Recentemente si è discusso spesso sull’opportunità di celebrare la figura di Cristoforo Colombo, soprattutto a causa degli effetti della sua “scoperta” del Nuovo Mondo sulle popolazioni indigene del continente americano e tutto ciò che ne è seguito – compresa la tratta degli schiavi.

Se della scoperta di Colombo si è parlato molto, spesso a sproposito, delle vicende di uno dei suoi figli, Fernando, la Storia – quella con la S maiuscola – pare essersi dimenticata. Eppure la sua vicenda è stata in un certo senso importante quasi quanto quella del celebre genitore.

Fortunatamente un bel saggio dello storico della letteratura Edward Wilson-Lee cerca di rendere giustizia all’opera di uno dei personaggi più intriganti della storia intellettuale europea. Nel suo Il catalogo dei libri naufragati (Bollati-Boringhieri, 2019) Wilson-Lee sceglie di muoversi tra la narrazione e la ricostruzione storica, in un libro accurato come un saggio ma che scorre come un romanzo d’avventura. Il risultato è una ricostruzione epica e a tratti commovente di un uomo al quale, senza saperlo, dobbiamo ancora molto.

Ma chi era Ferdinando Colombo? Figlio illegittimo di Cristoforo, Hernando Colón – italianizzato in Fernando Colombo – era nato a Cordóba nel 1488 dalla relazione del padre con Beatriz, orfana di umili origini. Al ritorno dal suo primo viaggio Cristoforo legittima Fernando e lo invia assieme al fratello maggiore, Diego, alla corte di Castiglia come paggio del principe Juan. Questa posizione permette al giovane Fernando di acquisire un’educazione di alto livello, ponendo le basi per la sua futura carriera intellettuale.

A soli 14 anni, nel 1502 Fernando segue il padre e lo zio nel quarto viaggio in quello che ormai è considerato il Nuovo Mondo. Fernando quindi è testimone delle vicende della seconda parte della vita del padre, segnata soprattutto da grandi umiliazioni. Sarà proprio grazie a Fernando se oggi possiamo conoscere tanti dettagli della vita di Cristoforo: le sue Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, scritte nel tentativo di riabilitare il nome di famiglia, sono ancora oggi la fonte principale per ricostruire la vita dell’esploratore.

Dal padre apprende anche i rudimenti della navigazione, che poi integrerà con studi successivi sulla longitudine, per essere infine nominato nel 1526 Cartografo di Spagna.

Il giovane Fernando affronta l’esplorazione del Nuovo Mondo con una curiosità intellettuale e una profondità di analisi non comuni, che contraddistinguono tutta la sua opera. Ed è proprio questa curiosità, combinata con la capacità di Fernando di vedere oltre il suo tempo, l’oggetto de Il catalogo dei libri naufragati. Scrive Wilson-Lee:

Ricostruire la sua vita significa non solo recuperare una visione di ineguagliabile profondità dell’epoca rinascimentale, ma anche riflettere sulle passioni e gli intrighi che stanno dietro ai nostri stessi tentativi di portare ordine nel mondo.

Sì perché l’incontro con le Americhe – che per gli Europei è appunto una scoperta – mette all’improvviso Fernando e i suoi contemporanei di fronte a una verità inaspettata: il mondo si è fatto all’improvviso più grande e complesso di quanto la cultura dell’epoca potesse immaginare. La stessa rotta di Colombo si basa su dati inesatti, calcolati pensando a una circonferenza terrestre molto inferiore rispetto a quella reale. Per non parlare di flora, fauna e popolazioni che non coincidono assolutamente con quanto previsto dai testi medievali o da quelli classici.

L’approccio di Fernando è estremamente moderno: dove il padre si rifugia nel delirio millenaristico che segna l’ultima parte della sua vita, il figlio prosegue con una mentalità che oggi definiremmo autenticamente Rinascimentale. Fernando descrive per comprendere, e dove non ha strumenti adeguati per completare la descrizione si adopera per crearne di nuovi. Ad esempio al primo avvistamento dei lamantini – sconosciuti in Europa – Cristoforo si limita alle categorie di pensiero note e li identifica come “sirene”, deluso del fatto che non somiglino a delle donne. In pratica compie lo stesso errore di Marco Polo, uomo del medioevo – che incontrando un rinoceronte lo considera un unicorno, notando per i posteri che questi non sono animali belli e delicati come si credeva. Fernando, al contrario scarta questa ipotesi e cerca di applicare le più moderne teorie zoologiche studiando l’anatomia dell’animale.

Dallo “shock culturale” dell’esplorazione del nuovo continente nasce molto probabilmente l’approccio di Fernando alla conoscenza del mondo e alla cultura, ma anche il suo interesse – per non dire ossessione – per la classificazione e l’ordine. Fernando applica per la prima volta questa sua mania classificatoria a ciò che vede e sperimenta durante i suoi viaggi. Successivamente si cimenta in un’altra operazione classificatoria: la compilazione di un dizionario di latino che poi abbandonerà.

Ma la cosa per la quale dovrebbe essere ricordato è senza dubbio il tentativo di catalogare il suo patrimonio librario: Fernando è infatti un vero bibliofilo oltre ad essere un uomo del Rinascimento nella più pura accezione di questo termine. Vorace lettore, spende tutto il suo denaro – e a volte anche quello che non ha – per acquistare libri in ogni campo del sapere: dall’astronomia alla medicina, dalla matematica alla letteratura classica senza tralasciare la botanica. E un uomo di questo tipo non poteva non essere attratto dalle potenzialità della stampa, di recente invenzione. In effetti i manoscritti non presentano un particolare interesse, mentre le copie stampate dei libri – replicabili e quindi standardizzabili e indicizzabili – esercitano su di lui un fascino irresistibile.

Così, una volta rientrato in Europa, inizia a girare tra le capitali librarie del suo tempo: Venezia, prima di tutto, ma anche le principali città tedesche dove entra in contatto con i libri della Riforma. E poi Roma, dove apprende dell’esistenza della biblioteca medicea, fondata da Cosimo de’ Medici e portata nella città eterna dal cardinale Giovanni de’ Medici. Questo modello di “biblioteca ideale” deve aver fornito a Fernando lo spunto per il progetto più ambizioso della sua vita.

Infatti vero lascito di Fernando, il progetto che insieme alla riabilitazione del nome del padre lo ha tenuto occupato fino alla sua morte, è la creazione di una biblioteca universale.

Molto più di una raccolta di libri, la biblioteca di Fernando è una ri-organizzazione del sapere volta a ridurre la complessità del mondo e progettata per generare altro sapere.

Durante i suoi viaggi Fernando inizia a catalogare minuziosamente i libri acquistati, inserendoli un registro e creando un personalissimo catalogo ragionato, caratterizzato da rimandi grafici, dei veri e propri geroglifici. Ma perché limitarsi ai libri? Fernando è anche un avido collezionista di stampe ed escogita un apposito sistema di catalogazione per la sua collezione:

Gli indici che Fernando compilò (…) e il catalogo che creò per le sue stampe sono una testimonianza stupefacente sia di come si possa essere travolti dal semplice numero di cose – idee, fatti o immagini – sia dei suoi primi tentativi di reagire a quest’ondata impetuosa. Cosa si può fare di fronte a una moltitudine tale che sfugge a ogni comprensione? L’unica soluzione è creare degli strumenti che estendano le naturali capacità della mente: se riuscite a ricordarvi il nome «Corinto», l’indice vi segnala tutti i punti in cui occorre in un libro, e se contate il numero di uomini di una stampa il catalogo vi segnala tutte le immagini con lo stesso numero di uomini

Purtroppo il prezioso carico di libri affonda, e la massa di “libri naufragati” resterà come una sorta di macchia nel catalogo di Fernando. Questo con tutta probabilità lo costringe a escogitare nuovi e migliori modelli di classificazione e consultazione.

Sarebbe stato impossibile salvare il catalogo alfabetico che aveva stilato, disseminato com’era della presenza spettrale dei libri naufragati, così iniziò a redigerne un altro. Anche il registro che descriveva ogni libro nel dettaglio era fatalmente compromesso, dato che conteneva un’ampia sezione, quasi un volume intero, di opere non più fisicamente presenti nella collezione. Invece di tentare di tagliare via quella sezione dal vecchio catalogo, ne iniziò un altro, migliore, che questa volta avrebbe incluso non solo le descrizioni dei libri ma anche il linguaggio geroglifico che stava sviluppando. Di fatto, l’unica parte del vecchio registro che tenne fu proprio la sezione che dettagliava i libri finiti in fondo al mare, che intendeva sostituire, volume per volume, finché la biblioteca non fosse stata di nuovo completa. A questo volume orfano, questo ricordo degli assenti, diede il titolo perfetto di Memorial de los libros naufragados. Non era solo il primo catalogo che Fernando preparava della sua raccolta: il suo titolo si intona alla poesia della sua vita, dell’accostare i libri al naufragio, della lotta per la memoria malgrado una perdita che stava scomparendo in fretta. La spedizione affondata gli aveva insegnato una lezione importante: la sua non era una biblioteca immaginaria, come quella leggendaria di Alessandria, che esisteva in astratto ma non richiedeva mai che ci occupasse del suo funzionamento. La sua era una biblioteca in carne e ossa – o meglio, in carta, inchiostro e pergamena – e doveva essere ospitata, protetta, ordinata e sistemata, accudita così come un giardino va frenato dalla stato selvatico a cui desidera sempre tornare.

Nasce forse così il primo tentativo moderno di indicizzazione del sapere che sarà alla base della Biblioteca Colombina, fondata a Siviglia da Fernando Colombo, a breve distanza dalla tomba di Cristoforo. Wilson-Lee descrive così la biblioteca:

Chi avesse visitato la biblioteca, sarebbe stato accolto da un luogo davvero fuori dal comune. La dimensione stessa della collezione doveva essere impressionante, era di gran lunga la più vasta biblioteca privata dell’epoca, con le singole opere che sembravano susseguirsi all’infinito, tanto da dare le vertigini. Il senso di smarrimento si sarebbe acuito non appena il visitatore si fosse accorto che le pareti della biblioteca erano scomparse. Al loro posto, c’erano file su file di libri che stavano dritti in piedi, stipati in modo diverso dal solito, in verticale, dentro a mobili di legno appositamente progettati. A uno spettatore moderno, questo tipo di scaffale è talmente famigliare da passare inosservato, ma agli occhi di quei visitatori cinquecenteschi era un’assoluta novità.

Inoltre la biblioteca comprende libri in lingue diverse, comprese le lingue volgari, mentre le grandi biblioteche del passato – compresa la medicea di Roma che probabilmente fornì a Fernando l’ispirazione – si accettavano esclusivamente testi in greco e latino.

Altro dettaglio importante, nella raccolta della Colombina trovano posto libri eruditi e pamphlet a buon mercato, con grande attenzione a quella che oggi chiameremmo cultura popolare. Tutti questi elementi costituivano una sfida per la catalogazione e l’indicizzazione, data la presenza di alfabeti diversi – tra gli acquisti di Fernando c’erano sicuramente libri in ebraico, arabo e persino Ge’ez, l’antica lingua etiope. La distanza di questo progetto dalla struttura delle biblioteche medievali – esemplificata dalla torre inacessibile descritta da Eco ne il nome della rosa – era siderale.

La modernità del progetto è ancora oggi stupefacente: la biblioteca era mappata e organizzata in percorsi, e prevedeva l’esistenza di Libri degli argomenti, antenati dei moderni indici, in modo da poter sempre rintracciare il volume che il lettore vuole consultare. Un altro esperimento notevole fu la creazione di Libri delle epitomi, con sintesi dell’argomento trattato nei singoli volumi. Insomma, per realizzare la sua visione Fernando aveva creato un sistema non molto diverso da quello dei moderni motori di ricerca che usiamo tutti i giorni per setacciare la Rete alla ricerca di informazioni.

La biblioteca crebbe a dismisura, grazie anche a un piano preciso di acquisto di testi elaborato dallo stesso Fernando, arrivando a ospitare circa 15.000 volumi. Lo stesso edificio che la ospitava è descritto dai contemporanei con grande ammirazione ed è molto probabile che la proprietà nella quale era inserita ospitasse anche un orto botanico – la mania di Fernando per la classificazione botanica era seconda solo alla sua ossessione per i libri. Purtroppo della struttura originale non rimane nulla: della grande utopia di Fernando restano poco più di 7.000 volumi, tuttora ospitati all’interno del complesso della Cattedrale di Siviglia.

Con la biblioteca si è dissolta anche la memoria di Fernando e del suo progetto visionario che oggi fortunatamente può essere recuperata grazie al paziente lavoro di Edward Wilson-Lee. A noi, donne e uomini del XXI secolo resta la grande lezione di Fernando Colombo, un uomo che ha cercato testardamente di dare ordine alla grande quantità di informazioni disponibili in un periodo di grandi scoperte anche grazie all’invenzione della stampa. Una situazione forse non troppo dissimile da quella che sperimentiamo oggi di fronte al sovraccarico informativo che ci ha investiti con la diffusione di Internet – che per molti studiosi ha comportato modifiche cognitive pari solo a quelle introdotte dalla stampa – e con le scoperte tecnologiche sempre più importanti.

Edward Wilson-Lee
Il catalogo dei libri naufragati: Il figlio di Cristoforo Colombo e la ricerca della biblioteca universale
420 pagine
Bollati Boringhieri, 2019
 

Crediti immagini

  1. Copertina: particolare della copertina del libro 
  2. Ritratto di Fernando Colombo (autore sconosciuto). Fonte: Wikipedia