
Dovevo arrivare alla fine del libro (cosa che, a quanto pare, è meno diffusa di quanto si possa pensare) per avere conferma di quello che sospettavo da pagina uno: che quando si passa una vita dentro certe faccende, quando si mastica pittura e storia per anni, quando si mette addirittura le mani sui capolavori inviolabili del Rinascimento, quelle epoche si finiscono per vivere in prima persona. È successo così ad Antonio Forcellino, studioso dell’arte del Cinquecento e restauratore – per dirne una – nientepopodimeno che del Mosè di Michelangelo. Che, evidentemente, qualcosina quando erano faccia a faccia deve avergli raccontato: ecco allora come Forcellino conclude la sua quadrilogia Il secolo dei giganti, dedicata ai grandi protagonisti dell’arte del XVI secolo, Raffaello, Tiziano, Leonardo e Michelangelo (no, non ci sono spoiler): “Ho studiato a fondo il Rinascimento negli archivi e nelle biblioteche per poter comprendere appieno quei capolavori che la fortuna mi ha consegnato tra le mani. In un’età in cui si cominciano a tirare le somme del proprio lavoro, se non della propria vita, ho voluto rimettere insieme in una grande storia romanzata tutto ciò che mi aveva emozionato, raccontando per primo a me stesso gli avvenimenti che in genere si studiano in maniera troppo settorializzata.”
Quest’ultimo volume, Il cielo di pietra (HarperCollins) inizia all’ombra del cantiere di san Pietro in Vaticano e sul tamburo della basilica che è ancora senza cupola: la sta progettando il vecchio Michelangelo, venerato in città come un santo anacoreta. Ma è questa anche la Roma cupa e violenta di papa Paolo IV Carafa e dei suoi nipoti Carlo e Giovanni che (senza immaginare come, inevitabilmente, prima o poi il vento sarebbe cambiato) seminano un terrore che si fonde a una paura più grande, quella dell’infedele, dei Turchi che sembrano pronti a conquistare tutto l’Occidente. Una storia che in fondo ha bisogno di pochissimo (e di qualche licenza: chissà se vi accorgerete quale) per diventare un romanzo, l’affresco di tutta un’epoca.