Tra le pubblicazioni della Casa Editrice Leo S. Olschki trovate Il Calcio storico fiorentino. La rievocazione tra patrimonio e “identità”, realizzato da Dario Nardini e basato su una ricerca etnografica finanziata dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, che ricostruisce la storia e gli aspetti di interesse demo-etno-antropologico della rievocazione. Trattandosi di un testo universitario – detta così – potrebbe sembrare destinato allo studio e agli addetti ai lavori, invece ogni fiorentino, ma anche chi ama la nostra città, una volta iniziato si troverà a non riuscire a staccarsene fino all’arrivo di pagina 236.

Di cosa si tratta esattamente? «Il Calcio Fiorentino è la principale rievocazione storica organizzata nel contesto delle Feste e Tradizioni Fiorentine promosse e gestite dal Comune di Firenze» la manifestazione che ogni anno, con costumi d’epoca, mette in campo il gioco del calcio fiorentino come lo si giocava nel Sedicesimo secolo, in particolare commemora la partita del 17 febbraio 1530 nella Firenze repubblicana assediata dalle truppe di Carlo V d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico.
Organizzata per tenere alto il morale dei soldati e mostrare al nemico l’indomita tempra dei fiorentini che, provati dal lungo accerchiamento e ormai prossimi alla sconfitta (sarebbe avvenuta il 3 Agosto e, la resa onorevole firmata il 12 Agosto), vollero comunque festeggiare il carnevale e farsi beffe delle truppe assedianti.
Proseguendo con la lettura scoprirete come la manifestazione odierna sia frutto di una serie di sistemazioni e integrazioni compiute nel corso del tempo sulla struttura portante di quella celebrata per la prima volta il 4 maggio 1930. L’amministrazione fascista, e un comitato appositamente fondato, organizzarono la prima rievocazione della «partita dell’assedio» (per le celebrazioni del quarto centenario della morte di Francesco Ferrucci caduto, appunto, nella Battaglia di Gavinana). Si trattò della partita tra la squadra dei Verdi «Di qua d’Arno» e quella dei Bianchi di «Oltr’Arno», «combattuta a Firenze […] dinanzi a una grande folla plaudente».
Da allora, la rievocazione è stata riproposta ogni estate fino a oggi, con una
breve interruzione negli anni della Seconda guerra mondiale (nel 1941, e poi tra il 1943 e il 1946, mentre una partita si è invece svolta nel 1942) e durante la pandemia da Covid-19 del 2020.
Dario Nardini spiega anche come le squadre siano diventate quattro, quelle dei «quartieri storici» già presenti nel Corteo del 1930: Azzurri per Santa Croce, Bianchi per Santo Spirito, Rossi per Santa Maria Novella e Verdi per San Giovanni.
Pertanto, l’incontro «secco» si è trasformato – prima episodicamente dal 1952 e poi stabilmente dal 1978 – in un torneo con due semifinali e finale, giocate in data variabile nel mese di giugno.
Dal 2011, il Regolamento prevede che la finale si giochi il 24 nel giorno del Santo Patrono, quest’anno (la sfida tra Azzurri e Rossi) è anticipata a dopodomani per evitare la concomitanza con le operazioni voto del secondo turno per l’elezione del sindaco.
In occasione di ogni partita, la rievocazione consta di due momenti: una parata paramilitare in costumi cinquecenteschi che si svolge con cadenza di marcia e a ritmo di tamburo lungo le vie del centro storico di Firenze (il Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, che proprio in occasione del Torneo di San Giovanni sfila nella sua interezza); e l’incontro ludico-competitivo in cui le quattro squadre si affrontano in un gioco di palla estremamente fisico in un’arena di sabbia allestita in piazza Santa Croce.
Scopo del gioco è piazzare la palla, con i piedi o con le mani, nella «caccia» avversaria, la rete ricurva che si estende lungo i due lati corti del rettangolo di gioco (che misura ottanta metri per quaranta), poco al di sopra della recinzione che circonda tutto il campo.
Un tempo tutte le forme di contatto erano permesse però, dopo alcuni episodi antisportivi avvenuti in campo all’inizio degli anni Duemila, sono intervenuti i regolamenti che ne interdicono molte. Il Calcio Storico è un gioco di competizione («agon», secondo la tipologizzazione di Caillois) radicale, in cui l’aspetto dello scontro fisico, purtroppo, negli ultimi venti-trent’anni è stato esasperato al punto di dover metterne in discussione lo svolgimento in alcune occasioni così, le regole, sono state gradualmente messe a punto con diverse rettifiche e interventi sulla struttura del Regolamento del 1930.
Ogni squadra è composta calcianti e, in accordo alle fonti d’epoca su cui si basò la ricostruzione, come allora, non sono previste sostituzioni in caso di espulsione o infortunio.
Il quartiere vincente si aggiudica un «palio» (uno stendardo composto ogni anno da un/a artista locale) e una vitella di razza chianina con corna e zoccoli dorati, accompagnata nella sfilata da un bovaro e (solo simbolicamente) assegnata alla squadra vincitrice dal Maestro di Campo al termine dello scontro finale.

So bene di avervi incuriositi quindi… buona lettura!

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Immagine di un incontro
foto © Giuseppe Sabella
(fonte)