A volte basta poco per cambiare la nostra prospettiva su quello pensavamo fosse un fatto incontrovertibile, che Bernini cioè sia stato quello che meglio di altri ha interpretato il valore, i pensieri e la poetica di papa Urbano VIII. Certo, basta dare un’occhiata al Baldacchino di san Pietro per capire che qualcosa di vero deve pur esserci in questa affermazione. Ma… ma se fosse tutto frutto di un compromesso, di un capestro, di un patto accettato forzatamente? Quasi un patto col diavolo, se non fosse che qui il diavolo è il pontefice: è questa più o meno la tesi di Tomaso Montanari e del suo nuovo libro, La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi). “Scomunicata”, “troppo libera”, “indecente”: così viene descritto l’Apollo e Dafne, il capolavoro di Bernini della collezione Borghese. “Era dal tempo di Caravaggio che non si registrava un pronunciamento tanto duro contro un’opera d’arte, e il fatto che a emetterlo fosse il pontefice in persona poteva riuscire davvero fatale a un artista” sottolinea l’autore, descrivendo un Bernini per niente ortodosso, poco allineato, costretto all’abiura – come Galileo – e a rinnegare le sue opere più frivole, più sensuali e libere pur di continuare a lavorare, anzi, per diventare il dittatore artistico della Roma barocca. Dopo Apollo e Dafne l’artista si sarebbe quindi impegnato a non realizzare nulla di cosi ardito (anche se, come nota giustamente Montanari, “sotto il saio di Teresa respira ancora il corpo di Dafne”), cercando di blandire i suoi detrattori e di costruirsi l’immagine perfetta del principe degli artisti. C’è riuscito? Non completamente, o non del tutto…
Dettagli
Tomaso Montanari
La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere
Einaudi
pp. 325
Tomaso Montanari La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (copertina del volume edito da Einaudi) Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, 243 cm, Galleria Borghese, Roma (fonte)