordinario che chiamiamo Rinascimento.
Prendiamo a esempio il Garofano – Dianthus superbus L. – ai piedi di Flora, il cui nome greco significa “fiore di Dio” e, secondo un’usanza importata dai Paesi Bassi, il giorno delle nozze la sposa doveva nascondere un garofano sulla sua persona, e il marito trovarlo, divenendo così il fiore del matrimonio.
La varietà raffigurata da Botticelli, oltre al consueto simbolismo, assume anche il significato di “magnifico” o “orgoglioso” (superbus). Tra l’altro, il garofano era già stato indicato da Matteo Bandello (1485-1561) – nella sua principale raccolta (Novelle) – tra i fiori adatti a essere offerti in un bouquet alla propria amata.
L’opera, realizzata con tempera grassa su grande tavola di pioppo (cm. 207×319), alla fine del Quindicesimo secolo era appesa sopra un lettuccio in via Larga (oggi via Cavour) nella casa degli eredi di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici. La datazione è incerta, però è sicuro che Botticelli l’avesse completata quando, nell’autunno del 1481, lasciò Firenze per recarsi a Roma. Altra notizia certa, precedente al 1550, è il trasferimento nella villa di Castello dove fu ammirata da Giorgio Vasari che la descrisse insieme alla Nascita di Venere.
Con un’avvincente introduzione di Lucia Tongiorgi Tomasi (capace di contestualizzare anche per il lettore inesperto), la casa editrice Olschki ha recentemente pubblicato la traduzione italiana – a cura di Sarah Cuminetti e Cinzia Pasquini – di Botticelli’s «Primavera» A botanical interpretation che la storica dell’arte Mirella Levi D’Ancona aveva dato alle stampe in lingua inglese nel 1983 e, dal 2022, disponibile in una nuova edizione.
La «Primavera» di Botticelli. Un’interpretazione botanica è un libro incredibile perché, la parte dedicata al simbolismo delle piante (da sola vale l’acquisto) è preceduta da una quantità di notizie storiche e informazioni di quella meraviglia che presenta nove figure della mitologia classica su un prato fiorito, davanti a un bosco di aranci e lauri. La dea Flora (un tempo ninfa Cloris che, dopo il rapimento, stupro e il successivo matrimonio con Zefiro, diverrà la dea protettrice dei lavori agricoli e della fertilità femminile) è alla sinistra di Venere (la dea dell’amore al centro del dipinto) artefice dell’evoluzione di quell’amore che Botticelli rappresenta nel vento che accompagna l’arrivo della primavera mentre rapisce Cloris dalla cui bocca escono dei fiori.
Indubbiamente, l’interpretazione complessiva che tanto affascina, tutt’oggi resta non del tutto chiara anche ai maggiori esperti e, probabilmente, rimarrà tale per l’impossibilità di decifrare quello specifico linguaggio di un ristrettissimo numero di umanisti dell’epoca. Di certo, il quadro celebra pace, amore e prosperità quindi, per quanto concerne i temi storico-mitologici contenuti, l’autrice recupera ed elabora ipotesi offerte dalla bibliografia e lo ritiene ideato per Giuliano dei Medici e ispirato all’amore per l’ultima sua passione, Fioretta (figlia del corazzaio Antonio Gorini) dalla cui relazione nascerà Giulio, figlio naturale poi legittimato che, con il nome di Clemente VII, salirà al soglio di Pietro il 19 novembre 1523.
Tra l’altro Giuliano, obbligato dal Magnifico fratello a un matrimonio di convenienza per gli interessi familiari, dopo innumerevoli rifiuti, firmando l’accordo del 1477, accettò di sposare Semiramide Appiani, sorella di Jacopo IV, signore dell’Isola d’Elba e di Piombino, nozze sfumate per l’assassinio del 26 aprile 1478. La Congiura dei Pazzi potrebbe, quindi, aver obbligato Botticelli a modificare la destinazione dell’opera e Levi D’ancona, insistendo sui riti della fertilità e sulla simbologia matrimoniale, individua in una delle Grazie (Talìa, quella centrale) la “povera” Semiramide – i Medici avevano bisogno sia del sostegno militare che dell’utilizzo delle miniere di ferro degli Appiani – quindi andata in sposa a Lorenzo di Pierfrancesco del ramo cadetto del Trebbio, giovane cugino e pupillo del Signore di Firenze scomunicato da Papa Sisto IV, scomunica estesa a tutti Medici.
Sebbene Lorenzo di Pierfrancesco fosse ancora adolescente, era l’unico scapolo della famiglia, pertanto, il Popolano, diventa il nuovo destinatario di Primavera e a lui sono indirizzati i riferimenti alle verità morali. Lo stesso bosco rimanda al giardino delle Esperidi dove crescono i pomi d’oro dell’immortalità.
I tanti incisi hanno lo scopo di incuriosire, ma anche di non togliere il piacere delle scoperte che, pagina dopo pagina, tengono il lettore incollato fino all’analisi dell’ultima tavola.