Un libro è davvero come una pianta che va annaffiata e accudita e protetta e poi lasciata crescere, lo è sia
che lo si scriva, sia che lo si traduca

Quando è ben fatta, non pensiamo nemmeno alla sua esistenza. Quando è perfetta, ci innamoriamo talmente che ci sembra che quel libro esista solo in quella veste. Eppure non è così: nella maggior parte dei casi, di un libro, leggiamo non la versione originale ma la sua traduzione. E, se sempre più spesso si sente dire che guardare un film in lingua originale è impagabile, e considerando che i puristi guardano dall’alto in basso quei pigri che ricorrono alla versione tradotta, è evidente che lo stesso non vale per i romanzi. Il traduttore allora ha un compito delicatissimo e affascinante: trovare, nelle sue corde, quelle più adatte a raccontare con la voce di qualcun altro. Come una piantina che va annaffiata e accudita, appunto.
Ci racconta di questo mestiere incredibile Silvia Pareschi nel suo Fra le righe. Il piacere di tradurre, da poco pubblicato da Laterza. Un libriccino affascinante, che svela un trucco talmente ben fatto che nemmeno ci accorgiamo, leggendo un libro, che dentro quelle pagine ci sono due persone: l’autore e il suo traduttore. E il traduttore deve letteralmente guardare le cose che ha visto l’autore, capire banalmente come è fatto un chioschetto in Birmania (per fortuna che c’è Internet, ma serve comunque sapere dove cercare…), trovare il verbo o l’aggettivo più adatto per significare proprio quel concetto (che belle certe parole che usa Natalia Ginzburg quando traduce La Recherche di Proust), rovistare nella sua memoria per rispolverare le parole migliori, e tagliare brutalmente quelle superflue, per dire quasi la stessa cosa. E l’Intelligenza Artificiale?
Suvvia: a lei manca ancora la capacità di discernimento…

Dettagli

Silvia Pareschi
Fra le righe. Il piacere di tradurre
Pagine 144
Laterza

Sito web: https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788858155370

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