
Radiosa, innocente, la più pura tra le sacerdotesse di Atena, la bellezza di Medusa va ben oltre quella dei semplici mortali. Hannah Lynn, l’insegnante inglese autrice del bestseller “Il segreto di Medusa” torna ad appassionarci con un altro racconto tra leggenda e mito questa volta sulle guerriere che avevano scelto di fare a meno degli uomini.
Fresco fresco di stampa – Newton Compton Editori – “Il mistero delle amazzoni” (titolo originale Queens of Themiscyra – traduzione di Valentina Legnani e Valentina Lombardi) vi catapulterà nell’antica città di Temiscira dalla leggendaria sovrana Ippolita, regina delle amazzoni, un popolo di guerriere temute in tutta la Grecia per lo straordinario valore in battaglia.
Si narra che sottomettano gli uomini e li utilizzino per la procreazione, che si amputino il seno destro per tirare meglio con l’arco e siano formidabili a cavalcare e con le armi.
Però esistono pericoli che nessuna arma, per quanto letale, è in grado di scongiurare e quando una nave giunge sulla costa dove Ippolita domina incontrastata, il destino ha già iniziato a tessere la sua tela.
Travolta da un amore inatteso, proibito e contrario ai doveri di amazzone, ancora prima che di sovrana, Ippolita fa una scelta dalle conseguenze irreversibili.
Sentendosi tradita dalla propria sorella, Pentesilea sarà costretta a salire sul trono al suo posto e lavare via la sciagura che Ippolita ha gettato sul popolo delle guerriere.
Dimostrerà al mondo intero, se necessario, che le amazzoni non conoscono alcuna debolezza e che sfidare la loro ira vuol dire prepararsi a combattere.
Vi ho incuriosito, eh? Bene, allora vi lascio con le frasi che Hannah Lynn usa per iniziare il libro.

“La sua lama sibilò nell’aria, sicura e inesorabile, attraversando prima l’armatura di cuoio del guerriero e poi la morbida carne del ventre. Un getto di sangue schizzò verso l’alto tracciando un arco mentre l’uomo cadeva da cavallo. Già pronta a volgersi altrove, Ippolita non gli prestò la minima attenzione. Gli zoccoli della sua giumenta percossero il terreno secco sotto di essi, sollevando nubi di polvere mentre la regina individuava la sua prossima vittima. Pochi istanti dopo, anche quell’uomo giaceva faccia a terra.
Da ogni direzione proveniva il clangore del metallo – spade contro scudi, punte di freccia contro corazze – e l’odore di sangue, amaro e nauseabondo, aleggiava denso nell’aria arida. Era un aroma che lei conosceva bene. Aroma di battaglia. Di sudore e dolore. Di pelle che bruciava sotto i raggi del sole di Elios. Di cavalli madidi. Ma, soprattutto, era profumo di vittoria.
I loro avversari, che solo un’ora prima gridavano di rabbia ed entusiasmo, ora urlavano in preda al terrore, implorando pietà e annegando nel loro stesso sangue. Se erano fortunati, le sue donne avrebbero offerto loro una morte rapida. Le mosche erano già arrivate a sciami, posandosi sulle ferite aperte e ronzando sui cadaveri che iniziavano a ingrigire nella polvere.
Quando anche l’ultimo grido si fu spento e il sole ebbe raggiunto lo zenit, la terra era rossa del sangue dei caduti.
Ippolita lasciò scorrere lo sguardo sulla scena. Erano giovani.
Alcuni poco più che bambini. Il loro re doveva essere un debole se aveva pensato di mandare quei ragazzini ad affrontarle.
«Torniamo a casa, al Ponto e a Temiscira , mia regina?»“